PERUGIA – “Welcome to internet! Vieni a dare un’occhiata, tutto ciò che il tuo cervello può pensare qui lo puoi trovare. Abbiamo montagne di contenuti, alcuni buoni altri meno […] Cosa preferisci? Vuoi lottare per i diritti civili o twittare un insulto razziale? Sii felice! Sii arrapato! Scoppia di rabbia! Abbiamo un milione di modi diversi per impegnarci […] scuoti la testa, un consiglio per scolare la pasta, un uomo decapitato, compra una scopa, raccontaci ogni tuo pensiero, quale Power Ranger sei?”
Così inizia una delle canzoni di “Inside”, recente produzione del comico statunitense Bo Burnham che racconta la sua vita durante i mesi del lockdown. Chiuso in casa circondato da attrezzature elettroniche, l’autore si reinventa descrivendo le sue giornate e la sua salute mentale in declino e nello stesso tempo, indaga in chiave ironica ma realistica, i temi oscuri legati al mondo dei social network: il rapporto con il pubblico, l’indigestione di contenuti, la performatività obbligata.
E gli stimoli, stimoli e ancora stimoli ai quali è davvero arduo sottrarsi. Informazioni personalizzate e costruite in modo da colpire il nostro lato più emotivo e catturare la nostra attenzione. Di qualsiasi tipo, dalla più interessante alla più becera ma che a volte non si sa perché ci ritroviamo a guardare, tonnellate di informazioni che scorrono sotto gli occhi alla velocità di uno scroll e bombardano il nostro cervello in continuazione.
Parlando di cifre, in tutto il mondo aumentano le persone che usano internet in maniera continuativa e l’Umbria non fa eccezione: secondo il report sul digitale 2021 della Regione Umbria “Le persone di 6 anni e più che hanno usato internet negli ultimi tre mesi per 100 persone sono pari in Umbria nel 2019 al 66,4%, in aumento costante dal 2010 (+22 punti percentuali)” mentre “I comuni con servizi pienamente interattivi sono in Umbria in costante aumento dal 2012 passando dal 17,4% al 48,2% del 2018” e “la percentuale di imprese con 10 addetti che hanno un sito web o almeno una pagina internet, nel 2020 è pari al 65,4%”.
In tutto ciò però, degli effetti a lungo termine sulle nostre capacità cognitive e sul comportamento collettivo viziato dall’utilizzo dei social se ne sa davvero molto poco: è di questi giorni la pubblicazione di un articolo da parte di un team di 17 ricercatori sulla rivista scientifica PNAS, Proceedings of the National Academy of Sciences (https://www.pnas.org/content/118/27/e2025764118) proprio su questo tema.
Secondo gli studiosi “Negli esseri umani, i flussi di informazione sono stati inizialmente modellati dalla selezione naturale ma sono oggi sempre più strutturati dalle tecnologie di comunicazione emergenti”. Il massiccio uso del digitale e dei social ha accelerato in maniera vertiginosa l’accesso ai dati modellando cambiamenti in svariati aspetti delle nostre vite, dalle relazioni sociali al modo in cui si raggiunge un consenso fino alle nostre opinioni che (crediamo) essere personali. Ma mentre tutto ciò viaggia ad alta velocità, le ripercussioni e le conseguenze di questo stato di cose sono ancora troppo poco indagate.
Da qui la necessità secondo il team di ricercatori di “trattare l’impatto della tecnologia sulla società come materia di crisi” poiché “Ora affrontiamo complesse sfide globali, dalle pandemie ai cambiamenti climatici, e comunichiamo su reti disperse collegate da tecnologie digitali come smartphone e social media. Con legami sempre più forti tra processi ecologici e sociologici, evitare la catastrofe a medio termine (ad esempio il coronavirus) e a lungo termine (ad esempio cambiamenti climatici, sicurezza alimentare), richiederà risposte comportamentali collettive rapide ed efficaci, eppure non è noto se la società umana produrrà tali risposte.”
Anche perché, proseguono: “Né i cambiamenti evolutivi, né tecnologici dei nostri sistemi sociali sono avvenuti con l’espresso scopo di promuovere la sostenibilità globale o la qualità della vita. Le tecnologie recenti ed emergenti come i social media non fanno eccezione: sia la struttura dei nostri social network che i modelli di flusso di informazioni attraverso di essi sono diretti da decisioni ingegneristiche prese per massimizzare la redditività. Questi cambiamenti sono drastici, opachi, effettivamente non regolamentati e su vasta scala. Le conseguenze funzionali emergenti sono sconosciute.”
Ma anche senza andare a scomodare i massimi sistemi e il favorire dello sviluppo di fenomeni come “manomissioni elettorali, malattie, estremismo violento, razzismo e conflitti” gli effetti negativi dell’uso eccessivo della tecnologia sono evidenti a chiunque.
Pensiamo di essere multitasking perché scriviamo una mail mentre leggiamo l’ultimo articolo o mentre parliamo al telefono ma in realtà non riusciamo a concentrarci più su niente, siamo abituati a considerare lo smartphone una parte di noi e viviamo immersi nel suo flusso costante senza riuscire a controllare il tempo che trascorriamo connessi.
Già, perché prima c’è il lavoro da svolgere in rete, poi la formazione e quel webinar così interessante poi i messaggi, le chat di gruppo, le call, gli zoom, i meeting, il booking del volo, lo shopping online, un’occhiata al meteo, un’altra alla ricetta da preparare la sera e poi a fine giornata, per non pensare di nuovo tutti connessi a scorrere all’infinito quelle che sono le vite degli altri. Vite così perfette e meravigliose da fare male, vite inarrivabili con le quali paragonarsi e uscirne irrimediabilmente sconfitti.
È come essere sempre in gara contro il mondo, a chi è più bello, felice, interessante ma anche a chi è il più sfortunato, il più malato, perché in questa immensa pornografia dell’essere non basta più mostrarsi impeccabili. No, adesso il web vuole anche la nostra verità, bisogna avere la faccia levigata da filtri di ogni tipo e la giusta location alle spalle ma nello stesso tempo bisogna anche essere reali, far vedere quando si sta male, belli ma anche veri. Ma non troppo.
E soprattutto bisogna essere sempre interessanti, l’algoritmo dall’alto della sua logica di macchina dice che per essere notati bisogna sorprendere, creare hype, proporre contenuti originali, video rapidi, foto in luoghi spettacolari. Un lavoro immane che non finisce mai, che viene consumato dal pubblico in pochi secondi ma che si sedimenta nelle coscienze sotto forma di ansia da prestazione e la sensazione di non essere mai all’altezza. Perché nel meraviglioso mondo di internet niente è mai abbastanza e guai a fermarsi! Guai a non cavalcare l’ultimo trend topic, a non indignarsi magari con una bella sfilza di parolacce sull’ultima notizia fatta circolare apposta per questo scopo, guai a non commentare ogni avvenimento con la nostra opinione…
Ma, riprendendo ancora la canzone iniziale “è davvero possibile essere sempre così interessanti?” Stare sempre sul pezzo senza fermarsi mai? E quale sarebbe il senso di tutto ciò poi e dove ci porterà in realtà non lo sappiamo e forse fa anche un po’ ridere una critica alla tecnologia scritta al computer e pubblicata su una testata online ma ormai ci siamo dentro e di sicuro non si torna più indietro.
È anche chiaro di come ci siano gli aspetti positivi del digitale e non stiamo qui ad elencarli: come spesso accade il male non è il mezzo in sé ma l’utilizzo che se ne fa.
Cercare un uso sostenibile della tecnologia, educare ed educarsi ad una convivenza consapevole con quest’ultima e monitorarne gli effetti sono tra le prime azioni da compiere. Poi staccare, prendersi tempo, respirare. Fare meno e fare meglio.
Sembra facile ma ormai non lo è più perché citando tlon.it “Stare sui social è come mangiare tutti i giorni a un all you can eat: se sai orientarti e hai autocontrollo sopravvivi alla grande, ma se ti lasci guidare dalla pancia finisci male e ti ritrovi col piatto pieno di schifezze”.
Sta a noi decidere con quale cibo nutrirci ogni giorno.
Francesca Verdesca Zain