E’ un Vinicio Capossela viandante delle emozioni – quello che contattiamo in live streaming con un gruppo di colleghi da varie parti d’Italia -, un viandante pronto a cogliere il genius loci di ogni regione, di ogni luogo.
Ama soprattutto la dorsale appenninica dell’Italia Centro-meridionale, dove ritrova la lingua, le lingue del transumante che attraversa monti e borghi facendone esperienza.
Ama soprattutto i luoghi rarefatti dove la natura si estende e lascia respiro ad una dimensione atemporale, si dichiara affascinato dell’Umbria a cui riconosce una forte valenza spirituale, intima, dove ritirarsi rinfranca lo spirito. All’Umbria è poi legato – come ricorda – per l’amicizia mai dimenticata con Sergio Piazzoli e Patrizia Marcagnani, è legato alla magia del festival Moon in June e i suoi tramonti sul Trasimeno.
Divaga Capossela e ricorda città come Palermo di una bellezza struggente celebrata anche dagli scrittori del Nord, divaga parlando dell’Abruzzo, o meglio degli Abruzzi e di una profonda affinità linguistica dei dialetti che lo catturano. Capossela è sempre sollecitato dalla fantasia, dall’immaginazione di cui rimane indiscusso poeta. Può trarre ispirazione da ogni piccolo riferimento, ma forse questa volta sente l’urgenza di mettere i piedi a terra e di trovare le parole giuste per descrivere la violenza, soprattutto quella di genere che non smette di mietere vittime. Violenze che non possono rimanerci estranee perché riguardano tutti noi sia come potenziali sopraffattori, sia come vittime di un’educazione, di una cultura che è sempre più latente.
No, non è la sofferenza a insegnarci qualcosa, né la felicità, ma l’invito di Eschilo a tornare al reale è solo in parte la via da seguire per quello che si può fare – per quello che posso fare – dice Capossela, come qualcuno che passa il secchio da una parte all’altra della cordata di persone che del reale hanno bisogno. Si deve piuttosto apprendere con la speranza, nel senso di acquisire la consapevolezza delle cose e se anche non appaiono come problemi personali, sono allo stesso tempo urgenti e come tali da denunciare. La speranza, insomma, che nasce dal cercare di fare meglio. Chiaro il riferimento al suo ultimo album “Tredici canzoni urgenti” che ispira il suo tour “Con i tasti che ci abbiamo” partito lo scorso 10 ottobre da Ferrara, dopo l’anteprima dell’8 a Carpi. Il suo album uscito ad aprile ha vinto la Targa Tenco 2023 come Miglior Album in assoluto e parte dall’insopprimibile esigenza della manifestazione di un impegno civile. Le 13 canzoni urgenti, a cominciare da “Cattiva Eduzione” cantata di Capossela con Margherita
Vicario, affrontano tematiche sociali in profondità come mai Capossela aveva fatto prima.
Lui e la sua band saranno a Todi al teatro Comunale venerdì 3 novembre. “Sarà un concerto che prende corpo dal disco, canzoni di carattere civile che rispondono a un fenomeno – racconta Capossela. Come diceva Benjamin “Quando la politica diventa spettacolo – spesso incivile – allora lo spettacolo deve diventare politica civile”. Allo stesso tempo è un concerto che ha che fare con la sospensione dell’incredulità, quindi col mondo dell’immaginazione, perché l’immaginazione è la nostra grande opportunità di trasformare i limiti in possibilità. Abbiamo chiamato questa serie di concerti in teatro “con i tasti che ci abbiamo”. Quando mancano dei tasti dal pianoforte bisogna cercare melodie con quelli che sono rimasti. Il nostro concerto vorrebbe essere un invito a fare con quello che si ha, a fare dei limiti una possibilità e soprattutto a non avere paura di sbagliare”.
L’invito è quello del risveglio delle coscienze e al controllo degli impulsi che provengono dal nostro inconscio, quell’Es freudiano che è pronto improvvisamente a manifestarsi con aspetti ferini e violenti.
“A me piace citare una frase che ho letto di Mussolini – afferma Capossela – che diceva ‘il fascismo non l’ho inventato io, l’ho estratto dall’inconscio d’Italia’. Insomma non è tanto il tentativo impossibile di cambiare il mondo, ma almeno prendere piena consapevolezza di noi stessi. E se la verità è la prima vittima delle guerre, ma forse meglio sostenere che è l’innocenza, perché non esiste più una mediazione credibile, anche e soprattutto a causa delle responsabilità dei media. Proprio da questo “isolamento”, dall’impossibilità di poter valutare le cose e quindi di chiudersi in sé stessi che nasce anche l’impossibilità di trovare parole, di immaginare qualcosa di diverso, mentre la narrazione che si fa di cose orribili come i femminicidi, viene svolta con una morbosità insopportabile che in realtà esclude e non aiuta a maturare.
Per tornare al concerto di Todi, protagonista assoluta della scenografia dello spettacolo è un’enorme luna gonfiabile, che funge sia da mimesi della luna che da luna giocattolo. Una luna magnetica, che sprigiona la sua forza sui sogni, che attira a sé i fluidi e il senno. Una luna che rischia di cadere sulle nostre teste per quanto è appesantita dalla discarica delle nostre vanità, ma che allo stesso tempo risuona da sempre di tutte le fantasticazioni umane.
“Una grande luna, come quella che si era immaginato Ariosto, cui il poeta ha dedicato quella straordinaria metafora per cui il senno è andato sulla luna, ma sulla luna ci sono anche tutte le cose per cui gli uomini perdono il senno sulla terra: le vanità, il potere, la seduzione. Ecco lì abbiamo tutti in una bella luna gonfiabile, alla fine la facciamo scoppiare e così torniamo a terra dove si sa che non è rimasto altro che follia”.
Ad accompagnare Capossela sul palco, Andrea Lamacchia al contrabbasso, Piero Perelli alla batteria, Alessandro “Asso” Stefana alla chitarra, Raffaele Tiseo al violino, Daniela Savoldi al violoncello, Michele Vignali al sassofono.