ASSISI – “Very Natural” più che una mostra è il tentativo di indagare e stimolare il rapporto Uomo-Natura, entrambi da intendere con la lettera maiuscola. Ad ospitare le opere è, coerentemente, il Nun di Assisi. Coerentemente perché si tratta di un luogo che poggia le fondamenta sul passato aureo creato dall’uomo, un tempio romano dedicato al culto delle acque del II secolo a.C. e un anfiteatro del I secolo d.C.
E poi di un monastero, quello di Santa Chiara, in epoca medievale.
Massimo Falcinelli, padre costruttore e ideatore del Nun, ha rispettato queste pietre in tutta la loro valenza perché evidente segno di genius loci della storia. Allo stesso tempo, grazia a una Sovrintendenza lungimirante, lo rigenerato nel massimo rispetto della natura circostante e dello spirito di Francesco, il fondatore del pensiero ecologico.
“Quando abbiamo messo mano al progetto 12 anni fa – spiega Massimo Falcinelli – ci siamo resi conto rinvenendo i ruderi romani che il progetto iniziale di costruzioni residenziali non era più praticabile. Da qui la Spa che è all’interno di quello che era il tempio delle acque d’epoca romana, le 18 suite che rispettano l’impianto del monastero che risale al 1275, nell’intento di fare del Nun un luogo del corpo e dell’anima al tempo stesso e che possa rappresentare per la città di Assisi oltre che per il turista uno spazio che si offre all’arte, alla cultura, all’armonia”.
Ciò spiega la sintonia che si è creata tra Falcinelli e il suo Nun con Gian Luca Bianco, curatore della mostra allestita in collaborazione con Montrasio Arte e Carlo Dell’Amico, e che resterà aperta al pubblico fino al prossimo 30 settembre.
In questa intervista Bianco ci porta dentro la filosofia delle rassegna.
– Come è stata concepita la mostra?
Il titolo è già di per sé un manifesto ideologico dei valori che si sono voluti rappresentare e che sono insiti al movimento della Land Art.
All’interno degli spazi comuni del Nun – dalla hall alla sala ristorante – trovano posto alcuni degli autori più iconici: Vito Acconci, Joseph Beuys, Christo Jeanne-Claude, Carlo Dell’Amico, Richard Long, Gordon Matta-Clark, Dennis Oppenheim, Joe Tilson, Franz Ehrard Walther”.
– Ci sono opere anche all’esterno..
Il progetto prevede altre due declinazioni: Very Natural Garden e Very Natural Private View. Nel primo ambito le opere dell’artista perugino Carlo Dell’Amico sono state installate nel parco del Nun, entrano in relazione diretta e speculare con la natura in senso fisico, attraverso l’esposizione di radici rivolte verso l’alto, talvolta inserite in schemi poliedrici come l’ottaedro nel caso dell’opera all’entrata del giardino. Nell’altra declinazione ho pensato che le opere potessero far parte del quotidiano artistico, inserendole in spazi privati, con una valenza intima”.
– Ovvero?
Joseph Beuysche ci richiama all’arte non più come una cosa straordinaria, da vedere in un museo, ma che può convivere con te in ogni istante: ciò dipende dalla tua attitudine nell’osservare”.
– Gli artisti che ha collocato nelle suite?
“Giovanni Hanninen, Fumitaka Kudo, Giacomo Morelli, Gianni Moretti, Antonio Ottomanelli, Bepi Romagnoni, Daniele de Lorenzo, Susanna Pozzoli e Nicole Weniger. E me.
– Lei è anche artista…
Sì, principalmente regista.
– Ci dice qualcosa in più?
Ho terminato un reportage iniziato nel 2016 sul terremoto in Umbria e Marche per indagare come la Natura modifica la nostra presenza sul pianeta e come noi reagiamo a questa a volte violenta intrusione nella vita degli umani.
– Come si intitola?
Imbilico. Perpetua motus terra.
– Si pensa alla Land Art come un’arte da rapportare con l’esterno, con la Natura. Qui ci sono opere relegate in una cornice e sintetizzate da delle foto. Come si spiega?
Nella Land Art alcuni artisti intervengono in un luogo lontano dal quotidiano, ipotizzo Dennis Oppenheim che fa un taglio su un pezzo di ghiaccio: ecco che il lavoro può essere certificato, osservato, compreso solo attraverso la fotografia perché è la documentazione del processo che diventa opera. E va fermata in quel preciso istante con uno scatto o con un video. Perché non replicabile. L’opera d’arte concettuale è in quel momento, è il processo che diventa opera d’arte.
– Per lei Nun è?
Un contenitore che produce contenuto. Di pensiero ed emotività.
– Con che intento si deve entrare al Nun a vedere la mostra?
Quello di dialogare: l’artista produce qualcosa perché si attivi una relazione atemporale, tanto che alcuni degli artisti sono morti. Resta la testimonianza che ci induce alla auto riflessione del che cosa mi stai raccontando e come, non della cosa bella o brutta, del mi piace o non mi piace.