Eccoci al quarto appuntamento con le interviste agli artisti presenti alla seconda edizione del Trasimeno Prog Festival, in programma alla Rocca Medievale di Castiglione del Lago dal 19 al 22 agosto.
Siamo oggi con Jerry Cutillo, che abbiamo intervistato già qualche mese fa per la rubrica “4 chiacchiere a casa di”. Hai legami con l’Umbria?
Ma certo, considera che l’Umbria, dopo il Lazio, è la regione in cui negli anni ho fatto il maggior numero di spettacoli. Sono molto legato ai luoghi e agli abitanti di questa splendida regione. Approfitto per dare un caloroso saluto alla redazione di Vivo Umbria e a tutti i suoi lettori e a Trasimeno Prog.
Come ti sei avvicinato alla musica?
Piuttosto casualmente, devo dire. Dopo aver ascoltato valanghe di 45 giri dei Beatles, Pooh, Little Tony etc … a causa della mia sorella maggiore, una mattina di freddo e pioggia mi ritrovai febbricitante, solo nella mia stanza con il pallone di cuoio che mi fissava sconsolato. Avevo ricevuto, come di consueto, il pacco dono per la Befana al cui interno trovavo sempre riproduzioni in plastica di strumenti musicali. Fino a quel momento non avevo avuto grande interesse per quegli oggetti che rappresentavano una cocente delusione per un pargolo che sognava piste Polycar, scarpini e maglie da calcio, biciclette. Ma quel mattino l’intensità dei momenti di noia fu mitigata dal suono di una fisarmonica giocattolo e dal suo relativo libretto di canzoni. Riuscii subito ad eseguire e memorizzare melodie popolari che mi tirarono su il morale. Cominciai in seguito ad interessarmi, appena dodicenne, di musica rock, a leggere il Ciao 2001, ad ascoltare Per voi Giovani, Popoff e ad acquistare le prime musicassette (Tarkus degli ELP, Who do we think we are dei Deep Purple, Per un amico della PFM). Cominciai a studiare organo elettronico al CAMI (Centro Artistico Musicale Italiano) e con il ricavato dalla vendita della mia bicicletta da cross, acquistai il mio primo flauto traverso. Spolverai infine la sei corde di mia sorella che campeggiava sulla parete della sua stanza e ne trassi i primi accordi e canzoni. Nasceva cosí un polistrumentista.
Come hai trascorso questo periodo di lockdown?
Ho terminato nel modo migliore il mio ultimo album “Nine witches under a walnut tree” che avrei dovuto presentare il 2 marzo 2020 all’Auditorium di Roma, in occasione della terza edizione della Prog Exhibition. Il Festival non ebbe luogo per i motivi che tutti conosciamo ma quell’interruzione fece in modo che io potessi rifinire meglio i brani dell’album e ripeterne i missaggi, e questo ha fatto la differenza. Come dicevano gli antichi? Non tutti i mali vengono per nuocere! Questo senza minimizzare la portata della pandemia che ci ha scosso tutti enormemente e ha causato tantissime vittime; una vera catastrofe … e ancora non ne siamo fuori, purtroppo! Nello stesso periodo ho ripreso anche a scrivere il libro che narra vicende musicali, episodi di vita e aneddoti legati al mio percorso, interrompendolo poi per sopraggiunta ispirazione relativa al nuovo album.
Hai iniziato con l’Albergo Intergalattico Spaziale, poi il gruppo di Pippo Caruso a Domenica IN e le classifiche europee della dance come Moses. Ci racconti quel periodo?
Con Mino Di Martino (Giganti), mossi i miei primi passi nell’ambito della musica professionale. Era il 1975 ed avevo quindici anni ma ascoltavo Hawkwind, Terry Riley, Tangerine dream, Popol Vuh e quindi, improvvisando su tappeti psichedelici con gli strumenti che iniziavo a padroneggiare, trovai facilmente la chiave per interagire con il guru della scuola psichedelica milanese di quegli anni (insieme a Battiato, Rocchi, Camisasca). Partecipai a lungo alle sue iniziative musicali e anche ai progetti musical/teatrali di sua moglie Terra Di Benedetto. Poi, a metà anni ’80, la scena cambiò. Fu mia la sigla di Discoring e il seguente successo internazionale. Dopo un anno di partecipazione al programma Domenica IN, all’interno del gruppo del Maestro Pippo Caruso, balzai in vetta alle classifiche europee con i brani “We Just” e “Our Revolution”. A parte il successo discografico e la visibilità televisiva che ne guadagnai, non andavo molto fiero del mio ruolo di Dance Star (anche se il Banco con “Grande Joe” e Lino Vairetti con “Figaro” non stavano certo messi meglio a quel tempo). Di conseguenza non assecondai molto la mia scalata al mainstream musicale e dopo pochi anni, in seguito ad una profonda crisi esistenziale, tornai sulle mie sponde.
Come è nato il progetto O.A.K.?
Dopo alcuni, vani tentativi di formare una band dalle caratteristiche rock/prog/psych, finii anch’io nella ragnatela delle tribute band. Negli anni ’90 Radio Rock promuoveva il sabato sera al Teatro Palladium di Roma e dopo la performance della cover band di turno, i Dj accendevano le luci e i suoni della discoteca rock per una nutrita folla di giovani rockers. Non mi feci sfuggire l’occasione per tornare sui binari della musica live e dopo un’opera di convincimento rivolta ai miei compagni di band, iniziò il nostro percorso come Jethro Tull tribute. Per molti anni le mie composizioni emersero timidamente tra le “Boureè” e le “Aqualung” e per fortuna il pubblico sembrò apprezzare. Fu un processo lungo e laborioso ma infine la mia ostinazione ad affermare le mie canzoni ha avuto ragione e sono felicissimo per le gratificazioni ricevute e orgoglioso per aver saputo “osare” in un contesto artistico così involuto.
Che nesso c’è tra il tuo amore per i Jethro Tull e la tua carriera musicale?
Penso che ognuno, almeno una volta nella vita, abbia provato la sottile, morbosa perversione di emulare il proprio, personale ideale di perfezione. Per una serie di concause il soggetto a cui mi sono a lungo ispirato aveva il nome di Ian Anderson; compositore, show man, flautista, cantante e chitarrista tra i più geniali della storia del rock. Il flautista pellicano stimolò la mia verve musicale regalandomi sogni e speranze ed è un vero peccato che le sue ultime vicende abbiano dissipato l’immagine che avevo di lui.
Ricordo i tuoi progetti con amici straordinari come Rodolfo Maltese e Maartin Allcock, ce ne vuoi parlare?
Nel 2004 Rodolfo Maltese partecipò alle registrazioni del mio album “Filosofi senza libri” e quel primo approccio con il chitarrista del Banco si concluse con una mia gaffe. Non ci eravamo accordati ancora sul compenso ma Rodolfo aveva mostrato interesse e curiosità per le mie composizioni ma il budget era molto basso. Al termine della serata mi rivolsi a lui più volte chiedendo quanto dovessi per la sua session ma lui continuava a ripetere: Non ti preoccupare, quello che puoi. La situazione si fece ancor più imbarazzante, quando io e i membri dello studio realizzammo di non avere a disposizione più di venti euro. Con il volto gelato dalla vergogna gli porsi la banconota. Lui sgranò gli occhi dallo stupore ma dopo un attimo di esitazione mi sorrise ed accettò. Pensai che quella fosse una reazione di circostanza e che non avrei mai più rivisto quello straordinario musicista. Ma Rodolfo Maltese non era soltanto un geniale chitarrista, ma anche un uomo di grande empatia e nobiltà d’animo. Quell’episodio non incrinò minimamente i nostri rapporti e dopo qualche tempo ci ritrovammo in radio ospiti del Dj Margus a presentare il mio album e poi in altri concerti promozionali. Questo gli valse l’appellativo, più che meritato, di gentleman del prog. Un vero angelo a cui sarò per sempre grato! Nel 2007 Maartin Allcock partecipò alla Convention dei Tullianos a Barcellona e interagì con noi in un paio di brani. Da quel momento Maartin divenne un componente aggiunto della mia band, mostrando un notevole attaccamento alle mie vicissitudini artistiche.
Sei già stato ospite di iniziative organizzate negli anni passati dal presidente di Trasimeno Prog Massimo Sordi. Quali ricordi hai in proposito?
Ricordo una grande carica umana ed una notevole trasparenza nei rapporti da parte di tutto il vostro entourage. Da non dimenticare anche la straordinaria pazienza di Massimo. Mi viene in mente il dopo concerto al Meeting di Primavera nel 2012 a Castiglione del lago. Prima i capricci di Maartin per avere una bottiglia di brandy prima di salire sul palco, poi quelli di Richard per cenare alle due di notte in quelle lande buie e silenziose. Un’ esperienza bizzarra, unica e irripetibile.
Hai realizzato diversi album ma forse i più recenti sono tra i più azzeccati, ci parleresti di Giordano Bruno?
A Roma, in Piazza Campo dé Fiori, si trova la statua di Giordano Bruno ed essa rappresenta una storia nella storia. Credete sia stato semplice erigere un monumento ad un eretico bruciato sul rogo dalla Santa Inquisizione, proprio a due passi dal Vaticano? Fu compito del Movimento Studentesco e di tutte le forze anticlericali vincere l’intransigenza del Papato e riuscire nell’intento. Giordano Bruno era filosofo, scienziato, time traveller, mago e scrittore e osò sfidare i dogmi della Chiesa facendone poi le spese. Pagò con le torture ed il supplizio sul rogo la sua coerenza e fermezza. E quando un discografico ligure cominciò ad interessarsi alla mia musica permeata di citazioni del filosofo nolano, io reagii dedicandogli un intero album, per giunta doppio. Il mio tentativo di creare un team di artisti sensibili all’argomento andò felicemente in porto e l’elenco dei personaggi si definì rapidamente: Marco Viale, David Jackson, Richard Sinclair, Sonja Kristina, Maartin Allcock, Jenny Sorrenti, Derek Wilson, Francesco De Renzi, Giacomo Pettinelli, Valentina Ciaffaglione, Marco Lecci, Ed Unitsky, Charles Yossarian, Fab Santoro, Pat Rowbottom, Gerlinde Roth. Non si trattò di un’ammucchiata per gettare fumo negli occhi, ma di una lunga serie di scelte per dare ad ogni personaggio narrato nella storia il giusto volto. Il disco ha avuto encomi da ogni parte del mondo ed in Francia, in particolare, rappresenta ormai un “must” del prog del nuovo secolo essendo stato dichiarato dalla rivista specializzata Koid9, miglior album prog del 2018.
Siamo quasi in conclusione: raccontaci delle streghe sotto una pianta di noce, il tuo progetto pubblicato lo scorso anno, ti va?
Ti ringrazio per la domanda. Io sono di origine sannita ed entrambi i miei genitori provengono da un paese molto vicino al luogo leggendario dove sembra si trovasse il magico noce. Mi è sembrato naturale, dopo una lunga serie di pellegrinaggi e sperimentazioni sulle musiche del mondo, tornare al mio punto di origine. Scavando nelle tradizioni del Sannio ho trovato un prisma di contaminazioni etniche molto singolare. I Longobardi dalla Scandinavia, i Celti dalla Gallia, i Greci e i Bizantini dall’Oriente sono solo alcune delle etnie che hanno popolato la mia terra per secoli. Per sottolineare questo aspetto cosmopolita del luogo, ho creato la storia di nove streghe provenienti da più parti d’Europa. In seguito al richiamo della supernova Tyco che nel 1572 illuminava la Terra, le protagoniste si mettono in cammino per trovarsi sotto i rami del noce di Benevento e qui dare inizio ad un sabba nel quale ognuna di loro darà dimostrazione della propria abilità e conoscenza. Al progetto hanno partecipato Jonathan Noyce, David Jackson, Daniele Fuligni, Tetyana Shyshkaya, Cristiana De Bonis, Daniele Lanzini, Gerlinde Roth, Clementine Hobbes e Marta Perozzi.
A te toccherà aprire le danze per la seconda edizione del Trasimeno Prog Festival il prossimo 19 agosto. Emozionato?
Quando non proverò più emozioni vorrà dire che sarà giunto il momento di smettere. Sono felicissimo di questo invito e sarà il pubblico del Trasimeno Prog Festival ad ascoltare in anteprima i brani che compariranno sul prossimo album. Per una serie di motivi che non sto ad elencarvi, il 19 agosto salirò sul palcoscenico con la mia pocket orkestra (un reparto di apparecchi tecnologici) e due performer, insieme alle quali darò vita ad uno spettacolo multimediale. Sarà un test per quello che sarà lo spettacolo relativo al lancio promozionale, con il cast al completo (ospiti internazionali inclusi) che ovviamente speriamo di presentare nelle vostre future iniziative.
Nel ringraziarti per la tua disponibilità un’ultima domanda: hai qualcosa che bolle in pentola, quali progetti per il futuro?
Il nuovo disco sarà pubblicato nel febbraio 2022 e sarà dedicato alla figura di Nikola Tesla. Se stiamo comunicando in questo modo lo dobbiamo a lui che per primo sperimentò la comunicazione senza fili. Sua anche la scoperta della corrente alternata che illumina le nostre città. Gran parte del team comparso sul precedente album è stato confermato; quindi Jonathan Noyce al basso, David Jackson e sua figlia Dorie che canterà con me un brano, Laura Piazzai e Olja Karpova. Si attende la conferma di un big per il drumming, poi Daniele Lanzini si occuperà della copertina e Gerlinde Roth degli aspetti promozionali. Il prossimo appuntamento sarà per il 2023 con l’uscita del libro, probabilmente un audio book che svelerà il background di una serie di vicende musicali e di esperienze di vita. Grazie a tutti, vi mando un augurio di buona salute e tanta fortuna e vi do appuntamento per il 19 agosto alla Rocca di Castiglione del Lago. Prog on my friends, Prog on.