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Verso la terza edizione del Trasimeno Prog Festival: intervista a Lorenzo Giovagnoli degli Odessa

CASTIGLIONE DEL LAGO  –  Proseguono le interviste agli ospiti presenti alla terza edizione del Trasimeno Prog Festival, in programma a Perugia e a Castiglione del Lago, dal 25 al 28 agosto.

La locandina con il programma del 26 agosto

Abbiamo scambiato due chiacchiere con Lorenzo Giovagnoli, tastierista e cantante della band marchigiana Odessa, che sarà presente al Trasimeno Prog Festival il 26 agosto, nella prima giornata della manifestazione a Castiglione del Lago. come stai ?

Ciao Alfredo, molto bene, piacere di trovarti.

Ti ringraziamo per la disponibilità Lorenzo; ci parli del tuo iniziale percorso musicale ?

Sono stato a lungo autodidatta; ero molto piccolo e mio padre mi regalò per Natale un organo della GEM. All’inizio ne fui contrariato e ci giocavo con i soldatini usando i tasti neri come sbarramenti di fuoco per le mie battaglie immaginarie. Poi ho iniziato a mettere le mani sullo strumento, in maniera ludica, imparando le sigle dei cartoni animati, delle pubblicità, della radio.

I miei genitori provarono a iscrivermi a scuola di musica ma allora si trattava di mesi di puro solfeggio, e non resistetti a lungo.

Iniziai ad esibirmi in pubblico con le cover intorno ai 14 anni in stile piano bar con un repertorio che spaziava da Battisti ai Dire Straits, passando per Stand by me e Andamento lento.

Qualche tempo dopo, durante una rassegna di gruppi locali (allora Fossombrone aveva un teatro-cinema, e veniva usato regolarmente in entrambe le configurazioni), mi proposi da solo alle tastiere per la prima volta con un repertorio rock: Doors e Deep Purple. Avevo delle basi programmate per basso e batteria e ci cantavo e suonavo sopra.

Su richiesta del chitarrista Maxi Arcangeli formammo un gruppo denominato “Oscuri Manifesti”; a noi si unì il batterista Cesare Cenerelli, che era un collezionista di vinili di Rock progressivo secondo cui il mio modo di scrivere gli ricordava gruppi come Osanna, Museo Rosenbach, Trip ecc. dei quali io chiedevo duplicati su cassetta da ascoltare.

Il nostro demo tape fu recensito nel 1994 come migliore del mese sulla rivista “Metal Shock” e fui contattato da alcune etichette musicali, tra cui la Lizard Records di Loris Furlan.

Allora frequentavo a Forlì la facoltà di Scienze Politiche e poco dopo avrei fatto un provino con la compagnia bolognese “Unici meno due”, che mi avrebbe scelto nel ruolo di “Jesus” per l’allestimento teatrale del “Jesus Christ Superstar“.

Tornando a Loris, di quella telefonata mi ricordo che fui colpito dal fatto che stavo parlando con un vero produttore nel merito della mia musica, sinceramente interessato a quanto avevamo fatto; scoprii così che esisteva ancora una scena italiana (e non solo) legata al rock progressivo e che lo teneva vivo con nuove proposte, fanzines, festivals.

Incontrai per la prima volta Loris di persona nel 1995 (se non erro), invitato al mio debutto nel ruolo di “Jesus” al teatro Dehon di Bologna.

Da cantante autodidatta ero circondato da colleghi che studiavano o insegnavano la tecnica canora, ed ebbi così i primi rudimenti didattici in tal senso. Avrei finalmente trovato in Letizia Sciuto la maestra giusta con cui avviare uno studio della tecnica della voce cantata.

La band con cui ti esibirai, Odessa, ha trascorsi da quasi cinque lustri anche se le pubblicazioni discografiche sono soltanto tre; ti va di parlarci del primo album (Stazione Getsemani), che è datato 1999 ?

Nel 1997 con mia madre e mia sorella prendemmo un bar ristorante al centro storico di Urbino. A 23 anni ed a 3 esami da una laurea in scienze politiche vivevo quella scelta con il timore di non riuscire più a coltivare lo studio e soprattutto la musica.

Loris Furlan non l’avevo più sentito, gli Oscuri Manifesti erano chiusi come gran parte delle cose che facevo prima di quel periodo; durante la telefonata che mi fece mi rivelò che aveva mantenuto il pallino di farmi incidere qualcosa e che gli era venuto in mente il mio nome quando la Mellow Records gli chiese di pensare alla produzione di un gruppo nuovo, che si ispirasse però agli anni ’70.

Parlammo anche del nome del gruppo. Io riproposi “Oscuri Manifesti” ma Loris ci pensò su e disse “si, può andare non è male… pensa ad “Odessa”, che te ne pare?”

E io “Sì ma, senti qua, l’ossimoro “oscuri”(che cela) “manifesti” (che rivela), non è bello?”

E lui “Sì, può andare. Sì. Pensa a Odessa. Sai che c’è un disco prog dei Bee Gees che si chiama Odessa? E poi ricorda un po’ gli Osanna, ammicca agli Area, come del resto tu…Si ricorda bene, anche per uno straniero, visto che questo genere ha una mercato estero…”

Iniziai a registrare con midi sequencer le varie parti di tastiere, basso, batteria e di chitarra; ripresi brani che avevo già composto per gli Oscuri Manifesti e ci lavorai per farne una versione ascoltabile per Loris.

Ripescai anche una vecchia idea; una strofa e un ritornello accattivanti che avevo inciso su cassetta; il brano si sarebbe chiamato “Stazione Getsemani” (forse in omaggio a quel “Gethsemane” che ho cantato in teatro la prima volta che ci siamo visti) ed avrebbe dato il nome al nostro album.

Quindi proposi a Loris due cover da tributare: Caronte dei Trip e Alzo un muro elettrico del Rovescio della Medaglia, che mi piacevano tantissimo.

Pensando alla scelta dei musicisti avevo notato in alcuni locali Valerio De Angelis, che era di Urbino; aveva un’ottima cultura musicale e suonava il basso e lo portai a bordo.

Coi batteristi fu un pianto ed alla fine fu il chitarrista, Boris Bartoletti, a procurarne uno coinvolgendo Federico Filonzi con cui suonava prog-metal.

Al momento di pensare all’intervento di qualche ospite al disco si fece il nome di Aldo Tagliapietra delle Orme, e alla fine fu invitato Gianluca Milanese, flautista leccese degli Aria Palea, band già prodotta da Lizard.

Una menzione particolare va alla copertina, altra idea e merito di Loris. Si tratta della “Crocifissione” (ennesima allusione a Jesus Christ Superstar che sugellò il nostro incontro) di Silvano Braido, pittore affascinante e persona gentile, purtroppo scomparso recentemente (alla sua arte è dedicato il brano “L’Organista del Bosco” nel nostro ultimo lavoro). Il suo stile, tra il favolistico e il surrealista, pastellato, evocativo, è stato il viso perfetto per il nostro disco, a cui diede un ulteriore valore iconico; i suoi quadri dal vivo, personalmente, mi emozionarono: parlano al mio immaginario di bimbo e lo riempiono di suggestioni.

Tra i brani di Stazione Getsemani, “Di Buio e Luce” è un brano malinconico, che parla di amore e protezione.

Nel finale una progressione, in crescendo, prevede l’uso della voce come uno strumento, in una traccia che vuole trasmettere struggimento e riscossa, con uno stile che richiama il Demetrio Stratos di “Arbeit Macht Frei”.

La copertina di Stazione Getsemani

Per arrivare al secondo disco ci sono voluti ben dieci anni; è stato infatti pubblicato nel 2009 The Final Day, album secondo me un po’ distante dal primo; cosa puoi dirci in merito ?

Mentre Stazione Getsemani è partito da un lavoro individuale su cui il gruppo ha lavorato prima di andare in studio, The Final Day raccoglie l’esperienza e i brani che abbiamo approntato a partire dal 2002, quando oltre al già presente Valerio De Angelis (basso), entrarono in pianta stabile nel gruppo Marco Fabbri (batteria) e Giulio Vampa (chitarra) .

Al Prog Sud 2003 presentammo “Viene la sera”, “Taxi”, “Senza Fiato” e altri brani che sarebbero confluite nell’album. Il disco è la summa di quegli anni, fatti di ore in sala prove e appuntamenti live più o meno costanti.

Si tratta di una produzione molto meticolosa; mentre dal vivo i brani, rodati in diversi festival e locali, continuavano a funzionare molto bene, il disco, con nostra sorpresa, venne accolto in maniera discontinua. Qualche recensore lamentò la svolta “commerciale” per brani come “Leila” e “Compra“, mentre d’altra parte il magazine americano Progressive World ci assegnava il punteggio massimo di 5 stelle. Oggi a distanza di 13 anni anche The Final Day viene in qualche modo “riscoperto” e generalmente apprezzato. Si tratta sicuramente di un disco musicalmente straripante, meno inquadrabile di Stazione Getsemani.

La copertina di The Final Day

Anche se dieci anni sembravano parecchi si è giunti a L’alba della civiltà, uscito pochi mesi fa, a tredici anni dal precedente; ci spieghi la genesi dell’album che personalmente reputo il migliore sin qui pubblicato ?

Dal 2010 l’evoluzione del gruppo Fabbri/Vampa/DeAngelis/Giovagnoli si fermò, ed anche se non si sciolse, ebbe alcuni cambi di formazione.

Nel frattempo, a partire dal 2013 iniziai ad acquisire i titoli di studio musicali e non che mi interessava ottenere e che non avevo potuto perseguire perché inconciliabili con il lavoro di ristoratore.

Nel 2018 sentìi l’esigenza di rifondare il gruppo; avevo bisogno di un “ritorno a casa”, anche affettivo; contattai i ragazzi per testare le disponibilità ed in estate tornammo ad esibirci nella formazione cosiddetta “originale”. La stessa che coinvolsi poi per “L’Alba della Civiltà”.

Anche questo disco, come il primo, fu un atto individuale, nella solitudine dei lockdown; io producevo dei provini, in casa; mi confrontavo con Loris, poi li condividevo con la band. Marco e Gianluca mi rimandavano le loro rispettive parti, mentre Giulio e Valerio venivano ad incidere da me. Le voci sono state fatte tutte a casa mia.

Certamente il grande affiatamento, e la cura inedita che ho messo nella produzione e nella postproduzione, ci ha permesso di realizzare un album a distanza che, per quel che mi riguarda, e forse per la prima volta, suona più o meno come volevo che suonasse.

La copertina de L’alba della civilità

La vostra carriera vi ha visto esibirvi live in paesi esteri più che in Italia; secondo te come mai, e cosa pensi della scena musicale italiana ?

Non conosco la scena musicale italiana, in realtà; ho l’impressione che sia da ricostruire; soprattutto le scene locali.

Si può dire che quello del Trasimeno sarà il primo vero e proprio festival prog italiano a cui partecipano gli Odessa.

Abbiamo avuto una buona esperienza con il 70’s Flowers del 2005 (dove tu, Alfredo, ci hai visto), in una cornice dedicata al progressive (serata con Arti e Mestieri e Finisterre) all’interno di un festival comunque più ampio.

Per il resto in Italia abbiamo sempre bazzicato i locali piccoli e medi, qualche festa di piazza, alternandoci tra cover e brani nostri.

Per quello che riguarda l’estero, io mandavo email proponendo il gruppo. Il primo festival a darci fiducia fu il Prog Sud francese che ci fece esibire il 2 maggio 2003 al teatro Jas ‘Rod di Pennes Mirabeau, Marsiglia, e la risposta del pubblico fu enorme. Fummo richiamati sul palco ad acclamazione, finimmo i dischi da vendere, fummo intervistati da diverse fanzines e riviste. Ricevemmo anche un’offerta contrattuale dalla Musea, ma come è evidente, non siamo stati molto prolifici con gli album.

Con il Progsud facemmo amicizie fondamentali tra cui i giornalisti Bruno Cassan e Raymond Serini.

Abbiamo suonato anche al Prog Farm olandese del 2003, al Baja Prog di Mexicali e venimmo segnalati alla direzione artistica del celebre Moods di Montecarlo, dove ci saremmo esibiti nel 2010 dopo un minitour indonesiano.

Nel 2004 risuonammo al Progsud; quindi per i carcerati di Marsiglia e facemmo il sold out in una sala da concerto, la Barasse, con circa 350 paganti.

In Francia abbiamo toccato l’esperienza di essere un nome di richiamo con il passaparola tra la comunità di appassionati, non era poco per motivarci.

La tua vocalità è piuttosto vicina a quella di un grande performer purtroppo non più tra noi, Demetrio Stratos; quali le tue impressioni in proposito ?

E’ sicuramente stato una delle mie folgorazioni adolescenziali; da piccolo ascoltavo tutto ciò che avevo in casa o che passava la tv. Conoscevo bene Battisti, Cocciante, Baglioni, Branduardi; mi piacevano Simon and Garfunkel, gli America, gli Alan Parsons Project e la disco anni ’70.

Rimasi folgorato dal video California Jam dei Deep Purple che vidi a 14 anni, proiettato nella sala comunale del mio paese. Mi diede stimoli sia come cantante (iniziai a esplorare il falsettone, che avevo, nella maniera usata da Ian Gillan) che come tastierista.

Poi conobbi gli Area e i Ribelli e iniziai analogamente a studiare le mille sfaccettature dell’ affascinante vocalità di Demetrio Stratos, da autodidatta, come avevo sempre fatto fino ad allora.

Nel nostro primo disco l’omaggio vocale a Stratos è molto evidente; oggi canto di regola senza riferimenti intenzionali anche se in alcuni brani de “L’Alba della civiltà” ci sono omaggi ad atmosfere di Ennio Morricone, dei Pink Floyd e dello stesso Stratos.

Una recente foto del gruppo

Come hai passato il periodo del lockdown ?

Insegnando nella scuola pubblica, in presenza e a distanza. Durante il primo lockdown, per esorcizzare i lutti e la cupezza di quanto stava accadendo, iniziai a fare una diretta ogni sabato dove suonavo un repertorio ogni volta diverso. Preparai concertini con a tema l’opera moderna e il musical, la black music, la canzone d’autore italiana e angloamericana, il jazz e naturalmente il rock e il prog .

Questo ha riallacciato i fili con certa comunità prog che non seguivo da molto tempo consentendomi di tornare a ad avere contatti con Loris e con Gianluca Milanese; ho quindi conosciuto personaggi come Max ProgPolis, che operano a tempo pieno nel supporto e nella diffusione di questo genere musicale come del resto la stessa associazione Trasimeno Prog.

E’ stata questa esperienza che ha creato le condizioni per darmi l’idea, lo stimolo e la squadra di supporto (Loris, Gianluca, Marco, Giulio e Valerio) per realizzare un nuovo album, cosa che iniziai a novembre 2020, durante il secondo lockdown.

L’Alba della Civiltà” doveva essere un nuovo singolo, uno solo, a nome Odessa; mandai un provino a Loris con testo inglese. Lui approvò, mi consigliò un testo italiano e di contattare Gianluca per le parti di flauto. Gli atri brani sono seguiti a cascata.

Come definiresti il genere musicale della band ?

L’intento creativo, da sempre, è stato quello di creare qualcosa di “classico”, non modaiolo, effimero. Quindi con un occhio alla melodia e all’uso non banale, non liso, degli stilemi.

Le influenze della band sono di chiara matrice progressive, un contenitore ampio, drammaturgico, dove vengono innestati i vari aspetti della nostra identità artistica: l’hard rock, la melodia italiana e il cantautorato, lo swing ed il jazz rock; cerchiamo di usarli come colori, giustificati dall’intento musicale, emozionale e narrativo, e non come un patchwork di stili giustapposti. Questi perlomeno sono i nostri intenti artistici.

Forse il termine Progressive crossover può andare bene; secondo me le sigle amputano sempre qualcosa di ciò che indicano.

Caratteristica che è comune alle vostre pubblicazioni è stata sempre quella di cimentarvi nella rilettura di brani già editi di artisti quali Area, Rovescio della Medaglia, Trip e Pooh; ci puoi spiegare come avete effettuato le scelte ?

Per Stazione Getsemani, nelle circostanze spiegate in precedenza, sette brani sembravano pochini e pensai a metter mano a queste due canzoni che mi piacevano tantissimo, del prog italiano d’annata: Caronte e Alzo un Muro Elettrico.

Inaugurata questa “tradizione”, in The Final Day decidemmo di includere Cometa Rossa degli Area nella nostra versione, perché faceva parte della nostra storia; la eseguimmo nel 1999 per la prima volta, con Boris Bartoletti, perché all’”Omaggio a Demetrio Stratos” di Alberone di Cento era richiesto appunto un omaggio che attingesse in maniera originale al repertorio di Demetrio Stratos. Facemmo quindi questa versione “Hard Prog” di Cometa Rossa, inclusa nel CD live della serata diffuso dalla Mellow Records.

Un video che ci riprende intenti a suonarla, tratto da un concerto nel 2002 ad Urbino (con Giulio e Marco entrati da poco) ci valse una certa nomea.

Per l’Alba della Civiltà decidemmo con Loris di rinnovare l’usanza e il brano lo proposi ancora io. C’è questo documento che gira su Youtube, con i giovani Pooh che nel 1972 suonano in teatro una versione primordiale de “L’Anno, il Posto, l’Ora”, con ancora Riccardo Fogli al basso. Le atmosfere sono così cupe, sinfoniche e potenti che mi è venuta voglia di recuperare quell’arrangiamento ed adattarlo agli Odessa. Come i Pooh, anche noi cantiamo tutti e quattro, per la prima volta.

Circa un paio di mesi fa ho potuto testare durante il concerto al Museo della Batteria di Fano le vostre doti concertistiche; l’esibizione al festival sarà quindi importante anche per un ulteriore motivo; puoi spiegarci quale ?

Un Festival è una cornice che impreziosisce l’artista. Una buona location, un buon suono ed un pubblico predisposto all’ascolto sono quanto di più desiderabile per un artista. Inoltre, per la prima volta ci esibiremo in 5, con Gianluca al flauto.

Uno scatto dal concerto di Fano dello scorso 4 giugno

Solitamente ascolti musica che non sia la tua?

Si, ne ascolto e ne ho ascoltata tanta. Anche come maestro di canto, per forza di cose.

Ultimamente sono un po’ a corto di stimoli in questo senso. Quando un prodotto artistico mi interessa ho bisogno di ascoltarlo a lungo per assimilarlo. L’ultima volta mi è capitato con i 10cc, un notevolissimo gruppo inglese attivo dagli anni ’70.

Ci sono altri progetti in vista nell’immediato futuro ?

Sono indeciso se concentrarmi su un disco solista o su un nuovo album degli Odessa.

Ringraziamo Lorenzo Giovagnoli per la sua cortesia e disponibilità. Ricordiamo che il concerto degli Odessa si terrà il 26 agosto alla Rocca Medievale di Castiglione del Lago, nella seconda serata della terza edizione del Trasimeno Prog Festival.

Prima della band marchigiana si esibirà il gruppo di Giorgio “Fico” Piazza ed il trio di Richard Sinclair.

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