Vanni Capoccia: “La nostra Fontana, madre e figlia”

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Vanni Capoccia dedicato alla Fontana Maggiore, simbolo di Perugia, alla sua storia e ai cantieri necessari che l’hanno riguardata in passato, la riguardano oggi, la riguarderanno domani. Con un ammonimento di fondo alla città: “làssela stae”. Che è l’esatto contrario del concetto di abbandono, ma anzi l’invito a occuparsene come fosse madre e come fosse figlia.

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La nostra Fontana, madre e figlia

di Vanni Capoccia 

In questi giorni vediamo la Fontana Maggiore di Perugia circondata da un imponente cantiere che non è per lei. In passato, invece, altri cantieri la riguardarono direttamente dando la possibilità a Federico Berardi di scrivere “La nostra Fontèna” il suo poemetto d’amore verso la nostra Fontana di Piazza.

Il primo cantiere, ovviamente, è stato quel concentrato di geni che grazie al Comune e Fra’ Bevignate lavorarono per farla venire al mondo: “…e da le loro mano / vinnon fora i disegne e la scoltura / ch’è e sarà bella ‘nsin che ‘l monno dura”.

Da allora la Fontana è stata affidata alle varie magistrature che Perugia ha avuto e alle mani e conoscenze di esperti di ogni tempo come quelli del 1949 quando con la Seconda guerra mondiale da poco finita e con ben altri pensieri per la testa vollero restaurarla. Fu in quell’occasione che Berardi scrisse il suo canto alla Fontana (ristampato nel 1999 in occasione di un altro restauro) nel quale afferma con orgoglio che la Fontana è un bene civico e la responsabilità che perugine e perugini hanno nei suoi confronti: “È l’onor de Perugia e l’ornamento, / è forsi, ‘l su’ più bello monimento (…) guardela puro, ma… làssela stae”.

Perché quel “làssela stae” che vuol dire lasciala in pace in senso figurato “non farti venire strane idee su di essa” vale prima di tutto come ammonimento per noi perugini: non vuol dire “tu lasciala stare, ché solo noi possiamo farne quel che ci pare ed è più conveniente per noi”, ma dice che dobbiamo essere noi a occuparci di lei rispettandola, essendole utili quando ha bisogno, amandola di quel bene assoluto che si può provare e si deve avere verso un organismo vivente che contemporaneamente ti è madre e figlia.

Ora, mentre vediamo la Fontana, nostra madre e nostra figlia, circondata da un cantiere che non è per lei siamo venuti a sapere che avrà bisogno di un altro importante restauro. Non è una bella notizia, speriamo serva a comprendere che se vogliamo che la nostra Fontana viva e rimanga dov’è fin che il mondo dura dovremo lasciarla in pace libera di far sentire la sua voce, come ha scritto Federico Berardi “arguarita, arnovèta, e tutta piena / d’acqua che sgorga, arcasca, brilla e canta”.

Redazione Vivo Umbria: