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Vanni Capoccia: “Ìssne di Nadia Mogini, un andarsene che non avrà fine”

Riceviamo e pubblichiamo questa recensione di Vanni Capoccia sul libro di poesie in dialetto perugino di Nadia Mogini “Ìssene” (Andarsene).

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Un andarsene che non avrà fine

di Vanni Capoccia

Walter Cremonte nella prefazione Gettlìni de linòrio (Germogli di alloro) la seconda raccolta poetica di Nadia Mogini nel dialetto perugino conclude scrivendo che è un libro bellissimo, e ha ragione. Un libro di poesie preceduto da un’altra breve raccolta in perugino che a me pare di altissimo livello sin dal titolo: Ìssene (Andarsene). Quando lo lessi – sebbene sia nato in un vicolo del borgo popolare di Porzantangelo (Corso Garibaldi) e ho sentito parlare per la prima volta italiano dal maestro elementare – ho chiesto aiuto a mia moglie Patrizia “ma issene per andarsene è perugino? Non si dice gissene o andassene?”. “Certo che è perugino. Da ire: “so ito” per sono andato, “ndua sé ito” per dove sei andato, “issne” per andarsene.

Mi ha fatto ricordare che i poeti cercano lo slancio per le loro poesie dal primo verso. Lo chiamano l’aire da “a ire” ad andare, e il libro di Nadia prende lo slancio verso la poesia, che non perde mai, sin dal titolo. Un titolo colto, perché se è vero che Nadia per le sue poesie – non sono poesie dialettali ma poesia in dialetto perugino – ripesca le parole dal dialetto del suo borgo perugino e che sentiva in famiglia è altrettanto vero che le filtra con la sua cultura come si percepisce dall’uso sapiente di endecasillabi che sembrano essere emersi da qualche antico cantico “si vòl la luce o l gnente, nnél zzè più” od ancora “guasi che fusse rubbà ta chi non pòle”.

Quella di Nadia è una lingua poetica, popolare e nel contempo colta con la quale con Ìssne ha scritto un pianto silenzioso per la morte del marito Lorenzo con un prima che inizia con un “Ce dà mòsco stò freddo” che fa intuire che il pianto di Nadia non avrà consolazione. Continua con l’inizio della pena “Èn volati i merlini da la cova e / sa come de incomìncio de na fine. // Èn volati i merlini da la cova / èn partiti verzzo na vita nova. / La cova è armàsta sola” con l’uso del vezzeggiativo “merlini” per descrivere con una parola dolce un dolore che già l’ha resa sola.

Già sa che la sua non sarà una “vita nova”, chiara citazione dantesca, ma una solitudine senza fine; “Spaiata”, come scrive in un’altra poesia con una similitudine bellissima e agghiacciante perché spaiata è la tazzina rimasta di un servizio andato in cocci, spaiato è il calzino da buttare orfano dell’altro bucato.

E così fino al termine di questa breve e profonda raccolta che dal silenzio da cui nasce la poesia racconta, riservate nel contempo aperta, dell’intimo dolore che nasce da un’assenza “La casa, zzitta, penzza / con quil’educazzione / de chi à riguardo / e sente la mancanza”. Perché Ìssne racconta di un andarsene, di un percorso iniziato ma non finito che, Nadia lo sa bene, non finirà mai.

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