Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Vanni Capoccia che si occupa, come lui stesso tiene a specificare in premessa, di un “poco conosciuto maestro perugino del Trecento“: il maestro di Paciano.
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Il colorito linguaggio del maestro di Paciano
di Vanni Capoccia
C’è voluta la mostra sul Maestro di san Francesco per rivedere esposto in Galleria il dossale proveniente dalla Chiesa di sant’Antonio a Paciano, cittadina nelle colline intorno al lago Trasimeno, dalla quale prende il nome lo sconosciuto Maestro di Paciano autore di quest’opera le cui fonti vanno rintracciate ad Assisi tra Simone Martini per le arcatelle e il paliotto del più tardo Maestro di san Francesco per la sequela di santi tra i quali risalta in fondo a destra l’immagine di Egiziaca, santa eremita vissuta per decenni come una figlia dei lupi girando nuda per il deserto nutrendosi di bacche e radici sepolta alla sua morte da un leone che compassionevole le scavò la fossa.
Ma quello che faceva rimpiangere questo dossale finito nei depositi sono le storie della Passione nel retro. Che peccato che siano in buona parte andate perse! descrivono l’autentica vena di quest’onesto pittore perugino del ‘300 che nonostante la drammaticità degli episodi del Calvario li racconta con gusto popolare.
La sua è una vena aneddotica dal linguaggio pittorico domestico e colorito al punto che intorno al bacio di Giuda si è formata una chiassosa baraonda di personaggi della quale rende bene l’idea Pietro Scarpellini quando descrive “Pietro che per troncare l’orecchio a Malco gli sale addirittura addosso come fa il macellaio quando scanna il porco”.
Sempre del Maestro di Paciano è la Crocefissione al Museo della Cattedrale di Perugia proveniente dalla Chiesa parrocchiale di Migiana di Monte Malbe. Si tratta della cimasa mistilinea di un polittico dalle figure allungate con gli angioletti che come uccellini non riescono a star fermi intorno al Cristo dal perizoma minuziosamente ricamato. E visto che a pochi metri dalla cattedrale c’è la Chiesa di san Severo e sant’Agata è consigliabile andare in quella severa Chiesa anche nell’aspetto per guardare la “lorenzettana” crocefissione nella parete di fondo che Scarpellini attribuisce al Maestro di Paciano con un prudente punto interrogativo credo dovuto alle cattive condizioni dell’affresco perché ora, dopo il bel restauro, le analogie tra i due Cristi in croce sono più evidenti.
Mentre esposti in Pinacoteca sono i suoi due laterali di un trittico con un’Annunciazione e santi francescani e domenicani nelle cuspidi e la Presentazione al tempio e un’Adorazione dei magi, così minuziosi nella descrizione di vesti, edifici e scritti sembrano derivare dalla pratica minatoria svolta dal loro autore.
In definitiva un maestro perugino pittore e miniatore dalla vivace gamma di colori, timoroso del vuoto, dallo stile familiare al punto che guardandolo sembra di sentir raccontare in libertà episodi della storia di Cristo come se si stesse a tavola tra amici. Un “piccolo ma assai personale artista” (Pietro Scarpellini) perugino che si è costantemente abbeverato d’immagini nel cantiere della basilica francescana d’Assisi restituendole con il suo linguaggio colorito e l’esagerazione espressiva tipica della pittura perugina del Trecento.
Le foto del dossale sono della Galleria Nazionale dell’Umbria