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“Una guerra, quale pace?”: riflessioni sul capolavoro di Tolstoj all’Unitre di Orvieto

ORVIETO – Con la pregevole iniziativa dello scorso 9 novembre dedicata a Lev Nikolaevič Tolstoj con l’emblematico titolo “Una guerra e quale pace? La rinascita secondo L. N. Tolstoj”, l’Unitre di Orvieto, si conferma sempre più come un ineludibile riferimento culturale della città e, come spesso piace sottolineare al suo presidente Riccardo Cambri, come Università non solo della Terza ma delle Tre Età, ossia sensibile al dialogo intergenerazionale e al coinvolgimento fattivo delle giovani generazioni.

Non era facile sintetizzare con efficacia l’argomento, basato sul monumentale affresco tolstojano di Guerra e pace, ma lo ha fatto in modo egregio il professor Natale Fioretto, docente all’Università per Stranieri di Perugia che, introdotto dal  professor Angelo Marroco del Liceo Classico di Orvieto, ha saputo tracciare un itinerario magistrale collegando il pensiero filosofico e morale di Tolstoj a questo suo capolavoro narrativo. All’incontro, rivolto ad alcune classi di studenti e studentesse dell’IISACP di Orvieto e a un più ampio pubblico presente nell’auditorium di Palazzo Coelli, hanno dato un valido contributo, con il loro lavoro di ricerca sui personaggi del romanzo, alcune studentesse dei Licei classico e artistico coordinate dalla professoressa Marella Pappalardo.

Abbiamo detto “romanzo”, ma più volte è stato sottolineato come, per la sua innovatività e originalità, l’epoca, e lo stesso Tolstoj, non lo considerasse propriamente tale, ma piuttosto un’opera ibrida di epica, filosofia, saggistica morale e politica, in cui la narrazione storica e la finzione letteraria – tuttavia profondamente radicata nella realtà sociale e culturale della Russia – contribuiscono a tracciare un ineguagliabile capolavoro narrativo. Nella mente dello scrittore fin da quando aveva militato come ufficiale nella guerra di Crimea (1853-1856), tracciato in una prima, più breve versione con il titolo Tutto è bene quel che finisce bene, scritto nella versione che conosciamo tra il 1863 e il 1869, è in ogni caso un grande romanzo che ha inciso profondamente sulle letterature mondiali, contribuendo all’evoluzione del genere narrativo e alla formazione di molti grandi scrittori. L’affresco è collocato, storicamente, nell’epoca delle guerre napoleoniche, in particolare durante la campagna napoleonica di Russia nel 1812, e intreccia magistralmente la narrazione degli eventi storici e politici alla vita di due famiglie della buona aristocrazia, i Bolkonskij e i Rostov, in un ricco e articolato itinerario dialettico in cui, attraverso l’evoluzione, le riflessioni e i cambiamenti di prospettiva dei personaggi, i due concetti principali – la guerra, appunto, e la pace – si dispiegano in tutta la loro problematicità.

Complesso, certamente, il tema della guerra: un’azione inevitabilmente sanguinosa e violenta fondata – come fra altre stimolanti osservazioni ha evidenziato il Prof. Fioretto – sulla triade “zarismo, esercito, chiesa”: una triade storica ben precisa nell’opera tolstojana, che tuttavia replica ancora oggi l’azione guerresca laddove, come in questo caso, si coagulano l’identità intesa come supremazia, il potere militare e l’estremismo confessionale. Dialettico e problematico il punto di vista: con Napoleone vero despota sempre uguale a sé stesso, che solo si cura della sua gloria, e il generale Kutuzov che ha invece a cuore la vita dei suoi uomini, e per questo rimanda lo scontro e organizza con intelligenza quella ritirata strategica che si rivelerà più vincente di un’improvvida battaglia; e con personaggi quali Pierre Bezuchov e Andrej Bolkonskij che, dando voce alle tensioni e agli interrogativi dell’animo inquieto di Tolstoj, maturano passaggi cruciali verso un concetto, o ancor meglio verso una pratica di pace. Ma “quale pace”, appunto? È questo un tema ancora più articolato e complesso: ché non si tratta, semplicemente, della vita quotidiana e familiare lontana dalla guerra, o della mera cessazione di un conflitto attraverso i rituali trattati di pace, ma di un atteggiamento etico e filosofico che ha radice nel mutamento che avviene dentro il proprio sé, nel ripudio dell’odio e finanche dell’indifferenza e nell’affiorare – non a caso per i personaggi chiave volgendo gli occhi al cielo – di un sentimento di amore universale per ogni forma di vita e per gli umani. Una “rinascita” appunto, un amore e un imperativo morale che, per Tolstoj, trovano fondamento nei valori dell’originaria cultura contadina russa, piuttosto che nella vacua imitazione della vita delle corti e dei salotti aristocratici europei.

Molto valido e ben centrato, in questo senso, il lavoro delle allieve coordinate dalla Prof.ssa Pappalardo, che attraverso l’analisi di alcuni stralci del romanzo hanno ripercorso, analizzando l’evoluzione di personaggi come il principe Andrej Bolkonskij, Pierre Bezuchov, Nikolaj Rostov e Nataša Rostova, l’interessante itinerario interpretativo tracciato dal Prof. Fioretto.

Una mattinata di riflessione che stimola riflessioni ulteriori, che ben si collocano in questa nostra epoca in cui il proliferare e l’estendersi di conflitti spietati convoca, ineludibilmente, a una qualche rinascita di amorevole, umano sentire. Quel volgere lo sguardo al cielo dei personaggi tolstojani, non può non richiamare, in tutta la sua necessità, il noto imperativo kantiano: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”.

Laura Ricci

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