Un tesoro di detti, storielle e curiosità che “Marzio” Marsilio Costantini di Gabbio ci raccontava da bambini

FERENTILLOPartiamo da Gabbio, piccola frazione aggrappata all’omonimo monte, per fare un tuffo a ritroso nel tempo, per scoprire detti e curiosità sulla vita di tutti i giorni; quello che si raccontava attorno al fuoco, oppure nei campi durante la mietitura. Era una meta ambita per noi fanciulli raggiungere, con una passeggiata, a primavera, questo paesino, che all’epoca ancora annoverava qualche residente. La strada era una singolare mulattiera che si snodava tra gli ulivi, tra radure fiorite di margherite, anemoni e profumate giunchiglie. La sosta obbligata era alla fonte delle Cave, dove dalla montagna, in un canaletto di pietra fuoriusciva fresca e Argentina acqua purissima. Qui si consumava la frugale merenda, qualcuno faceva pipì, le bambine si aggiustavano i capelli specchiandosi nell’acqua limpida.

Questo accadeva sempre di maggio. Come un rito. Giungevamo al paesino. Marzio, Marsilio Costantini, ci attendeva su in cima all’abitato, al tempo delle ciliegie, con il cesto ce ne offriva a volontà. E noi lì, tutti attorno a lui, ad ascoltare i suoi racconti, aneddoti, curiosità.

Raccontiamo e sveliamo alcuni di questi aneddoti soprattutto in questo periodo delle festività di San Valentino e dell’amore. Iniziamo con la Traditio Puellae. Era la consegna al marito al momento del matrimonio della sposa lui destinata per il mundium (una usanza molto radicata in Umbria soprattutto nei piccoli centri, nel periodo medievale). Il Mundium (tutore) dava il diritto di concludere il fidanzamento e di consegnare la ragazza al momento delle nozze con la Traditio Puellae. Prassi in uso tra le famiglie benestanti che strumentalizzavano il matrimonio delle figlie per interessi patrimoniali o politici a volte contro il volere della giovane.

Tantissimi i detti premonitori di sventura: non c’è due senza tre; dopo due morti ne segue un terzo; era cattivo presagio (morte dei vicini) udire il canto della civetta e il lungo ululato dei cani; se un gatto o un uccello entrano nella camera ardente seguirà un altro decesso in famiglia; sognare acqua torbida, preti, uova, e un dente di cane è prossima  la morte di un parente; tredici o diciassette a tavola porta male; udire i busti di Sant’Antonio o l’ orologio di San Pasquale; lo spegnersi di un lume nella camera di un malato; vedere un prete come prima persona che si incontra il primo dell’anno; rifare il letto in tre persone; dormire con i piedi verso la porta della camera; se il gallo canta come la gallina il padrone va in rovina (muore), se la gallina canta come il gallo il padrone va a cavallo (gode di salute). Se l’agonia di un malato era lunga significava che doveva riconciliarsi con qualcuno che veniva chiamato fretta. Se a morire era una strega, chi ne avesse voluto ereditare le sue doti magiche doveva stringerle la mano al momento del trapasso, avvenuto il decesso, si aprivano le finestre per far uscire liberamente l’anima. Appena un malato spirava, in camera di coprivano gli specchi perché l’anima non si fosse sbagliata. Ai bambini defunti si tagliava una fezza (ciocca) di capelli per ricordo e la si poneva in un medaglione il quale si apprendeva al collo sia della mamma che della nonna. Nella casa non si esponeva l’ oro, perché il Signore, aiuterà l’anima povera; il rosario si metteva spezzato tra le mani del defunto altrimenti l’anima sarebbe andata incontro ad un viaggio senza fine; il cuscino o il guanciale non doveva essere di penne, che sarebbero state altrettanto pene, ma vi si ponevano cinque monetine, qualche oggetto caro, in alcuni casi la mantellina della confraternita, fiori e il pettine. Chi partecipava ad un accompagno (funerale) riceveva in elemosina o soldi o pane o un bicchiere di vino. Si credeva che la morte di persone pessime in vita era segnata da cattivo tempo, mentre quella degli avari da forte vento. Sotto il letto si metteva la scopa e il pungitopo per allontanare le streghe. Sulle vie e nei campi, dove e morto qualcuno, si poneva una croce. Si credeva che il Purgatorio fosse sospeso tra terra e cielo, mentre il paradiso era oltre le stelle. Si supponeva che le anime del Purgatorio potevano ritornare sulla terra per ricordare le preghiere o per suggerire opere buone, come quello di ispirare ai mendicanti di bussare alle porte senza fare rumore per non spaventare; inverso per le anime dannate, o morti violenti, che appaiono come fantasmi irrequieti. I bambini battezzati morti che non erano nutriti di latte materno diventavano angeli in paradiso, chi invece aveva succhiato latte resta in purgatorio il tempo quanto e’ stato  al seno materno, considerando che le madri, fino al giorno della purificazione sono impure.

Queste sono alcune delle curiosità che raccontava Marsilio: “Agabbio sta piantato sopra ad un fico, c’è una ragazza che non sa infilare l’ago e ci pretende di pigliare marito”; ma anche rivolte ai Santi: “acquerella non vinine, San Vincenzo sta a dormire su le bracci del Signore: cessi l’acqua e venga ‘l sole, ecco li lampi e ecco la saetta curri curri…. Vergine benedetta e me te metti accanto Padre Fjiolo e Spirito Santo. A lettu a lettu me ne vaco, l’anima mia la do a Dio, a Iddio e San Giovanni senza ‘nvidia  e senza ‘nganni, ne de notte e ne de di’ fino al punto de mori. Nel cor de Gesù che me ha redento, in pace me riposo e m’ addormento.

Gabbio e un luogo di silenzio, di ricerca interiore solo il canto degli uccelli e i lontani rumori provenienti dalla valle, riescono, con il loro lamento a riportare la memoria in ricordi lontani.

Ricordi di infanzia, scampagnate sui  prati. Ricordi che tornano ogni volta che si giunge qui, a Gabbio, puntuali, e senti ancora il verso degli armenti, il dondolio dei rami degli antichi ulivi, il profumo dei fiori. Ripensando a quei tempi lontani, felicità di una infanzia vissuta per intero. Colorate diapositive di attimi trascorsi che vorremmo far tornare, che vorremmo riproporre a noi stessi e a coloro che amiamo.

Ma non c’è più tempo, non ci sono più quelle figure che ci hanno tenuto per mano su quel sentiero che conduce a questo luogo di silenzio, in una tiepida giornata di aprile, a cogliere asparagi e anemoni, con la merenda nel cestino, con quel fiocco azzurro stretto al collo, che dava certo fastidio, soffocava. Stringeva a perdifiato quella primavera della giovinezza.

Carlo Favetti: Nato a Ferentillo, ho pubblicato saggi d'arte, volumi di storia e libri di poesie. Ho collaborato con il Corriere dell'Umbria dal 1998 al 2010 e poi con il Il Giornale dell'Umbria. Nel 1993 ho fondato l'associazione culturale Alberico I Cybo Malaspina.