PERUGIA – Non più tardi di una settimana fa, sono stato testimone di un episodio amaro proprio di fronte al balcone della mia abitazione: un uomo aveva infranto il contenitore degli indumenti destinati alla Caritas e incurante di chi stava osservando la scena dalle finestre, ne misurava la taglia per selezionarli e portarseli via. Poco più tardi mi è arrivata notizia che nello stesso quartiere un anziano era stato derubato della pensione da uno scippatore. Sono piccoli episodi di microcriminalità che si susseguono in una città come Perugia che, nonostante tutto, conserva una discreta qualità della vita. Ma sono episodi che nel contempo presentano prospettive e quadri più ampi, ma sicuramente meno rassicuranti. L’Umbria, questa terra di mezzo tra un Nord che sino a un mese fa trainava il Paese e un Sud che sconta il dominio delle mafie e della povertà che lo attesta tra le aree più arretrate d’Europa; l’Umbria, questa terra cerniera depositaria di antiche memorie che affondano le radici nel Medioevo, terra di pace e di accoglienza, ormai terra che i giovani abbandonano, martoriata dagli eventi sismici che più e più volte l’hanno messa e rimessa in ginocchio è tra le regioni che meno di altre sono state travolte dall’emergenza Covid19. Grazie soprattutto – come del resto nel resto d’Italia – a chi non si è sottratto ai rischi del contagio e che sta combattendo tra le corsie d’ospedale contro il diffondersi della pandemia. Forse è presto per dire che sia lontana dalle possibilità che i focolai siano ormai isolati e debellati, ma sembra che il sistema sanitario stia reggendo l’impatto, mantenendo stabile il rapporto tra contagi e emergenze rispetto alle complessive capacità sanitarie di sostenere l’emergenza. Ma l’Umbria delle promesse di chi giurò che non sarebbe rimasta sola nell’affrontare gli squarci del terremoto, è stanca. Sembra rassegnata. E continua a lottare nella sua compostezza, in quel senso dell’ethos che anzi, in questo momento di massima difficoltà, si è rafforzato. Un sentimento etico che le imprime una dignità ormai sconosciuta in altre latitudini. La compostezza con la quale i sindaci dei più piccoli comuni umbri, hanno manifestato il loro cordoglio per le vittime del coronavirus, i tricolori a mezz’asta nell’umiltà francescana di chi non dispone di grandi mezzi, se non del senso di una comunità che si raccoglie in se stessa e nel proprio dolore, rinvia anche alla miriade di iniziative di solidarietà che in questo periodo hanno preso vita. Ne ricordo molte, ma in particolare me ne ha colpito una, avviata a Panicale sul Lago Trasimeno. Lì gli anziani – e in Umbria sono tanti – sono stati coinvolti nella realizzazione di lavori a maglia da destinare ai piccoli nati prematuri, sostenuti e cullati dai “nonni” di una vera comunità che supera così idealmente le misure di distanziamento sociale. Vicini nel senso di un’identificazione nell’ “altro”, per contribuire alla definizione un volto, un corpo, un futuro. Ecco, è in questo senso di appartenenza, in questo ethos che l’Umbria si riconosce e che soffre delle solitudini sociali che cominciano ad emergere, veri allarmi per la terra di mezzo, sospesa tra Nord e Sud. Sud di cui teme un altro tipo di “contagio” dei tanti impieghi temporanei, anzi giornalieri, dove la “fame”, insieme all’inquietudine sociale – come ha ricordato Papa Francesco – cominciano a farsi sentire.