Umbria Jazz Winter nel segno di Bill Frisell con un progetto originale in esclusiva per il festival di Orvieto

PERUGIA –  E’ l’evento di Umbria Jazz Winter (28 dicembre – 2 gennaio): una produzione originale ed esclusiva che vedrà Orvieto essere catapultata al centro della scena jazzistica internazionale, la cui eco si diffonderà in tutto il mondo. Protagonisti dell’evento saranno il trio di Bill Frisell, l’Orchestra di Umbria Jazz con una buona parte di musicisti umbri, il direttore Michael Gibbs che dirigerà le musiche originali di Bill Frisell, chitarrista e compositore tra le icone del jazz e del blues degli ultimi trenta anni. Ne parliamo con Manuele Morbidini, sassofonista e compositore, tra le figure di riferimento dell’Orchestra di Umbria Jazz.

 

Bill Frisell con la direzione di Michael Gibbs. A che punto siete?

“Stiamo lavorando, siamo a buon punto, ma chiaramente essendo un progetto originale è in fieri fino all’ultimo. Il bello di fare musica originale porta con sé anche un’attenzione sino all’ultimo minuto, perché sappiamo quasi soltanto il giorno precedente cosa dobbiamo fare come orchestra. E’ un grande impegno ma è anche il bello: costruire una cosa da zero e vederla crescere”.

 

Ma come si svolgono le sessioni di prove?

“Le prove con tutti quanti si svolgono solo nei giorni immediatamente precedenti a Orvieto. C’è però un lungo lavoro che dura mesi in cui si provano cose a pezzi, si vede la musica. Io e Gibbs ci sentiamo spesso per controllare una cosa e l’altra. E’ un lavoro che si fa a distanza per mesi e poi finito a montare dei pezzi. Poi soltanto i giorni precedenti all’inizio del festival, abbiamo l’esatta verifica sul lavoro fatto”.

 

Se dovessi individuare un ulteriore progresso al tuo bagaglio culturale e musicale e a quello dell’orchestra rispetto a questa relazione con Michael Gibbs, cosa individueresti? Cosa ti sta lasciando questa esperienza?

 

“In realtà ogni volta che si lavora con grandi personalità, c’è sempre molto che rimane e sono da un lato delle cose tecniche o specificamente musicali di cui potrei ogni volta fare un elenco. Però in realtà il quid che fa la differenza è qualcosa di non facilmente definibile, ma molto presente quando si lavora con personalità che hanno un rapporto profondissimo con la musica, la crescita avviene per una sorta di alchimia del contatto.

 

Vuoi dire che non solo da un punto di vista tecnico-musicale, ma anche umano…

“Non proprio. E’ comunque una cosa musicale, prettamente artistica, però piuttosto che dei fatti specifici che una cosa o l’altra si fa un modo o in un altro, il vero aspetto dirimente è che le grandi personalità hanno una capacità di irradiare un feeling rispetto alla musica di cui tutti i musicisti coinvolti partecipano. Questo è l’aspetto meno spiegabile, ma più prezioso”.

 

 

Se invece dovessi individuare delle peculiarità tecniche e non solo di questo progetto musicale di Bill Frisell, quali potrebbero essere i punti salienti?

 

“Come sempre la musica di Frisell è una musica apparentemente estremamente semplice ed è suggestiva per la sua semplicità che è lo specchio di una perfezione formale che è abbastanza unica. Anche in questo caso tutta la musica ha una sua luminosa semplicità che però è uno dei cimenti più difficili per un musicista. Cioè lavorare con pochissimo materiale alla ricerca di una perfezione di elementi essenziali è un lavoro di grande concentrazione per cui serve un’adesione perfetta alla logica dei suoni che vengono impiegati. Il tratto è comunque sempre questo: quell’equilibrio quasi miracoloso di una semplicità assoluta, ma che in realtà nasconde una quantità di dettagli, di equilibri e di relazioni che chiama in causa tutta la capacità di concentrazione, di immersione nella musica che è possibile mettere in campo”.

 

L’orchestra come sta rispondendo?

“In realtà sono tutti entusiasti. Per la gente della mia generazione Bill Frisell è un’icona e la sua musica è molto presente negli ascolti, nella formazione. E’ una musica estremamente peculiare ma per noi in particolare, per chi si è formato negli anni Novante-Duemila, è una musica istituzionalizzata, è un ingrediente della musica americana degli ultimi anni così insostituibile che tutti hanno un loro proprio rapporto con questa musica. E dunque abbiamo tutti l’entusiasmo di essere immersi in qualcosa che per noi naturalmente è nuovo perché non l’abbiamo mai fatto in questi termini, ma che è anche familiare”.

 

Umbria Jazz, dunque, si appresta a dar vita ad un’esclusiva originale, pensata e realizzata appositamente per un festival. Un fatto importante che segna anche un nuovo ruolo del festival che passa così dalla mera organizzazione di concerti a quella ben più complessa e interessante della produzione…

 

“Si tratta di una produzione davvero importante e per la piccola storia delle produzioni fatte con l’orchestra dal festival, è un ulteriore progresso in termini di prestigio e peso specifico del lavoro fatto. In questo caso siamo di fronte a una produzione che coinvolge il centro della scena jazzistica internazionale che si svolge ad Orvieto. Umbria jazz con questa produzione conferma non solo di essere uno dei festival più importanti d’Europa e del mondo, ma è un festival in cui avvengono le cose che segnano la scena jazzistica internazionale. Una produzione del genere di Frisell che si faccia a Orvieto e non che Orvieto comperi una replica, è un fatto che per i non addetti ai lavori potrà non esser evidentissimo, ma per chi ha la percezione di come funziona il mondo di questa musica, è un elemento importante. La capitale del jazz è New York, ma in una piccola città dell’Umbria accadono delle cose decisive che anche a New York interessano ed è questo che è importante”.

Claudio Bianconi: Arte, cultura, ma soprattutto musica sono tra i miei argomenti preferiti. Ho frequentato il Dams (Scienze e Tecnologie delle Arti, dello Spettacolo e del Cinema). Tra i miei altri interessi figurano filosofia; psicologia archetipica; antropologia ed etnologia; fotografia-video; grafica, fumetti, architettura; viaggi.