TERNI – Sono passati sette anni da quando Umbria Jazz – comprese le parentesi Covid – è tornata a Terni. Ne va fiero il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio, Luigi Carlini, che con altrettanto orgoglio annuncia l’edizione 2024 di Umbria Jazz Weekend dal 12 al 15 settembre, certo di aver reso un servizio culturale e sociale alla cittadinanza e forte del fatto che in questi anni si sono fatte più intense le relazioni con gli assessorati regionali e comunali ai fini del successo del festival.
L’assessora comunale alla Cultura Michela Bordoni ha invece insistito sui caratteri “identitari” su cui il Comune sta lavorando per caratterizzare il festival ternano di Umbria Jazz (tema su cui torneremo in seguito), con l’individuazione della location di Piediluco e l’allargamento del perimetro del centro con l’inclusione di piazza Valnerina. Il presidente della Fondazione Umbria Jazz Gian Luca Laurenzi va anche lui fiero del fatto che nel corso del suo mandato (in scadenza) si è riusciti a svolgere Umbria Jazz a Terni compreso l’annus horribilis del 2020 per il Covid, mentre l’assessora regionale al turismo e alla cultura Paola Agabiti (anche lei in scadenza di mandato) ha ringraziato tutti: Fondazione Cassa di Risparmio, assessorato comunale, ma soprattutto il direttore artistico Carlo Pagnotta, senza di lui non esisterebbe Umbria Jazz, il quale Pagnotta si chiede tutt’oggi, a distanza di sette anni dal ritorno a Terni, perché i ternani debbano essere i parenti poveri di Umbria Jazz, se è vero che ad esempio il budget di Orvieto ammonta a circa il doppio di quello di Terni che con i suoi 380 mila euro è la terza città umbra in quanto a risorse disponibili.
Poi passa alla musica e in fatto di musica, oltre al fatto che si potrebbe fare di più, definisce interessante il programma con un rinnovato ruolo centrale di piazza della Repubblica con musica quasi non-stop, dall’afrobeat africano, al blues al gospel, elogia gli instancabili Funk Off e tutto il pubblico che partecipa ad ogni loro evento, fa riferimento a Peter Bernstein, tra i più importanti chitarristi affermatosi a New York e a Danilo Rea che ha voluto quest’anno a compendio del 2020 quando il Covid gli impedì di partecipare, ringrazia i ragazzi di Baravai e del B Side che ospiteranno lo swing del tentetto di Nico Gori e plaude UJ4Kinds, lo spazio che Umbria Jazz dedica ai più piccoli.
Sui tratti identitari del festival ternano accennati dall’assessora comunale alla Cultura Michela Bordoni urge infine una riflessione.
La sensazione che in questi sette anni di Umbria Jazz a Terni emerge è che Terni non suscitando l’appeal di città storico-artistiche come Perugia e Orvieto, incastonate nei loro contesti architettonici e paesaggistici, fatica a trovare una propria individuazione territoriale, me più che di identità, sarebbe più corretto parlare di marketing territoriale. E’ infatti attraverso un’ampia operazione di promozione territoriale con la creazione di eventi di alto richiamo ad hoc che il festival ternano potrebbe trovare una propria più precipua collocazione nell’ambito del sistema Umbria Jazz regionale. Ma per fare marketing è necessario prima di tutto valutare le risorse che si è disposti ad investire per la promozione.
Questo è il punto nodale su cui ha insistito particolarmente Carlo Pagnotta che ha affermato che i 380 mila euro del budget ternano sono appena sufficienti per le spese di produzione e che ricorda che, dopo il Covid, i costi sono aumentati dal 30 al 50 per cento in più, compresa l’esosa lievitazione dei costi per il trasporto aereo. Dunque, più che una re-individuazione dei luoghi di svolgimento del festival – il successo di Umbria Jazz, del resto, è dovuto al format che prevede lo svolgimento nei centri storici delle città creando quel clima di enclave aperta della musica – sarebbe necessario investire nel marketing e nella promozione territoriale, superando quell’ulteriore gap che divide Perugia e Orvieto da Terni, vale a dire che alla parola città manca l’aggettivazione d’arte.