PERUGIA – Si ricollega direttamente alla migliore tradizione degli anni Settanta, quella della visione cosmica della musica di Sun Ra, degli Sheets of sound di Pharoah Sanders e dell’era coltraniana in un full immersion senza soluzione di continuità in cui il sax produce scarti in avanti continui sino ai confini del suo timbro in una tessitura che vuole riflettere – e ci riesce – l’idea di amore universale. E’ musica totale – per dirla alla Gaslini – quella di Kamasi Washington e della sua band di fenomeni che rendono il fervore un’onda avvolgente che non lascia spazio a dubbi: con Kamasi ci si spinge oltre a cercare sonorità lancinanti e penetranti, momenti unici di un coinvolgimento a cui è impossibile resistere. Una fotocopia dei veri epigoni di quella stagione irripetibile del jazz che i puristi sono pronti a riecheggiare pur di non violare le origini di una vicenda musicale unica nel suo genere? O piuttosto il talento creativo e geniale del creatore di una musica dai repentini slanci, dai corsi sinuosi e dalle improvvisazioni che seguono tutte le possibili estensioni di un tema, di un soggetto che va narrato, urlato, spiattellato all’ascoltatore? Il dubbio può essere lecito, ma più che un’imitazione Kamasi Washington sembra impegnato a rivalutare e rivisitare alla sua maniera forse l’era più creativa del jazz di cui ha assimilato tutti gli stilemi e che la sua potenza dinamica al sax rilancia in un flusso continuo di suono, non senza originalità. Per far questo usa tutte le “armi” di cui dispone, a cominciare dalla sua eccezionale band che senza pudori accede libera anche ai tropicalismi esotici di brani come “Vi Lua Vi Sol” tratto dal suo nuovo album “Heaven and Heart”, paradiso e terra di cui Kamasi si vuole fare tramite in un dialogo costante tra climax eterei e pulsioni ritmiche incessabili. Il nuovo album segue a tre anni di distanza dal suo ingresso trionfale nel Gotha del jazz “The Epic” che ha fatto sobbalzare gli esperti dalle proprie poltrone, annunciando l’avvento di un nuovo Coltrane. E di Coltrane si nutre Kamasi e si abbevera dei “viaggi” interstellari dell’orchestra di Sun Ra. Pur in assenza del suo fidato chitarrista Thundercat, gli apporti determinanti del contrabbassista Miles Mosley, dei due batteristi Tony Auston e Kendrick Scott, del trombonista Ryan Porter, di suo padre Rickey Washington al sax soprano e del tastierista Brandon Clomeman, oltre alla partecipazione ispirata della vocalist Patrice Quinn, hanno riscritto per inciso che il jazz può spingersi oltre nelle sue aperture sino a farsi tramite, tra cielo e terra, di un’ascesa verso il trascendente così come il miglior Coltrane aveva predetto negli anni Sessanta, per ridiscendere sino a far vibrare le corde di un’espressività che nasce dall’ “ordine” di un caos magmatico dove si erge epica la sua figura di “demiurgo” musicale.