Durante la repubblica romana la prassi voleva che, a seguito di un imminente pericolo, i consoli eleggevano un dictator, una figura dotata del summum imperium, ovvero di ampi poteri al fine di poter gestire, al meglio, una situazione d’emergenza. Seppur questa condizione presentava degli inevitabili rimandi al precedente assetto monarchico, si mostrava necessario risolvere, quanto prima, la grave minaccia incombente; vi era, in altri termini, una necessità condivisa nell’accantonare, temporaneamente, ogni polemica politica al fine di perseguire un interesse collettivo attraverso la modalità più efficace, quella di un esercizio di potere diretto ed incisivo, concesso in via straordinaria.
L’odierna situazione emergenziale presenta una certa analogia con la prassi romana; è tuttavia ben chiaro come in seno ad una società moderna e, soprattutto, libera e democratica, non sia possibile istituire una figura dotata del summum imperium, ma ci si è resi conto che si può ricorrere, in via necessaria, ad una serie di provvedimenti restrittivi che mai si era pensato di “subire”. Ciò, senza dubbio, stimola una riflessione sui limiti di un certo tipo di esercizio di potere il quale, come ben sapevano i romani, risulta più efficace se condotto con fermezza; non si vuol porre affatto la questione se il sistema democratico sia più scadente di un suo opposto, ma, di certo, l’odierna emergenza sanitaria aiuta a comprendere come, in una società civile, risulta possibile dirimere un problema di grande portata solamente se si agisce di concerto e cioè se l’impegno del singolo si mette a disposizione della moltitudine. Nei lunghissimi mesi che si trascinano da Marzo ad oggi, l’Italia ha dimostrato, contro ogni pregiudizio, e come in altre occasioni, di riuscire a tirare fuori il meglio di sé dalle più aspre difficoltà, ma in questa seconda fase, con tutta probabilità più estenuante della precedente, risulta evidente che, in troppe occasioni, si assiste ai più vani e fuorvianti commenti aventi i contorni di una sterile polemica ideologica. Se i romani comprendevano appieno l’importanza dell’unione al momento del bisogno, risulta alquanto infelice dover constatare come oggi, dopo oltre duemila anni, non si riesce a cogliere la necessità del compromesso politico in funzione di un’urgente necessità. Del resto si è consci del fatto che, in Italia e non solo, la politica è un po come lo sport, si tifa per, o contro, un partito, una persona, una fazione, ma, in molti casi, non si entra nel merito delle questioni; in modo particolare, in questo difficile anno, si sta assistendo, da più parti, ad un becero ed irresponsabile senso di disobbedienza verso un esecutivo che, di certo, non è perfetto e non è esente da critiche. Vi sono esempi di una sorta di “volontà ribelle” che mira a diversificare il potere dal contro-potere secondo una sottaciuta intenzione di “non-omologazione” verso un indirizzo politico sbagliato a priori perché esercitato da una fazione opposta. Ma in questo particolare caso, quello che può apparire come un gesto di “trasgressione” verso un potere apostrofato, addirittura, come cinico, arreca un pericoloso disorientamento verso un popolo già di per sé esausto nonché un conseguente peggioramento di una situazione ormai critica su più fronti. Questa cultura di opposizione, promossa anche da un certo modo di fare informazione e avente meri interessi d’audience, oltre che ideologici, alimenta uno scontro nocivo i cui riferimenti principali sono, oggi, scienziati, virologi ed infettivologi divisi ormai tra rigoristi e permessivisti, i cosiddetti “due partiti” che, inevitabilmente, vengono ricondotti ad un incasellamento politico che nulla ha a che vedere con la veridicità scientifica, un ambito (appare scontato) totalmente avulso da ogni logica di “tifo politico”. In una società libera i media giocano un ruolo fondamentale nel condizionare l’emotività degli ascoltatori; un “potere” questo concesso da un diritto fondante del nostro ordinamento, quello della libertà di espressione di cui, troppo spesso, si abusa per attrarre più che informare, per sproloquiare (anche se in piena emergenza sanitaria) su logiche politiche e, in certi casi, per invitare ad una “disobbedienza distruttiva” nei confronti di un potere descritto oggi come coercitivo, inconcludente e opportunista; ecco chi ha milioni di ascoltatori, nonché milioni di voti, dovrebbe riflettere su come, e a che fine, ci si sta impegnando per vincere una battaglia come quella odierna attraverso la promozione di superficiali irresponsabilità che nulla hanno a che fare con la maturità di un pensante libero, rigoroso e civile che sia, senza dubbio critico, ma costruttivo, in modo particolare quando non ci sarebbe da fare il tifo per nessun colore e per nessun interesse specifico, se non per la salute di un intero popolo.
Foto tratta da Einaudiblog