TERNI – Fu vera gloria? La spedizione al K2 del 1954 organizzata dal Club Alpino Italiano, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall’Istituto Geografico militare e dallo Stato italiano segna un passaggio decisivo nella storia dell’alpinismo novecentesco. Lo raccontano in biblioteca una mostra e un libro che si discosta dalla narrazione tradizionale.
Senza posa. Italia K2 di Mario Fantin. Racconto di un’impresa è il titolo della mostra itinerante di proprietà del Cai – Club Alpino Italiano che celebra i settant’anni della spedizione italiana al K2. Promossa dall’associazione Stefano Zavka e dal Cai locale, dal 28 febbraio al 14 marzo farà tappa a Terni, visitabile nell’atrio della biblioteca comunale in orario di apertura del servizio.
Ideata e curata da Mauro Bartoli, allestita da Claudio Ballestracci con la collaborazione di Monica Brenga e Pamela Lainati per conto della Cineteca del Cai, la mostra è dedicata a Mario Fantin, alpinista cineasta bolognese scomparso nel 1980. Fondatore nel 1967 del Cisdae – Centro Italiano Studio Documentazione Alpinismo Extraeuropeo, ora con sede al Cai di Torino, Fantin è autore di numerosi documentari e opere bibliografiche sull’alpinismo italiano nel mondo. Sono sue le riprese degli eventi che portarono l’Italia sulla vetta che domina il ghiacciaio del Baltoro, nella catena del Karakorum, seconda montagna della Terra con i suoi 8.611 metri, prima per difficoltà. In un contesto drammatico, la cima della “perfetta piramide di roccia e ghiaccio” fu raggiunta il 31 luglio 1954 da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, membri del gruppo guidato da Ardito Desio. Da quel momento, il K2 fu “la montagna degli Italiani”. Dall’arrivo in Pakistan alle varie fasi della scalata, fino al ritorno al campo base, lo sguardo di Mario Fantin abbraccia l’intera vicenda e tutti gli attori coinvolti: tredici alpinisti italiani; dieci alpinisti hunza (pakistani, ufficialmente “portatori d’alta quota”); cinque ricercatori (tra i quali Ardito Desio, geologo, capo spedizione); un osservatore del governo e un topografo pakistani; numerosissimi portatori Balti, “portatori di bassa quota”. K2 Sogno vissuto, pubblicato qualche anno dopo, è il suo diario. Le riprese di Fantin, impeccabili nonostante le condizioni proibitive, confluirono nel documentario Italia K2, realizzato nel 1955 da Marcello Baldi. Un nuovo montaggio curato nel 2021 da Andrea Meneghelli per la Cineteca di Bologna su concessione del Cai, pone la sua visione al centro della storia, restituendo lo spirito autentico dell’alpinismo. L’inaugurazione della mostra che lo celebra è prevista venerdì 28 febbraio alle ore 16.15.
Il libro
Entrata rapidamente nelle cronache del tempo e nell’immaginario collettivo, la conquista del K2 del 1954 ha ispirato, tra luci e ombre, numerose pubblicazioni. Rifugge da ogni retorica trionfalistica il libro che sarà presentato in occasione dell’inaugurazione della mostra Senza posa. Il 28 febbraio, in sala videoconferenze alle 17:00, l’incontro con Saverio Mariani, autore de La spedizione italiana al K2. Italia-Karakorum 1954, Res Gestae, 2024, libro nel quale si ripercorre in un’ottica non usuale la storia di quella straordinaria avventura. Sedici tonnellate di materiali spediti dall’Italia al campo base. Seicento portatori locali impiegati per trasportarli. Le tracce ancora oggi. La spedizione del K2 – racconta Mariani – fu un’impresa colossale, carica di significati nazionalistici, che per mesi stabilì in Pakistan una sorta di colonia ai piedi della montagna. Il rapporto con la popolazione locale fu tutt’altro che idilliaco, facendo emergere “un substrato colonialista di cui va presa coscienza anche per le spedizioni odierne”. In un excursus storico-critico, l’autore descrive l’evoluzione dell’alpinismo, lo spirito che lo anima, mette in luce il contributo di tante figure ritenute erroneamente secondarie, riflette sull’impatto ambientale che tali imprese lasciano in quota, sulla sostenibilità delle spedizioni attuali. “Siamo pervasi dall’idea che la natura sia un oggetto da avere a disposizione, non il campo nel quale noi umani giochiamo un piccolo ruolo: anche nel rapporto con le montagne traspare l’approccio antropocentrico che contraddistingue la società occidentale dalla nascita della scienza moderna in poi” – afferma Mariani.
Lorella Giulivi