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Sulle orme degli Etruschi nel loro rapporto con l’ambiente e la natura

PERUGIA – Tra uliveti e vigneti, nelle fertili terre della penisola, gli Etruschi hanno prosperato attraverso il tempo, intrecciando la loro storia con la bellezza degli ambienti circostanti. Gioielli finemente lavorati, ceramiche decorate con preziosi dettagli, città maestose e templi ornati che sembrano abbracciare e celebrare la natura nella loro arte e architettura.

Ma com’era realmente il rapporto che questo affascinante popolo aveva con l’ambiente naturale? Esisteva il concetto di rispetto della natura o era semplicemente usata per scopi economici e produttivi? E ancora, che tipo di mondo avevano intorno, quali le piante più importanti o quali le ricette particolari che realizzavano per sfamarsi o per allietare le loro leggendarie feste?

Ce ne parla Antonio Brunori, dottore forestale e segretario della Pro-Ponte Etrusca, storica associazione figlia della Pro-Ponte che sta organizzando questa settimana la seconda parte della manifestazione Velimna, gli Etruschi del fiume, evento arrivato al suo ventunesimo anno.

Dopo la prima parte rievocativa che si è svolta a settembre, con gruppi storici, ricostruzioni e laboratori che hanno permesso ai partecipanti di immergersi con tutti i sensi nella cultura etrusca, è infatti il momento di approfondire. A partire dalla mostra alla Rocca Paolina, aperta dal 7 al 15 ottobre, un ricchissimo programma culturale andrà a toccare numerose sfaccettature del tema scelto per quest’anno, il rapporto degli Etruschi con l’ambiente e la natura circostante.

 

 

Dottor Brunori, com’è nata l’idea di indagare la relazione tra gli Etruschi e l’ambiente naturale in cui vivevano?

Ho lanciato l’idea di trattare il tema della natura e dell’ambiente perché secondo me è molto importante capire com’era la sensibilità di una volta, sia per vedere quella che abbiamo noi adesso sia per levare anche un po’ di fantasie su quello che era una volta la gestione dell’ambiente o il rispetto della natura. Di fatto quando gli Etruschi iniziarono ad espandersi e nacque Perugia, in tutta Italia erano 2 milioni. Avevano quindi a disposizioni risorse in maniera infinita ed avevano un concetto della natura molto legato agli aspetti divinatori. Da una parte c’era quindi il timore degli dei ma dall’altra non c’era cura, perché avevano a disposizione tutto.

 

Già all’epoca ad esempio, riuscirono a far estinguere una specie, il “silfio”, pianta molto utilizzata dalla quale si estraeva una gomma utilizzata per addolcire i pasti. Furono loro ad iniziare l’uso, poi proseguirono i romani, a Nerone regalarono una delle ultime piante presenti in Cirenaica fino a che sparì.

Oppure, per estrarre l’ematite presente in gran quantità sull’Isola D’Elba usavano forni a temperature molto elevate. Alla fine bruciarono talmente tanta legna che deforestarono tutta l’isola e dovettero spostarsi a Vetulonia perché non ne avevano più. A Vetulonia buttavano gli scarti accanto ai luoghi dei forni, non curandosi nemmeno del loro passato e sommergendo le necropoli  con gli scarti della loro industria metallurgica.

 

Gli Etruschi cercarono anche di addomesticare la natura per le loro produzioni?

 

Si ad esempio con la produzione del vino: osservando che la vite selvatica si arrampica sugli alberi nasce proprio da loro la “vite maritata”, tecnica di far arrampicare i tralci gli uni agli altri, che è attualmente ancora parte del nostro paesaggio ed è una traccia storica della presenza degli Etruschi in Etruria, in Umbria e nella bassa Padania.

Gli Etruschi hanno anche inventato la fertilizzazione: i Sanniti o i Punici, avevano una produttività che era 1:3, 1:5, cioè mettevano un seme e ne raggiungevano 5. Gli Etruschi arrivavano a 12, 15 perché impararono a usare il letame, la cui origine è laetus, felicità, perché loro sapevano che con il suo utilizzo avrebbero raccolto fino a 15 volte in più.

 

Di cosa si cibavano abitualmente?

 

Nello studio che ho fatto ho dedotto la loro alimentazione dai reperti di ossa, dal dna estratto da brodaglie ritrovate ad esempio nei cocci.

Gli Etruschi vanno dal IX secolo al I secolo avanti Cristo e all’inizio avevano il farro monococco, poi influenzati da greci e romani passarono al farro dicocco. Con il farro preparavano le polentine, venivano chiamati dai romani proprio “polentoni”, pulchrum, coloro che mangiano le pappe. Poi intorno al II, III secolo introdussero anche il frumento.
Avevano poca orticoltura in quanto non potevano conservare, coltivavano legumi, la cicerchia ad esempio tutt’ora presente, allevavano pecore, capre, maiali e cacciavano i cinghiali. In genere consumavano carne selvatica, frollata e insaporita con alloro o ginepro. Prima del VI, VII secolo importavano l’olio dalla Grecia poi cominciarono a coltivare l’olivo e ad esportare olio e anche  vino.

Avevano anche la birra, non usavano l’orzo che non possedevano ma come elemento fermentante usavano il farro. Poi ci mettevano l’uva passa, il melograno, il miele e veniva fuori una birra che è stata anche riprodotta in un’archeobirra utilizzando i principi ritrovati dentro un’anfora a Cerveteri… Non molto buona a dire la verità! E questo ci fa capire che i gusti erano sicuramente molto diversi.
Anche il vino era molto acido, ci mettevano il miele e lo allungavano con l’acqua. Era talmente così poco pregiato che con il vino giocavano al kottabos, un gioco che usavano nei banchetti mettendo un palo con sopra un piattino in bilico e sotto uno in metallo. Se lanciando il vino riuscivano a spostare e far cadere il piattino che tintinnava nel piatto di metallo allora si vinceva. Ne è stato trovato uno anche nell’Ipogeo dei Volumni.

Inoltre la borghesia era molto interessata all’estetica e impiegava la natura anche per prodotti di bellezza: le donne utilizzavano il papavero per farsi il rossetto e si schiarivano i capelli con la cenere e il bianco dell’uovo. Gli uomini ricchi si depilavano e si cospargevano di olio d’oliva. Tingevano gli abiti con le galle delle querce per il marrone e la cocciniglia per il rosso.

 

 

Ci sono quindi molte similitudini con le colture e l’alimentazione attuale e molte similitudini purtroppo anche nel rapporto con l’ambiente circostante

 

Loro hanno cominciato a consumare risorse perché aumentava la popolazione e perché la borghesia imponeva ai contadini la produttività mentre quando c’era un equilibrio anche economico e le città erano più piccole c’era più rispetto, non si andava a tagliare la foresta per aumentare la produttività dei campi. Si faceva solo ciò che serviva. Per gli Etruschi insomma ambiente e natura sono una parabola discendente, esattamente come sta accadendo a noi nel nostro mondo attuale.

 

 

La mostra, visitabile fino al 15 ottobre nella sala Cerp della Rocca Paolina racchiude i 21 anni di attività, laboratori e studi dell’associazione Pro-Ponte e Pro-Ponte Etrusca: sarà possibile ammirare i pannelli sul tema dell’anno illustrati dalla professoressa Massi che ogni anno si occupa di realizzarli e le innumerevoli ricostruzioni elaborate negli anni. Dai manichini con i vestiti ai telai in legno a grandezza originale, dalla riproduzione delle urne a quella dell’Arco Etrusco e il Ceppo di Perugia, dai triclini alle ricostruzioni di banchetti. Presenti anche le miniature realizzate dall’Unione Modellisti Perugini.

 

Per consultare il programma completo dell’evento: https://velimna.proponte.it/index.php

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