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Storico abbraccio tra Vinicio Capossela e il Festival di Spoleto

SPOLETO – Un abbraccio “storico” quello di ieri sera in Piazza Duomo tra il Festival dei Due Mondi e Vinicio Capossela. Il cantautore di Hannover irpino d’adozione, a Spoleto non aveva mai suonato anche se il suo straordinario viaggio artistico è partito proprio dall’Umbria, da Perugia, quando il promoter Sergio Piazzoli lo fece suonare alla Sala della Vaccara e Capossela era un nome sconosciuto ai più.

Ieri sera, 7 luglio, un’altra tappa di questo percorso si è concretizzata con la presenza dei Micrologus che il cantautore incontrò nel 2013 proprio grazie a Piazzoli: da due anni Peppe Frana e Giovannangelo De Gennaro, due componenti dell’Ensemble di musica medievale di Assisi,  collaborano stabilmente con lui, ma ieri sul palco assieme a loro c’era il nucleo storico che nel 1984 fondò il gruppo: Patrizia Bovi, Goffredo degli Esposti e Gabriele Russo. Una presenza che ha davvero arricchito il concerto e in particolare brani come Perfetta Letizia e Danza Macabra che derivano da musiche medievali.

Micrologus e Vinicio Capossela dietro le quinte: da destra Patrizia Bovi, Gabriele Russo, Capossela e Goffredo Degli Esposti

Le ballate per uomini e bestie, disco che gli ha valso quest’anno la Targa Tenco, mostra un immaginario di animali, quasi suoi alter ego narrativi (maiale, lupo, lumaca, orso, asino) e di santi che da creature, sul senso del principio, ripensano l’attuale tramite poesia, mistero, morte. Largo uso si farà della poesia come bellezza riprendendo odi e sentimenti dalla letteratura e in particolare da John Keats e da Oscar Wilde che della natura e dell’estetica fanno girare tutto il loro simbolismo. Capossela riprende le metafore del poeta inglese nell’ode all’allodola e nella danza macabra dedicata con forza a quella madama morte che non deve spaventarci, non deve rubarci il presente. 

La metrica della ballata sembra perfetta per rappresentare quel capovolgimento di valori che attraversa con insistenza i nostri giorni: dalla corruzione alla speranza convertita in male e dalla pestilenza che “nasce quando cessa il confronto”, le bestie di Capossela si trasformano “per noi che cambiamo costantemente” e rallentano il tempo come quella lumaca che, infine, “lascia una scia come una cometa su una foglia”, o come quell’asino che nel trovare una morale per ogni verso porta salvezza persino agli uomini. Applaudito e apprezzato dal pubblico del Due Mondi, è proprio da questo palco che i musicisti, dieci in totale, hanno ricordato l’edizione del Festival del 1964 con lo spettacolo Bella ciao. In quell’occasione, nel recital proposto dal Nuovo Canzoniere Italiano su canzoni popolari che durante il fascismo erano vietate, tra gli interpreti la mondina Giovanna Daffini, venne intonato il brano O Gorizia tu sei maledetta che provocò fin dalle prime frasi fischi e polemiche. Metà del pubblico in sala si alzò e se ne andò adirato, offeso. Avrebbero voluto interrompere le repliche dello spettacolo ma non fu possibile.
 
[…] O Gorizia tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza
dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu
O vigliacchi che voi ve ne state
con le mogli sui letti di lana
schernitori di noi carne umana
questa guerra ci insegna a punir.
La canzone aveva smosso le coscienze e la sua testimonianza cantata rimase a dettagliare la Storia. Come ieri sera, nella quale ripetendo e resistendo il ricordo, il pubblico, anziché andarsene, si è alzato in piedi ad applaudire, a dare consenso. E così sia.

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