ASSISI – Al Piccolo Teatro degli Instabili domani, domenica 30 gennaio, alle ore 18 in prima assoluta “Stellar Sunset” Gianfranco De Franco live concert.
Stellar Sunset, il tramonto stellare è uno spettacolo che fa riferimento a suoni acustici ed elettronici, ma non solo. Come si articola realmente lo spettacolo?
“Ovviamente – risponde Gianfranco De Franco – ricalca il disco che tra l’altro esce oggi. Ripercorre tutti i pezzi contenuti in questo ultimo lavoro discografico con alcuni sviluppi che ho lasciato totalmente al live, di matrice più elettronica e ambient che ricalca delle timbriche spiazzanti rispetto anche ai suoni più caratterizzanti degli strumenti a fiato che sono sempre con me: dai sax, ai flauti ai clarinetti. Con una contaminazione visual creata appositamente per il live che abbiamo già presentato in anteprima all’Hyper Art Festival di Firenze a dicembre. Quindi ci sarà questa unione tra il suono e le immagini, percorso visual creato appositamente”.
Sunset Stellar è il tuo primo album digitale, giusto?
“Nasce in digitale, ma probabilmente verrà anche stampato. In realtà è il mio terzo album da solista, ma il primo che esce per la Inri Classic”.
In questo album alcuni momenti salienti della tua vita si intrecciano a formare una trama di sonorità e timbriche diverse: dal “Papetti e il lento che fu” alla “Chiesetta sulla collina stellata”. Un tracciato nella tua vita che segue quindi un percorso intimista. Giusto?
“Assolutamente sì. Poi in effetti perché mi sono concentrato a dare vita a questi suoni che nascono proprio nel momento in cui emotivamente guardando un tramonto possono rendere questo senso di malinconia e di pensiero intimo che portano a viaggiare con il pensiero e con la mente. Da lì ho ripercorso anche alcune fasi per me importanti della mia vita e del mio essere musicista. C’è il pezzo “La chiesetta sulla collina stellata” che si rifà a un percorso bandistico intrapreso da bambino. Ho cercato di immaginare quelle situazioni paesane con tutto il contorno. Con sviluppi anche totalmente diversi con il pezzo “Buran” con un approccio più asettico e freddo, però mantenendo sempre questi colori, questo lato crepuscolare che tocca anche situazioni più tribali in alcuni pezzi, ma totalmente slacciati in altri. Faccio una sorta di volo intorno all’ora crepuscolare”.
Quindi un percorso anche interiore…
“Certo, quella è la spinta più importante che porta a scoprire alcuni suoni, a comporre e a fermare in alcuni momenti il suono”.
Ma si arriva a una conclusione in questo viaggio?
“Mi piace sempre lasciare un finale aperto per come anche ho costruito i dischi da solista in precedenza. Anche questo e anche il concerto dal vivo che chiude proprio con l’ultima traccia del disco Lilith X più che è un punto è una falsa apertura e una falsa chiusura che mi dà spinta per il prossimo lavoro. Ovviamente è un continuum che non so di preciso dove mi porterà. Però di sicuro non è un punto”.
Sei un polistrumentista che usa una teoria infinita di strumenti elettronici ed acustici. Se dovessi scegliere una definizione per la tua arte, quale sarebbe?
“Trovare una definizione che cerca di racchiudere tutto questo mondo? Posso dire che attingo da tutte le mie esperienze di vita e di situazioni in cui la musica è stata ed è importante. Essendo anche musicoterapeuta prendo molto da questo ambiente che mi ha dato tanto e cerco di riversarlo in chiave artistica. E quindi è sempre una sintesi tra le due passioni della mia vita: la musica al centro, ma non come concetto grammaticale, ma di potere superiore che cerca di entrare nell’intimo delle persone, tralasciando la concentrazione su un determinato stile. Sicuramente sono tra l’acustico e l’elettronico, in fin dei conti mi piace essere destabilizzante. In questo album la melodia è più presente rispetto a Imago il precedente disco molto più diretto verso la sperimentazione. Però anche qui ci sono dei flussi sonori che cercano di alimentare il pensiero mio e anche dell’ascoltatore”.
Il tuo spettacolo tocca corde nascoste della tua vita. E’ per questo che insieme a Fulvia Angeletti avete individuato nel Piccolo Teatro degli Instabili il luogo ideale per rappresentarlo?
“Assolutamente. Sono legatissimo a questo teatro dove, tra l’altro, ho conosciuto la mia attuale moglie. Fulvia è una nostra sorta di madrina. Ogni volta che torno percepisco in questo posto una magia particolare e su questo tipo di lavoro diventa parte integrante del concerto ed è indicatissimo proprio per questo tipo di concerto soprattutto intimo. Questo teatro è assolutamente ad hoc per questo lavoro e rappresenta una serie di cose mie intime. Con Fulvia ci conosciamo poi da tanto tempo e quindi si amplia ancor più l’aspetto importante che può avere questo luogo”.