Eccoci all’ultimo appuntamento con le interviste agli artisti presenti alla seconda edizione del Trasimeno Prog Festival, in programma alla Rocca Medievale di Castiglione del Lago dal 19 al 22 agosto.
Siamo oggi con Vittorio Nocenzi, storico leader del Banco del Mutuo Soccorso, ruppo che chiude stasera, 22 agosto, il Trasimeno Prog Festival.
Ci racconteresti i primi passi di Vittorio Nocenzi musicista ?
Ho iniziato a studiare musica a sei anni quando chiesi a mia madre di mandarmi da una nota insegnante e fui subito accontentato. Mia madre però volle che iniziasse a studiare musica anche mio fratello Gianni, che aveva soltanto quattro anni. Lo strumento con il quale abbiamo iniziato però non era il pianoforte, ma la fisarmonica, Era quello più in voga della radiofonia negli anni 50, lo strumento principe di tutta la musica extra-colta. I nostri insegnanti di musica suonavano in un’orchestra di 50 fisarmoniche ed il repertorio che cominciammo a suonare non aveva nulla a che fare con la musica popolare del liscio; era prevalentemente musica classica, principalmente operistica. Una pagina che mi colpì tantissimo per la sua bellezza fu il preludio, mi pare, all’atto terzo della Traviata di Giuseppe Verdi. Poco dopo iniziai a studiare anche il clarinetto nella banda del mio paese, Marino. Fu un’esperienza che credo influenzò molto il mio amore per eseguire musica insieme ad altri musicisti, piuttosto che da solo. Oggi, pensandoci, credo che non sia stata estranea al mio amore per il fare musica con una band; l’energia emotiva di un collettivo ben coordinato di musicisti, secondo me, aggiunge sempre pathos ad un’esecuzione musicale! Sentire le parti affidate agli altri strumenti, costruire una buona polifonia, organizzata in contrappunti, poliritmie, controcanti o unisoni, aggiunge espressività e potenza ad una composizione! E le migliaia di ore della mia vita passate a fare prove musicali con gli altri musicisti della band, a decidere le dinamiche espressive dell’esecuzione, le intenzioni ritmiche da condividere durante l’esecuzione collettiva sono, per chi ama fare musica, momenti forti, coinvolgenti perché vivono della condivisione con altre persone che, allenate nel suonare insieme, riescono poi a confluire in un’unica azione espressiva, potente, emozionante! Ancora una volta è proprio la condivisione tra più persone di una comune idea (il brano musicale) a rendere quel brano più incisivo, più emozionante! Per non parlare delle dinamiche, intendo i forti ed i piano, che eseguite insieme in modo puntuale, danno all’esecuzione dell’ensemble un impatto unico! Poi col tempo diventi anche consapevole del lavoro meraviglioso che riesce a fare il nostro cervello: quando sei su un palco durante un concerto devi ricordare le tue parti musicali, quelle degli altri su cui suonare, ascoltare la tua esecuzione e contemporaneamente quella degli altri; ricordare le intenzioni esecutive concordate con gli altri durante le prove, governare il balance dei tuoi monitor grazie ai quali ascolti l’esecuzione degli altri e tantissime altre cose, le parole che devi cantare. Nel tuo cervello c’è il traffico dell’ora di punta! È magnifico!
Come avviene la nascita del Banco del Mutuo Soccorso ?
L’ho raccontato tante volte. A 16 anni suonavo le tastiere con la band di Gabriella Ferri che registrava i suoi dischi per l’RCA; scrissi la musica di sette brani per lei (è stato il mio debutto nella discografia), insieme a suo padre Vittorio Ferri che era l’autore dei testi. Durante la lavorazione gli feci sentire anche altri brani che avevo nel frattempo scritto. Allora Vittorio mi suggerì di farli sentire all’RCA, dove mi avrebbe presentato lui; per me fu un’opportunità pazzesca perché a quei tempi l’RCA era un gigante della discografia ed accettai quindi di buon grado. Quando andai a far ascoltare i miei brani, i produttori dell’RCA mi chiesero se avessi una band per eseguirli e quindi registrarli. Io dissi ovviamente di sì, ma era una bugia, in quel momento non avevo una band; pur di fare quelle registrazioni, credo che in quel momento avrei detto qualsiasi bugia o quasi! Coinvolsi mio fratello Gianni ed un’altra coppia di fratelli, al basso ed alla chitarra, Fabrizio e Claudio Falco. Gianni suonava con band di Velletri, una città all’epoca molto vivace nel settore musicale con numerose band rock o meglio beat. Da un’altra di esse di unì a noi il batterista Franco Pontecorvi: era nata la prima formazione del Banco del Mutuo Soccorso, che registrò il primo album che verrà però pubblicato soltanto 20 anni dopo dall’etichetta Raro, col titolo “Donna Plautilla”. Il repertorio era assolutamente beat, influenzato molto dall’amore viscerale che provavo per l’album dei Beatles “Sergent Pepper”. Ma l’RCA era specializzata in cantanti solisti, con le band non aveva troppa familiarità; i Trip ed il Perigeo, due magnifiche band che non ebbero il successo che meritavano, forse anche per colpa dell’etichetta, formidabile invece per i cantanti, il cui elenco di quelli portati al successo sarebbe interminabile. Una settimana di prove, intense, fra i vicoli di Marino, una formazione messa su in due giorni e registrammo il nostro primo disco. È cominciato tutto così.
Ciò che si è vissuto a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 è stato magico e probabilmente irripetibile; in pochi anni voi del Banco del Mutuo Soccorso, Premiata Forneria Marconi, Le Orme ed Osanna avete tirato fuori dal cilindro capolavori che resteranno nella storia della musica. Qual è il tuo pensiero ?
Ho sempre sostenuto che qualsiasi forma d’arte nasce ed esprime l’humus del proprio tempo! Gli anni a cavallo fra i ‘60 ed i ‘70 sono stati particolari, beneficiarono secondo me dell’onda lunga del ‘68 e dell’agiatezza del boom economico. Saldandosi queste due potenti propulsioni, una di natura ideale ed esistenziale, l’altra di natura sociale, nacquero quegli anni irripetibili; l’utopia al potere era uno degli slogan degli studenti. Il bisogno di pensare positivamente al futuro faceva alzare lo sguardo verso un piano ideale dove giustizia sociale, diritti civili, oggi si direbbe “pari opportunità”, erano raggiungibili ed irrinunciabili. Il tutto sostenuto da una produzione letteraria, cinematografica e musicale magnifica. Uno dei libri cult dell’epoca era “Cent’anni di solitudine” del premio Nobel Garcia Marquez; lo lessi a Londra mentre stavamo registrando il nostro primo album in inglese agli Advision Studios.
La vostra discografia è molto vasta anche se a mio giudizio il trittico iniziale, “Il salvadanaio”, “Darwin” ed “Io sono nato libero” è insuperabile; a quali lavori del Banco ti senti più legato e perché ?
Non sono d’accordo che il trittico iniziale sia insuperato; penso che “Come un’ultima cena” non sia da meno, e assolutamente anche “Di terra” che da un punto di vista musicale ritengo il nostro lavoro migliore in assoluto. Per i dischi del Banco, succede come con i figli, di uno ami la generosità, dell’altro la tolleranza, di un altro la creatività, ma qualunque cosa tu ami in uno di essi, non te lo farà amare di più degli altri!!! Sei legato indissolubilmente ad ognuno di essi, perché quando li hai fatti non è mai capitato che tu li abbia fatti con meno amore! Dopo gli anni ’70 i gusti musicali si sono modificati ed anche voi avete “virato” verso una sorta di pop di lusso, trovando il successo con brani quali “Paolo pa” e “Moby Dick”; rileggendo quel periodo, che ricordi hai ? Il passaggio dagli anni ‘70 agli anni ‘80 fu qualcosa che lì per lì non sembrò epocale come poi risultò essere. In effetti tutto il movimento giovanile anticonformista, quello che aveva sognato la fantasia al potere, quello che aveva ereditato dal ‘68 il culto della diversità come opportunità di crescita cognitiva, implose perché il sistema borghese e conformista, vedendo che lo scontro frontale non assicurava il successo cambiò strategia, e invece dello scontro attuò l’assimilazione, l’incorporamento nelle proprie strutture di molti esponenti del movimento. Non voglio far nomi ma ce ne sarebbero molti. Nascono gli Yuppie e diventano il simbolo di un decennio all’insegna dell’inversione di tendenza. Con i ‘70 nascono e prolificano i grandi concerti delle performance live; gli ‘80 lanciano il playback, cioè il far finta di suonare dal vivo limitandosi invece a mimare l’esecuzione musicale; dalle minisuite si passa alla dance-music da discoteca, dai tempi dispari al 4/4 con la cassa della batteria in battere per sempre! Nei testi tramontano i temi generali, quelli dei valori esistenziali, quelli che cantano visioni diverse del mondo e del pensiero umano! Insomma c’è un bel riflusso generale! E i ragazzi cominciano ad ascoltare la musica in modo diverso: non più con il gusto dell’ascolto collettivo reiterato e poi … si apre dibattito! Si ricomincia ad ascoltare individualmente e con l’urgenza di capire subito quale aria che tira in un brano: c’è bisogno di comunicare velocemente, con urgenza; non è un caso che il nostro album del 1980 si intitolasse “Urgentissimo”. Alla fine del primo minuto di musica ci deve essere il chorus, cioè il ritornello, la parte più orecchiabile del brano altrimenti puoi scordarti l’air playing, cioè la messa in onda radiofonica! Fra di noi del Banco si aprì un dibattuto serio: che senso aveva registrare musica cantata in tedesco se nessuno lo parlava più perché ormai si parlava francese? Perché registrare dischi se non per rivolgerti agli altri per proporre l’ascolto della tua musica? Fuori metafora: era cambiato il linguaggio giovanile, per proseguire a comunicare con gli ascoltatori dovevi parlare la loro lingua, altrimenti non aveva senso, equivaleva a suonare a casa tua la tua musica; se invece aveva un senso sociale registrare, questo senso lo mantenevi solo parlando nel linguaggio più diffuso del tuo tempo, e questo ormai era la canzone e non altro. Per noi era molto più difficile scrivere canzoni che non suite! Era una sfida e come tale ci affascinò. Ridurre tutta la questione, come fecero alcuni, al fatto che ci stavamo “commercializzando”, è particolarmente semplicistico. Noi accettammo la sfida cercando una sintesi tra forma e contenuto: ok la forma di canzone ma il contenuto musicale si difendeva con arrangiamenti particolarmente “attenti”; il modello più alto di quell’epoca era Quincy Jones con arrangiamenti funky-jazz nei quali c’era una grandissima cultura armonica e ritmica. E poi i testi dovevano mantenere i nostri valori di riferimento, l’antimilitarismo ed il pacifismo, la difesa delle diversità; mi riferisco all’omosessualità negata nelle periferie urbane (Paolo Pa’), o al valore dell’utopia come spinta a cercare sempre di migliorarci oltre i nostri limiti (Moby Dick).
La voce e la figura di Francesco di Giacomo rappresentano, non mi va di parlarne al passato anche se non è più tra noi da oltre sette anni, un tratto enormemente distintivo della vostra proposta. Ce ne tracceresti un ricordo ?
La figura e la voce di Francesco è stata per ovvie ragioni un tratto distintivo della nostra band, come è ovvio che sia per una lead vocal. È nella tradizione delle band rock. Gabriel e i Genesis, Mercury e i Queen, Rod Stewart ed i Faces. Nel rock la voce solista finisce col rappresentare la band; è il centravanti nel calcio, il pivot nel basket!! Se poi ci aggiungi, come nel nostro caso, un’immagine particolare, “diversa”, anzi direi “unica” ottieni un quadro completo. In più una voce in cui la potenza si unisce all’espressività’; il suo timbro tenorile era quello che cercavo per sostenere melodie abbastanza “romantiche” (nel senso musicale del termine), come la seconda parte di “R.I.P.”. Emerson e Lake amavano molto questa italianità operistica che caratterizzava molti dei nostri brani. Ce ne accorgemmo subito che le caratteristiche spiccatamente mediterranee del nostro fare musica ci rendeva “diversi” dagli inglesi, fin dalla prima tournée in Inghilterra, e la cosa non ci dispiacque affatto, anzi ci gratificava molto, perché ritengo ancora oggi che un’identità culturale spiccata sia un bene per un artista!! Ognuno di noi fa parte di un’identità culturale alla quale si appartiene nel bene e nel male! L’ultimo nostro album “Transiberiana “ è stato pubblicato in tutto il mondo dall’etichetta tedesca Inside out e una delle recensioni che mi hanno maggiormente colpito è stata quella di Prog United Kingdom, periodico musicale ritenuto un po’ la “Bibbia del prog internazionale”. A parte frasi come “Ritorno trionfale dei maestri italiani “, che ovviamente farebbero piacere anche all’artista più’ cinico del mondo, la centralità della recensione sottolinea proprio la nostra “italianità” spingendosi fino al punto di definire l’album un lavoro al di là del linguaggio, perché è possibile coglierne la bellezza anche se non capisci l’italiano, lingua in cui ho da sempre creduto. E fino a questa recensione, la paura di aver sbagliato decisione non ti nascondo che l’avevo. Ed invece il recensore spingeva i propri connazionali ad ascoltare il disco per la sua bellezza, che risulterà chiara anche se non si capiranno le parole italiane! Era esattamente quello che facevamo noi negli anni ‘70 quando ascoltavamo i dischi inglesi senza essere madrelingua inglesi, perdendoci molto del significato delle parole che andavano cantati i brani di Transiberiana. Tracciare un ricordo di Francesco Di Giacomo è facile ed allo stesso tempo difficile, perché direi che era unico! Costantemente a caccia dell’originalità, quasi fosse per lui l’unica chiave del valore di una persona o di una storia o di una moda; anche per me, come per lui, l’originalità testimonia buona parte del valore di qualcuno o di qualcosa. La primogenitura di un’idea è un dono che si fa agli altri, perché quella prima volta può significare spesso l’apertura di un nuovo continente da esplorare. Pensate all’invenzione di Caravaggio della luce che taglia materialmente un suo quadro! Che tutto il cammino della pittura verso lo studio della luce solare sia nato da Caravaggio non è quello che sostengo, ma certo la sua esperienza non fu immune dall’influenzare quello che successe dopo di lui. Tornando alla musica, Jaco Pastorius reinventò il basso elettrico dalle sue fondamenta! Dopo di lui è diventano un altro strumento, e nessun bassista ha suonato più come prima di Jaco.
Non è soltanto Francesco purtroppo ad averci lasciato ma pure Rodolfo Maltese che recentemente Jerry Cutillo, durante una chiacchierata, ha definito “il gentleman del prog”. Ci parli anche di lui?
Con Rodolfo erano molte le affinità, non di carattere, di temperamento, ma di sensibilità e di interessi che ci legavano. Fra tutte l’amore per la storia dell’arte, lui aveva fatto il liceo artistico e disegnava molto bene. Andando in tournée eravamo un equipaggio affiatato, lui pilota ed io navigatore. In albergo stessa camera, tutti e due innamorati del mare, dei paesaggi, dei beni culturali, dell’armonia musicale, della buona cucina, del bello in genere. Si è sposato con una ragazza della mia città ed acquistò da mia madre la mia casa natale, dove dopo i fratelli Nocenzi Vittorio e Gianni, sono nati i suoi quattro figli. Mi fermo qui perché l’elenco delle affinità sarebbe ancora lungo. Sia Francesco che Rodolfo due compagni di un lungo viaggio, quasi tutta la mia vita.
La tua discografia come solista, oltre ai due album, “Movimenti” ed “Estremo Occidente”, ti vede autore di musica per film, balletti e spettacoli teatrali, ce ne parli?
Lavorare con la musica per farla dialogare con le immagini mi ha affascinato subito, dalla prima esperienza che fu la colonna sonora del film “Garofano rosso” di Luigi Faccini. Il grande limite della sincronizzazione della musica sotto le scene si rivelò al contrario un grande stimolo; mi spiego più chiaramente. Normalmente con il regista si concorda, sotto una scena, da quale inquadratura parte la musica e sotto quale altra deve poi finire. Ad es. totale 1’12’’; un minuto e dodici secondi a disposizione per scrivere musica, né di più né di meno! Questo pensiero la prima volta ti fa sentire in gabbia, hai dei paletti che non puoi ignorare; ma se li vivi invece come uno stimolo? Ti obbligano magari a fare dello stesso brano musicale, più arrangiamenti, ecco che invece di limitativo diventa stimolante, creativo!! Così successe a me con “Garofano rosso”. Dopo di allora ogni volta che ho avuto il tempo per occuparmi di musica per film o teatro mi sono sempre appassionato a questi lavori. Ricordo con piacere la colonna sonora di “Nudo di donna” di Nino Manfredi, alcuni sceneggiati televisivi come “Colomba” di Giacomo Battiato, o gli spettacoli teatrali di Assemblea Teatro di Torino per la regia di Renzo Sicco. La musica per balletti di danza moderna l’ho composta per le coreografie di Renato Greco e Maria Teresa Del Medico. Il lavoro per la musica da danza ha un aspetto di cui si può parlare solo genericamente perché le sensazioni che provi sono molto personali; i gesti ed i movimenti del corpo diventano amplificatori delle frasi musicali, le figure musicali e quindi il ritmo diventano gesti, spostamenti di corpi nello spazio, posso solo dirti che è un effetto bellissimo!
Torniamo al passato recente; dopo la scomparsa di Francesco Di Giacomo senti la necessità di rivisitare e rivestire parte del repertorio del Banco in una veste inedita, con l’ausilio di musicisti ed attori; ricordo ancora l’emozione agli studi nel settembre 2014 quando ebbi l’opportunità di assistere alla presentazione; come nasce “Un’idea che non puoi fermare”?
Non è stata necessità di rivisitare il repertorio storico, in genere preferisco scrivere materiale nuovo. È stata la Sony che mi chiese di farlo, ed io le sono grato perché sono state delle “Legacy edition” cioè delle edizioni speciali per definizione, in occasione delle quali l’autore originale deve misurarsi nella rivisitazione a distanza di anni quei lavori. Questo tornare sul “luogo del delitto” sta a te interpretarlo, ed in questo caso, trattandosi della trilogia storica adorata dai fans, erano più i rischi che i vantaggi. Ma a noi è sempre piaciuto il pericolo, le sfide! Ed ancora una volta, se le accetti le difficoltà diventano opportunità! In questo caso è stato proprio dall’esperienza delle “Legacy edition” che è scaturito il nuovo materiale inedito di “Transiberiana”! Quando la band si mette in moto per delle registrazioni l’appetito vien mangiando, e questo è bellissimo, perché è segno che nel tronco della band scorre sempre linfa viva! È come se le radici siano in costante contatto con le profondità della terra e si nutrano da essa. Al di là dell’immagine metaforica è così che vivi da musicista, tutti i tuoi giorni nel mondo reale e parallelamente te ne fai una percezione tua, privata, fatta di sensazioni, di assenze, di visioni personali delle cose. “Un’idea che non puoi fermare” nasce invece dal bisogno di rendere un pubblico omaggio, sotto gli occhi di tutti i fans, a Francesco. Mi dispiaceva che se ne parlasse solo come grande voce del rock; era la cosa più scontata. Essendo stato accanto a lui nello scrivere i testi di quasi tutta la musica del Banco, nessuno più di me poteva sapere quanto grande era la sua vena poetica!!! M’è allora venuto in mente quest’album, dove le parole non sono cantate ma semplicemente lette da alcuni dei più grandi attori viventi della scena italiana, invitati a leggere sia i testi degli anni ‘70 che quelli degli ‘80. L’idea era quella assolutamente di rifuggire da cose becere e banali, quali il leggere con sussiego dei bei versi e sotto un bell’accompagnamento sdolcinato di pianoforte; sarebbe stata un’offesa per Francesco! Volevo qualcosa mai fatto prima, ma non qualcosa di faraonico, al contrario qualcosa che respirasse intimità e profondità. Credo che ci siamo riusciti in pieno. Ad oggi, tra tutti quelli che ho diretto, è uno dei dischi che amo di più in assoluto.
Dopo un altro periodo diciamo così burrascoso, definiamolo soltanto così, per la tua salute, riprendi in mano le redini della formazione e riparti con nuovo materiale ed una band tutta rinnovata, a parte Filippo Marcheggiani, con voi ormai da diversi lustri; ci parli della nuova band e di “Transiberiana”, il vostro ultimo lavoro?
Come ho spiegato prima, durante le lavorazioni delle “Legacy edition” dei primi tre album storici del Banco ricevevo continui segnali e messaggi da molti dei fans del gruppo che mi volevano incontrare per dirmi di far proseguire la nostra storia chiedendo da noi altri nuovi dischi. E mentre questa pressione morale si faceva sempre più forte ho iniziato scrivere nuova musica con il più piccolo dei miei figli, il terzo, Michelangelo, che veniva sempre più’ spesso a farmi sentire i suoi nuovi brani scritti al pianoforte; ogni volta, ascoltando la sua musica, mi sembrava di averla scritta personalmente qualche momento prima, per cui mi veniva subito voglia di rimetterci le mani sopra. E così ci siamo ritrovati a scrivere a quattro mani senza accorgercene. Avevo trovato il mio alter ego musicale più naturale; ce l’avevo accanto senza essermene accorto prima! A queste due cose fondamentali, la pressione dei fans e la scoperta di Michelangelo, si è aggiunto un terzo fattore non meno importante; la mia convinzione che finché il Banco farà concerti e registrerà nuova musica, anche Francesco e Rodolfo resteranno fra noi. Solo quando smetteremo loro due se ne andranno definitivamente; allora ecco “Transiberiana”. Per la seconda volta nella nostra lunga carriera, dopo la Manticore di ELP, abbiamo un contratto discografico internazionale, questa volta con la tedesca Inside Out. Che dire dell’album; è scontato che secondo me e è un concept bellissimo, però che ci posso fare se è vero?!? È bello perché un disco vero, ispirato dalla voglia e dall’amore di farlo, dalla consapevolezza che ha fatto iniziare una nuova storia, che vive di passato e di futuro. Al mio fianco per la musica c’è Michelangelo e per i testi un vecchio amico del Banco, ricco di sensibilità, creatività e cultura, Paolo Logli. Ancora con me per tutta la produzione artistica del progetto ho il talento e la passione di Filippo Marcheggiani, ormai nel Banco da più di 25 anni, e Nicola Di Già, l’altro chitarrista della band, con noi da circa 9 anni. La batteria la suona Fabio Moresco con un calore ed una tecnica rari. Il basso ha visto l’arrivo nella band di Marco Capozi, con un suono ed una musicalità davvero speciali, e la voce solista è quella di Tony D’Alessio, potente, colorata, giusta per ricevere un’eredità così importante. Parlarvi della nuova band sarebbe troppo lungo perché ognuno dei musicisti meriterebbe che mi dilungassi sufficientemente per accennare almeno alle loro personalità, all’amore e passione che stanno profondendo in questo nostro progetto. Debbo dire che è faticoso fare questo lavoro, certo non è logorante come gli alti forni di un’acciaieria, però lasciatemeli dire, non ti dà niente gratis nemmeno fare il musicista in una band come il Banco del Mutuo Soccorso. È la prima volta che lo dico pubblicamente!
Come hai passato il periodo del lockdown ?
Si è trattato di un’esperienza di “tempo sospeso” globale assolutamente impensabile solo qualche anno fa che ho vissuto male come tantissime altre persone!
Eravate appena ripartiti con il tour e vi siete dovuti fermare causa pandemia; avete ripreso a suonare da alcune settimane; pronti per il Trasimeno Prog Festival ?
Sì lo stop della tournée agli inizi del 2020 è stato particolarmente brutale perché il tour stava andando con un crescendo entusiasmante e poi all’improvviso … tutto sospeso. Siamo comunque prontissimi!
A quasi cinquant’anni di distanza da “Il Salvadanaio” avete ricevuto qualche tempo fa il disco d’oro, che effetto fa?
È stata una grande sorpresa ricevere dopo 50 anni dalla sua pubblicazione il disco d’oro per l’album del salvadanaio, entrato ancora nella classifica delle vendite nel 2021! Nel 2022 festeggeremo i 50 anni della sua pubblicazione! L’effetto è stato di profonda ed entusiasmante sorpresa.
L’ultima domanda te la faccio perché so che è in uscita un libro, che si preannuncia molto interessante per Tsunami, “Nati liberi”. Ce ne vuoi parlare ?
Il libro “Nati liberi” sarà credo una grande sorpresa, perché non è la solita storia biografica aneddotica di una band, ma molto di più. Ho affidato il compito di redigerla ad un musicologo molto preparato ed appassionato, Francesco Villari, che ha scritto, secondo me, una delle ricostruzioni storiche più puntuali ed esaustive della musica extra colta. C’è tanto da leggere sulla storia del rock partendo dal blues e dal jazz. E poi c’è molto anche ovviamente per la gioia dei fans! Analisi musicale e dei testi di quasi tutti i brani di ognuno degli album registrati dalla band. Il tutto alternato da alcuni dei miei racconti. È il primo libro ufficiale che esce sul Banco! Non è mai troppo tardi.
Ringraziamo Vittorio Nocenzi per la sua gentilezza e disponibilità e ricordiamo che il Banco del Mutuo Soccorso sarà di scena durante la quarta ed ultima serata della seconda edizione del Trasimeno Prog Festival, domenica 22 agosto.