SPOLETO – Il sipario si apre, presagi. “Lascio un solo ordine a te e alle tue ninfe, non separatevi”, è la Dea Cerere a rivolgersi a sua figlia Proserpine. Le parla con una calda voce di contrasto nella prima aria in cui le dice addio. Le ninfe le sono accanto, si cullano in un abbraccio sotto lo scrosciare della pioggia.
I tre pannelli rosso, celeste e verde, che avvolgono la scena ricordano un bozzetto che Picasso fece nel 1920 per la rappresentazione di un’opera di Stravinskij. L’orecchio, anche nell’intermezzo che anticiperà il secondo atto, non faticherà a riportare alla memoria il musicista russo per le sue articolate e spesso dissonanti frasi musicali e per la sua innovazione nel comporre, nel gettare con dovizia blocchi sonori in platea.
Ne La sagra della Primavera del 1913 di fatto, tradotta da The rite of spring (dove “rite” significa letteralmente rito), l’idea della Colasanti espressa in un registro modale per “raccontare il dolore straziante di Cerere”, la soprano Sharon Carty, si associa allo strumentale The spring decrease, quando la primavera diminuisce, attenua il candore, muore.
Nella descrizione delle stagioni da cui si desume l’attenzione verso le parole che la scrittrice aveva riservato all’opera, quand’anche si occupò di curare alcune poesie del marito Percy Shelley, si ravvisano gli archi post-wagneriani e l’utilizzo di vari altri elementi che hanno reso l’orchestra, la giovanile della scuola di musica di Fiesole diretta dal Maestro Pierre-André Valade, interprete di emozioni dirette, come quando l’oboe ci suggerì la salvezza di Proserpine.
“Quando regna l’estate vivrai di luce sulla Terra” dice sofferente la madre alla figlia in un canto recitato. Ha invocato il “magnetico arcobaleno” e il teatro si è acceso di colore, ha supplicato Giove di risparmiare la sua “bellissima figlia” e le sue preghiere sono state accolte solo per compassione. Pur avendo mangiato semi di melograno, frutti proibiti, e quindi essere destinata agli inferi, egli acconsentirà affinché Proserpine viva metà dell’anno con i suoi cari, lontana dai carri neri dell’Ade. Le due donne, straziate, non riescono a lasciarsi, “tutto giacerà sepolto in una notte odiosa” che rinascerà solo con l’amore e l’attesa di rivedersi.
Talmente particolare il ruolo centrale affidato ai musicisti ché temiamo una reazione perplessa alla modifica di stile della Colasanti, dal pubblico spoletino conosciuta soprattutto per Requiem e Minotauro, quell’identità cara a Schönberg che riconosciamo perlopiù atonale e priva di sintassi.
Terminate le sette scene, scende il sipario sulla speranza delle due donne di ritrovarsi.