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Stasera al Cucinelli Sergio Castellitto si veste da Zorro, barbone senza maschera armato di coraggio e dignità

Zorro. Non l’eroico giustiziere mascherato abile spadaccino, ma un barbone da marciapiede altrettanto misterioso a sua volta, ma nell’intimo. Una sorta di specchio nel quale non vorremmo imbatterci perché riflette paure, incertezze, dubbi, dolori che potrebbero sopraffarci, inciampi improvvisi sui quali miseramente cadere. Vent’anni dopo la sua prima apparizione questo Zorro tragicomico uscito dalle pagine dense di sentimenti quotidiani e profondissimi del romanzo di Margaret Mazzantini, torna sulle scene portato ancora una volta da Sergio Castellitto. La messinscena aprirà stasera, 2 aprile alle ore 21, la stagione del Teatro Cucinelli di Solomeo e in replica domenica 3 aprile alle 18. L’occasione giusta per parlare di questo e altro con Sergio Castellitto.

Lei sostiene che l’arte è un modo per capire la vita. Zorro è uno spettacolo teatrale per capire cosa della nostra esistenza?
“Le sconfitte, le aspirazioni, se e cosa abbiamo sbagliato; capire se le cadute sono sempre colpa degli altri o non ci sia da riflettere sui nostri stessi passi”.

Zorro il barbone chi è esattamente?
“E’ appartenuto al mondo dei cosiddetti normali, integrato nel contesto sociale e che poi ci racconta una storia. Quella di chi lentamente cade in un baratro. Perde tutto: certezze, riferimenti borghesi ai quali solitamente si tende pensando di poterci vivere bene. Però Zorro non perde la dignità individuale, quella che appartiene soltanto a ognuno di noi”.
Ripropone Zorro vent’anni dopo la sua prima messinscena. Cosa è cambiato rispetto ad allora?
“Nelle repliche che ho fatto fino ad oggi sono rimasto abbastanza sconvolto, sorpreso, proprio dalla reazione del pubblico che ha abbracciato questa storia con la stessa emozione che avevo riscontrato vent’anni fa. Questo, per quanto mi riguarda, è un buon segno, il segno tangibile di un’emozione che è insita al testo. Questa riprova ce la offre soltanto il teatro perché lavora sui simboli e non sull’attualità; questi simboli restano e vengono interpretati dalle generazioni successive allo stesso modo perché l’adesione è interiore e non solo contingente”.
Nel monologo che lei interpreta subentra a un certo punto, immaterialmente, Nanda, la sorella di Zorro che, vedendola, dice ammettendo:  “un po’ di vita torna” e ricorda di quando lei lo chiamava Pizzangrillo. Che simbolo è Nanda, cosa ci rappresenta?
“Nanda è la sorella che non dimentica e che riconosce il coraggio del fratello. Coraggio che gli ha consentito di abbandonare tutto, di disancorare la barca e di andare incontro al mare aperto senza avere il problema, come dice Zorro a un certo punto, di tornare ogni volta sulla spiaggia dove c’è il mondo delle regole che ci consente, in apparenza, di sentirci felici”.
L’approdo sicuro, del resto, talvolta viene sconvolto nelle sue stesse regole. Come nel caso della pandemia e di una guerra nel cuore dell’Europa.
“La forza e il coinvolgimento di questo spettacolo vent’anni dopo sta anche nel fatto che per due anni abbiamo passato con il Covid quello che abbiamo passato e adesso ci troviamo con l’incubo terribile di questa guerra che lambisce i nostri confini che ritenevamo sicuri. Elementi che decuplicano il sentimento di solitudine”.
Solitudine in che senso e chi secondo lei ne soffre ora maggiormente?
“Le generazioni di oggi credono di combattere la solitudine attraverso la virtualità, con il fatto di essere sempre in contatto, costruendo profili Instagram, Facebook. eppure credo che non ci sia mai stata un’epoca con così tanta solitudine”.
Cos’è che questa nostra generazione interconnessa ha perso soprattutto?
“La potenza dell’immaginazione che si può vivere pienamente, appunto, solo in solitudine. Per questo nello spettacolo Zorro dice che l’amore è nel pensiero e nel silenzio”.
Lei adotta un registro, pur nella drammaticità della narrazione, molto ironico, volutamente tragicomico.
“Tanto è vero che a Nadia che vorrebbe stare in contatto sempre con lui, Zorro risponde: hai mai visto un senzatetto con un cellulare? La modalità che adotto è molto vicina alla clownerie, l’ironia ci consente di prendere in giro anche le nostre sofferenze. Ed è un buon modo per guarire. C’è sempre una finestra aperta o perlomeno socchiusa”.
Il commento più significativo del pubblico che le è rimasto impresso?
“Uno spettatore mi ha detto: ‘dopo il suo spettacolo ho incrociato i barboni della mia città e li ho finalmente guardati con un altro sguardo perché dentro la loro vita c’è qualcosa che mi riguarda’. In effetti tutti abbiamo corso almeno una volta il rischio di perderci e peraltro c’è qualcuno vive in una tremenda solitudine pur essendo inserito nel mondo della regolarità”.
Tormentone finale: per lei il cinema è?
“Un luogo dell’anima. Un territorio dell’immaginazione”.

La televisione?
“Un luogo formatizzato. Un palinsesto. Eduardo la definiva un elettrodomestico”.
Il teatro?
“La potenza della parole che risuonano da secoli” .
Reciterà, in Umbria, aprirà la stagione a Solomeo…
“In Umbria ho tanti amici, specialmente nel tuderte. Ci sono stato l’ultima volta con Avati per il film su Dante e ho visitato borghi stupendi. E sono contento di salire sul palco del Cucinelli perché Solomeo è una realtà culturale formidabile, di grande amore, di rispetto verso l’incontro in un’epoca dove viviamo di scontri”.

Foto di copertina: Alan Piscaglia

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L’accesso a teatro sarà consentito nel rispetto delle normative vigenti. Si può prenotare telefonicamente, al Botteghino del Teatro Stabile dell’Umbria 075/57542222, tutti i giorni feriali, dalle 16 alle 20. I biglietti prenotati vanno ritirati almeno un’ora prima dello spettacolo, altrimenti vengono rimessi in vendita. È possibile acquistare i biglietti al Botteghino del Teatro Cucinelli, tel. 075/6970890 info@teatrocucinelli.it, il giorno dello spettacolo dalle 16 per le repliche pomeridiane, dalle 19 per le repliche serali. Vendita online sul sito del TSU www.teatrostabile.umbria.it.

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