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Roma, Natale e il nonno

Silvia Buitoni
Per tutta la mia infanzia il Natale è stato romano. Si partiva: armi, bagagli, cappelletti e regali il 24, per essere lì, pronti e vestiti bene per l’apertura dell’albero alle 17 in punto, sì, perché da Roma in giù, il giorno speciale è la Vigilia.
Mi ricordo l’attesa, che non riguardava la fantastica cena a base di pesce, anche perché a noi bambini era riservata una normalissima cena in tinello, ma il momento dell’apertura dei regali. Il tempo sembrava non passare mai.
Il grande salone era diviso da una tenda: da una parte l’albero e i doni, dall’altra un orda di bambini impazziti e insubordinati che cercavano, nonostante i rimproveri delle numerose tate, di sbirciare di là dal tendone, per scoprire chi fosse in realtà che portava tutto quel ben di Dio.
Per trastullarci durante l’attesa mio nonno Paride ingaggiava gli zampognari che arrivavano insieme alla befana e che, all’apertura della tenda, ci accompagnavano nel lato della stanza dove era avvenuto il miracolo del passaggio di Babbo Natale.
Di quei natali ho ricordi vaghi, e quei pochi che ho non riguardano il cibo, ma le scorribande insieme ai miei fratelli e i miei cugini, le risate, le lotte tra maschi e femmine e il circo Orfei, dove mio nonno ci portava ogni anno e dove ci veniva riservato un palco d’onore, anzi due, visto che eravamo tantissimi.
Mio nonno era un chirurgo molto famoso, il primo in Italia ad aver trapiantato un rene alla fine degli anni sessanta. Quando eravamo con lui, ci succedeva spesso, di essere fermati da giornalisti e finire in qualche settimanale di pettegolezzi, per ragioni positive naturalmente! Nata
Ora che ci penso un ricordo legato al cibo dei miei natali romani ce l’ho, mia nonna appendeva all’albero dei torroncini buonissimi, confezionati con una carta che riportava le figure di animali esotici, la gara era a chi ne rubava di più. Che lo si voglia o no, la Madeleine sbuca sempre, specialmente a Natale.
A domani

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