BOLOGNA – Il bacio per eccellenza del secolo soccorso lo ha immortalato proprio lui, Robert Doisneau: Le baiser de l’hôtel de ville.
E’ una delle immagini più famose della storia della fotografia del secondo dopoguerra. La rubrica Dentro lo Stivale di Vivo Umbria, anche per esorcizzare senza sottovalutare l’emergenza Coronavirus, vi propone la mostra di Bologna dedicata a questo gigantesco artista parigino, padre e promotore della cosiddetta street photography. Da oggi infatti, 6 marzo e fino al 21 giugno 2020, lo splendido palazzo Pallavicini ospita un’importante retrospettiva dedicata a Doisneau.
Abbiamo chiesto agli organizzatori come è stata allestita la mostra, se ci sono specifiche sezioni, contributi filmati, documenti.
“L’esposizione è il risultato di un ambizioso progetto del 1986 di Francine Deroudille e della sorella Annette – le figlie di Robert Doisneau – che hanno selezionato 143 immagini da 450.000 negativi, prodotti in oltre 60 anni dell’artista. Non ci sono sezioni distinte, ma un filo conduttore immaginario raccontato dai pannelli presenti in mostra che attraversa l’intera vita di Doisneau e ne raccoglie le peculiarità: il gioco, la leggerezza, la grazia, l’interesse per la fotografia di strada e la quotidianità serena, l’amore per Parigi e per l’amore stesso. E’ peculiare infatti che pur avendo vissuto i drammi della Seconda Guerra Mondiale ed essendo stato parte attiva della Resistenza Francese, non si sia mai soffermato a fotografare troppo gli orrori della Guerra, preferendo sottolineare e ricordare la bellezza e la fragilità dell’essere umano, sempre con spirito giocoso. Non sono presenti filmati”.
Street photography e “fotografia umanista”. In cosa consistono in riferimento a Doisneau?
“Ci viene in soccorso la figlia Francine. Scrive: ‘Mio padre era uno showman i suoi migliori amici erano attori, musicisti, scrittori, si sentiva bene solo con persone che sapevano inventare sogni, permettere di vedere, creare illusioni. Se ha accumulato quasi ossessivamente testimonianze sul suo ambiente immediato, sul suo tempo e i suoi contemporanei, è perché voleva soprattutto essere un falso testimone. La sua ricerca essenziale era altrove, nell’incessante cattura dei piccoli momenti di un mondo che osservò acutamente per darci un riflesso modificato di esso. Ha dato vita a una finzione presa direttamente in prestito dalla realtà, lo ha fatto con grande economia di mezzi, ci ha offerto un universo più accettabile attraverso immagini scelte tra le molte “proposizioni del caso”. Se alla fine della sua vita fu travolto da un successo che lo lasciò sbalordito e felice, non cedette mai alla vanità: Riguardo a me, ciò che non mi abbandona mai è il mio lato buffo; sono un ometto con il berretto tirato giù fino alle orecchie quando il tempo è brutto. Fin dall’inizio – prosegue Francine – aveva rifiutato l’immagine pittorica della fotografia ufficiale. Rifiutando le regole stabilite, non si è mai inchinato alle mode grafiche, distinguendosi da tutto ciò che ha identificato come sistema. Si diceva ispirato più direttamente dagli scrittori che dagli artisti figurativi. Era un narratore. La sua arte, che voleva essere più istintiva che intellettuale, voltò volontariamente le spalle a qualsiasi raffinatezza formale e permise all’imprevisto di intervenire come attore protagonista”.
Prediligeva gli scatti riferiti all’infanzia, al gioco. Perché?
“Doisneau, sempre facendo riferimento a Francine è noto per le sue immagini semplici, giocose e ironiche, fatte di accostamenti divertenti, foto d’infanzia, di mescolanza di classi sociali e personaggi eccentrici nelle strade e nei caffè di una Parigi a lui contemporanea, presentando una visione affascinante della fragilità umana e della vita intesa come una serie di attimi quieti e contraddittori e la possibilità di ricordare e ricreare la leggerezza dell’infanzia che Doisneau non perse mai e che offriva nei suoi scatti.
Cosa pensava Doisneau dovesse restare della sua arte?
“Doisneau stesso lo ha in parte detto: “La fotografia è l’arte dell’illusione. Ciò che conta è che, condividere uno sguardo, può aiutarci a sopportare il reale. Di reincantarlo, a volte. Che ci si veda l’osservazione di una realtà malinconica o la testimonianza di un’irrefrenabile gioia di vivere è legata alla nostra storia. A ciascuno le sue lenti”.
Palazzo Pallavicini sarà dunque teatro e rappresentazione dei sobborghi grigi delle periferie parigine, delle sue fabbriche di bambini solitari e dallo sguardo impertinente ma anche della guerra della Resistenza francese al nazifascismo, dello svago semplice per non dire umile di un popolo immoratlato mentreballa, mentre è al bistrot: il tutto appartenente a un mondo, come premetteva Doisneau, che “non ha nulla a che fare con la realtà, ma è infinitamente più interessante”.
La mostra è curata dall’Atelier Robert Doisneau, creato da Francine Deroudille e Annette Doisneau per conservare e rappresentare le opere del fotografo, ed è organizzata da Pallavicini s.r.l. di Chiara Campagnoli, Deborah Petroni e Rubens Fogacci in collaborazione con diChroma photography.
La frase
Le meraviglie della vita quotidiana sono così eccitanti; nessun regista può ricreare l’inaspettato che trovi per strada. Robert Doisneau
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