Riot: quando la Tav diventa un gioco

Proprio nei giorni in cui le polemiche sul destino della linea ad alta velocità Torino-Lione impazzano sul dibattito politico nazionale giunge sul mercato Riot: Civil Unrest, videogioco che trae ispirazione dal movimento NoTav. Riot nasce dall’idea di Leonard Menchiari, sviluppatore indipendente italiano con alle spalle una militanza nel movimento NoTav. Dopo oltre 5 anni di lavorazione, qualche piccola polemica con il sindacato delle forze di polizia COSIP ed il coinvolgimento nello sviluppo della IV Productions del bolognese Ivan Venturi, alfiere del videogame italiano fin dagli anni del Commodore 64 e della Simulmondo, Riot è finalmente disponibile sulla piattaforma di download digitale Steam e sui negozi digitali delle console PlayStation 4, Nintendo Switch ed Xbox One.
Riot è un “simulatore di protesta”, un videogioco strategico del tutto atipico realizzato con una pixel art particolarmente curata e suggestiva. Nel titolo il giocatore è chiamato a controllare la fazione dei manifestanti o quella delle forze dell’ordine in quattro diversi scenari globali: le manifestazioni NoTav in Val di Susa, il movimento degli Indignados in Spagna, le proteste contro la discarica greca di Karatea, la rivolta di Piazza Tahrir a Il Cairo, episodio centrale della rivoluzione egiziana del 2011.

 
Differenti per giocabilità, più disordinati e incontrollabili i manifestanti, più marziali e strutturati i poliziotti, entrambi gli schieramenti devono fare i conti con l’approccio alla violenza. Al termine di ogni livello di Riot il giocatore viene infatti valutato non solo per i suoi successi strategici (forzare un posto di blocco, occupare o difendere un’area, sgomberare un sit-in di manifestanti) ma anche per l’uso della forza più o meno commisurato alla situazione. L’esercizio della violenza in assenza di provocazioni o di una minaccia proveniente dalla fazione opposta viene infatti valutato in maniera negativa dal gioco. In questo modo al “vincitore morale” di ogni livello viene attribuito il favore dell’opinione pubblica, con relativi bonus e vantaggi nel livello successivo, mentre una fazione inutilmente violenta viene punita con un’opinione pubblica negativa e dei malus.
Data questa premessa è chiaro come un atteggiamento non-violento dovrebbe essere da prediligere durante il gioco, eppure Riot fa qualcosa di molto interessante. Al contrario di molti videogiochi strategici tradizionali, dove è possibile controllare singolarmente e micro-gestire ogni unità presente sullo schermo, in Riot non possiamo controllare direttamente i singoli manifestanti o i singoli poliziotti, ma solo dare grossolane indicazioni a gruppi di persone. All’interno di ogni gruppo i singoli mantengono una certa autonomia e sono influenzati dalle provocazioni avversarie e dal livello di tensione. Ecco quindi che in barba alle scelte del giocatore, da un corteo di pacifici manifestanti potrebbero in ogni momento emergere uno o due balordi armati di petardi, che in una incontrollabile reazione a catena potrebbero scatenare una carica della polizia e conseguente guerriglia urbana.

La scelta di limitare il controllo del giocatore produce situazioni molto interessanti in cui la tensione sale alle stelle; allo stesso tempo è anche una riflessione dell’autore. Per quanto differenti siano i due schieramenti, con motivazioni ed ideali opposti, gli stati psicologici delle persone partecipanti sono gli stessi da entrambi i lati della barricata: paura, ansia, tensione. Nonostante la militanza NoTav dell’autore del gioco, Riot non è un’apologia della disobbedienza civile, ma una riflessione sulla natura umana, sull’universalità di certe emozioni e sull’illusione del controllo. Attenzione però a pensare che Menchiari abbia fatto una scelta un po’ cerchiobottista che mette tutti sullo stesso piano e tutti assolve, anzi. Ad uno sguardo disattento Riot sembra non schierarsi: si limita a presentare i fatti su cui è basato con brevi ed asettiche descrizioni. Poi però in alcune schermate fa un invito esplicito al giocatore: quello di andare ad informarsi in prima persona sugli eventi rappresentati nel gioco.
Informarsi e formare autonomamente le proprie opinioni. Più schierato di così, in un epoca di fake news e verità alternative, proprio non si può.

Riccardo Regi: Direttore di Vivo Umbria, Perugino, laureato in Lettere, giornalista professionista dal 1990, vice direttore dei Corrieri Umbria, Arezzo, Siena, Viterbo, Rieti per 18 anni.