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Racconto breve di Carlo Favetti: “Giallo, rosso e blu: l’ultimo Kandinsky e le sue linee intersecanti”

Proponiamo ai lettori di vivoumbria.it un nuovo racconto breve di Carlo Favetti dal titolo “Giallo, rosso e blu: l’ultimo Kandinsky e le sue linee intersecanti”.
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Giallo, rosso e blu: l’ultimo Kandinsky e le sue linee intersecanti
di Carlo Favetti
Terminato il servizio, come al solito stressante, a San Lorenzo in Lucina, appena pranzo, mi rifugiai in camera, mi cambiai in fretta e furia,  dovevo vedermi con Domenico, appuntamento  alla Barcaccia di Trinità dei Monti. Ammetto che  feci tardi a prendere la metro per Spagna, non sapevo come fare per comunicare a Domenico che avrei ritardato. Conoscevo bene il suo carattere, era esigente sugli orari, lui era puntualissimo, con quel suo atteggiamento da professorino. Lo vidi seduto sui gradini di pietra, mi cercava con lo sguardo tra la folla assiepata  tutt’attorno alla fontana dei Bernini. “Pensavo che non venissi più, dai accompagnami alla galleria in via del Babuino, devono pagarmi e poi dovrei  ritirare alcune cose mie che ho lasciato lì dall’ ultima mostra”. Erano alcune settimane che non ci vedevamo e che  non uscivo con lui, l’ arrivo a Roma di Marco aveva scombussolato i programmi, e poi c’ era sempre quell’ansia del congedo che mi dava problemi per organizzarmi. Domenico non lasciava intravvedere nulla a riguardo dei suoi sentimenti nei miei confronti e questo rendeva il nostro rapporto di amicizia ancora più bello e puro, ma leggevo nei suoi occhi tanta tristezza, come se da un momento all’altro  si aspettasse una notizia sconvolgente da parte mia. Rimaneva sempre sul vago, chiedeva poco di me, come del resto anche io di lui, che riuscii fino all’ ultimo giorno, a nascondere veramente ciò che ero, cosa facevo a Roma. Non so neanche io perché lo feci, forse per non farmi giudicare in modo diverso da come mi  considerava, visto che lui, da buon universitario di sinistra  e avendo partecipato ad alcune manifestazioni studentesche, non era tanto incline verso le forze dell’ordine.

Lo attesi al bar Rosati a piazza del Popolo, giunse dopo poco con una cartella e alcuni libri sistemati dentro una catana messa a tracollo. “Non ho nessuna intenzione di girare per Roma con tutti questi impicci addosso, vorrei portarli a casa. Mi accompagni o ci aspettiamo qui? Come preferisci?”. Non volevo proprio  rimanere una mezz’ora lì al bar Rosati da solo ad aspettare lui, quindi preferii accompagnarlo a casa.
“Perché non compriamo qualcosa e ceniamo da te, ho voglia di stare in santa pace, rilassato, magari a parlare di arte”. Anche se Domenico aveva l’urgente  necessità di sistemare sia la cartella che la catana con i libri a casa, non credo che avesse voglia di trascorrere quel pomeriggio rinchiuso nel suo appartamento. Comunque accettò l’ idea
“Va bene, come vuoi ma ho paura che ti assalirà la noia e poi vorrai andare via”. Avrei risposto in un modo adeguato, visto i precedenti, ma rimasi sul vago; lui su certe cose era molto riservato, non una parola fuori posto. “Certamente, se mi annoio cadrò tra le braccia di Morfeo, a meno che, te, riesca in qualche modo a tenermi sveglio”.
Ero entrato un paio di volte a casa di Domenico. Avevo visto soltanto il salottino d’ingresso e il bagno. Benché piccolo l’appartamento aveva anche altre due stanze, oltre al servizio di cucina. La donna aveva appena eseguito le pulizie e stava uscendo quando l’incontriamo sulle scale.
“Hai ricevuto due telefonate: tuo zio ha lasciato detto che richiama questa sera, poi quel tuo amico attore di teatro che ha detto di telefonargli appena rientravi”. L’ appartamento profumava di pulito, i pavimenti di marmo lucidi facevano da specchio ai mobili. C’erano alcuni libri di arte sul tavolinetto al centro dell’ ingresso, sul divano era stato steso un telo rosso a fiori blu, con motivi orientali.
“Cosa ci mangiamo per cena? Ho qualcosa nel frigo che mi ha lasciato la donna, polpettine, piselli, formaggio e un po’ di salumi. Scegli te”.
Avrei preferito qualcosa di dolce, ma Domenico, in un baleno, sistemò la tavola, scaldò le polpettine e i piselli, e mi invitò a sedermi. Si tolse il maglioncino, rimase con la t-shirt bianca a manica corta, mi avvicinai a lui attratto dal suo odore inconfondibile.
“No, ti prego non farlo. Mangiamo le polpettine, altrimenti si freddano”. Poi va al frigo ed estrae una bottiglia di vino, ne versa un po’ sui bicchieri e mi invita a brindare.
“Buone le polpettine ma a me andrebbe anche qualcosa di dolce. Anche biscotti, non so, da inzuppare nel vino bianco”.
Non rispose a quella mia richiesta. C’era qualcosa di strano in lui, sembrava infastidito dal mio comportamento. Ma io non avevo chiesto nulla di che, soltanto se aveva in casa un po’ di dolce. L’ atmosfera  cominciava a farsi pesante. Mi alzo e vado al bagno. Sentivo il rumore dei piatti e dei bicchieri che venivano adagiati nel lavandino. Domenico stava riassettando la cucina. Poi all’ improvviso silenzio. Lo cerco, non lo vedevo più in cucina, vado al salottino e lo trovo lì a farsi una sigaretta. “Siediti fammi fumare ne ho bisogno. Si toglie gli occhiali, li chiude e li mette sul tavolo, si toglie la t-shirt, accende la sigaretta. Guardavo tutto ciò che stava accadendo con grande attenzione. Volevo avvicinarmi a lui, ma aspettavo un suo accenno. Si alza, va verso la camera, lo seguo. Un letto grande, con una spalliera articolata rossa e oro, una camera da re, con soffitto a cassettoni, una specchiera immensa dorata e dall’ altra parete un grande dipinto di Kandinsky linee intersecanti. Lui si toglie le scarpe, si getta di peso sul letto, io rimango incantato a guardare quel dipinto che trasmetteva una particolare eccitazione data da quelle linee quei colori che creavano un effetto di geometriche esplosioni.
“È l’ artista mio preferito Vasilij Kandinsky, ecco perché l’ho sistemato qui in camera, il dipinto dal titolo linee intersecanti. Kandinsky è il padre e fondatore dell’astrattismo, derivato dal rapporto tra la musica, colore e spiritualità intrinseco in ogni opera d’arte. Tutto il suo pensiero  è espresso nello scritto Lo Spirituale, dove mette in relazione nell’arte i colori con gli stati psichici come il colore giallo per rendere il dinamismo; il rosso per la forza e la passione; il blu per la qualità. La sua tecnica era una metafora musicale per spiegare quest’ effetto: il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto, l’ anima è un pianoforte con molte corde. Il colore può essere caldo o freddo chiaro o scuro. Be cosa altro posso dirti, sarebbe un discorso lungo sulla sua vita e sulle sue opere. Nacque a Mosca il 16 dicembre del 1866 e morì in Francia il 13 dicembre del 1944. Ebbe due mogli, la prima di nome Nina e la seconda Anna. Ecco tutto. Vuoi sapere altro? Credo che basti no?”.
Tirò fuori tutta la sua conoscenza su Kandinsky, era preparatissimo Domenico al tal punto che ringraziai, sedendomi vicino a lui sul bordo del letto.
“Ora cosa vuoi sapere, vuoi scoprire altre cose?  Io vorrei sapere invece delle cose di te che non mi hai ancora rivelato. Cosa fai a Roma, perché tutta questa segretezza. Ci siamo conosciuti  da diverso tempo”. Ormai dovevo dirglielo, ed essere chiaro con lui una volta per tutte, anche se qualcosa avevo lasciato intendere già dalla prima volta che ci eravamo incontrati.
“La mia è una situazione particolare, sono a Roma per svolgere il servizio militare nell’ Arma dei Carabinieri e a breve finirò. Ho i giorni contati per stare ancora a Roma. Non te ne ho mai parlato perché non lo ritenevo opportuno”. Domenico rimase in silenzio. Poi si stese sul letto
“Non lo ritenevi opportuno? Sei uno sbirro, dovevo immaginarlo, il tuo comportamento non lasciava dubbi. Non sono tanto incline verso la tua attività, potrei anche cacciare di casa. Quindi ricapitoliamo, io sono amico per lo più intimo con uno sbirro”. Quindi vista la sua reazione avevo fatto bene a non dirglielo subito di cosa mi occupavo. All’improvviso si spegne la luce rimane tutto al buio. Mi sento prendere dietro le spalle da una grande forza e trascinare in dietro fino alla spalliera del letto. Poi un chiarore illumina la stanza di intenso colore giallo.
“Ora ti farò vedere tutti gli effetti e le sensazioni che esprime il dipinto di Kandinsky in base ai colori, guarda il dipinto con attenzione, spingendo questi pulsanti i colori illuminano i tasselli”. Era uno spettacolo di luci e ombre colorate come quelli riprodotti nel dipinto. Colori che illuminavano la stanza e creavano ombre sulle pareti, sugli oggetti e su noi, cambiando totalmente i tratti somatici del visto.
“Che te ne pare, sbirro? È un bello spettacolo di colori? Dai togliti la felpa stai più libero”. La stanza cominciava ad assumere una dimensione astrale, sembrava di essere proiettato nel più profondo firmamento. Le luci iniziavano a muoversi, dapprima piano, poi sempre più forte. Mi sento sfilare la felpa,  sento la morsa del braccio attorno al collo, e poi scendere piano piano ad impadronirsi di tutto ciò che trovava.
“Hai detto le bugie, mi hai tenuto nascosto quello che sei! io non sopporto questo. Io sono preciso, come hai potuto vedere, in tutto, mi piace essere leale. Ma non voglio lasciare in te un brutto ricordo di me”. Quelle luci mi stavano dando una sorta di sonnolenza, blu, gialla, era un’ ossessione per me, trasmettevano un senso di eccitazione profonda che non resistetti e caddi come in un’estasi, fissando quelle linee del dipinto li appeso al muro e la sua voce raccontare di Kandinsky. Mi ritrovai  tra cuscini e coperte di raso e seta. La sua voce nell’orecchio respirava affannosamente
“Ti piace questo dipinto vero? Che emozioni può darti dimmelo! Puoi fermarti qui se vuoi, puoi trascorrere la notte qui, vedrai sarà meglio delle altre volte se vuoi. Dipende da te. Questa volta potrebbe essere l’ ultima per noi e, quindi perché no, vivila tutta questa notte, non risparmiarti in nulla. Sento che hai bisogno di stare bene, lo sento dal tuo respiro. Perché sei Ansioso? Calmati, stiamo bene così. Vuoi che vada a prendere qualcosa da bere? Vino, spumante non so, vuoi fumare? Dimmi te. Chiedimi quello che necessita la tua anima, posso parlarti di arte, di come Gauguin trascorreva i pomeriggi quando era preso dall’estasi della pittura. Posso parlarti di Boccioni e le sculture di Leoncillo, dimmi te, qualsiasi cosa che possa farti stare bene. Vuoi massaggi alle spalle? Sono capace anche ai piedi”. Mi stava spingendo al tal punto di sentire da me quello che desiderava che io gli chiedessi, ma non ebbe risposta, ero in un altra dimensione, stavo bene da solo in quel momento. Allora mollò la presa, tolse la morsa dell’abbraccio, passò la mano sui capelli,  poi scivolò giù, leggero, scalando quell’abisso che rende all’anima umana la conoscenza di quelle linee intersecanti del bene e  del male in ogni creatura vivente.
In copertina: Kandinsky, “Linea ininterrotta”

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