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Racconto breve di Carlo Favetti: “Da Pons Aelius alla concezione di Catullo sull’amore”

Proponiamo oggi ai lettori di vivoumbria.it un nuovo racconto breve di Carlo Favetti dal titolo “Da Pons Aelius alla concezione di Catullo sull’amore”.

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Da Pons Aelius alla concezione di Catullo sull’amore
di Carlo Favetti

Quel pomeriggio del 15 novembre del 1980 uscii vagabondando subito dopo pranzo e camminando giunsi a Ponte Sant’ Angelo. Il cielo non prometteva bene, era molto nuvoloso e  minacciose  nuvole nere si addensavano sopra la citta’. A due giorni dal congedo, ancora  avevo tanta voglia di Roma,  speravo che non piovesse, non avevo nessuna intenzione di rientrare e starmene tutto il pomeriggio e la sera dentro la sede. Mi appoggio al muraglione e guardo giù il Tevere che scorreva calmo e rassegnato nel suo letto, consapevole del suo atroce destino verso il mare. Alle mie spalle il vociare della gente, quel pomeriggio c’era  una lunga fila, soprattutto di turisti stranieri per entrare a castello; guardavo incuriosito quella calca, a volte anche litigiosa tra coloro che non rispettavano la fila. Ma siccome il tempo stava cambiando in peggio, pensai di avvicinarmi al centro, magari a piazza Navona per poi prendere la metro, al fine di rientrare in sede.

“Non ti vorrai gettare dal ponte spero ora che stai per concludere il servizio militare. Non ho nessuna intenzione di piangere e vederti chiuso tra quattro tavole. Potrò recitare il sermone come fece Nerone per il suo Sporo? Oppure come Adriano per il suo Antinoo? “. Riconobbi quella voce scherzosa, mi volto ed era Claudio lo studente attore, che rivedevo dopo diverso tempo: ” Come stai? Come vanno le tue performance teatrali. Ci siamo visti l’ ultima volta credo a casa tua insieme a Cristian e dopo non più, almeno avessi fatto una telefonata, per rivederci, incontrarci da vecchi amici ancora una volta. Ti ho pensato questi giorni, volevo passare al bar da Cristian e mandarti i saluti ma ho avuto alcuni impegni. Allora dimmi, tutto bene?”.
Claudio mi parla della ultima rappresentazione con la sua compagnia che ha debuttato alla città di Siena e poi a Lucca con grande successo. In quei giorni era ritornato a Roma e stava facendo le prove alla sala del Capranica per debuttare durante le festività natalizie al Quirino. “Mi sono ricordato che tra due tre giorni ritorni alla libertà finalmente, mi dispiace che lasci Roma, credo che ti sei ambientato bene. Comunque scappo, sono in ritardo, se vogliamo vederci, dopo le prove sono libero. Possiamo incontrarci di nuovo qui, io per le 17,30 farò in modo di esserci, chi arriva prima aspetta”. Intanto, il vociare dei visitatori a castello stava scemando e mi venne l’ idea di visitare anche io il monumento, mi mancava, visto che li a breve, sarei ritornato al ponte per incontrarmi di nuovo con Claudio. Mi accodo alla fila, tra spintoni e dialoghi tra lingue diverse. Non avevo il biglietto, ma il tesserino fu il mio lasciapassare. Il gruppo era formato, fortunatamente, in maggioranza da italiani, e due coppie inglesi. Ci accompagna come guida un giovane assai preparato, sicuramente uno studente, mi avvicinai a lui e sul cartellino attaccato al petto lessi il nome Marcello. Ci mise in fila e ci chiese gentilmente di rispettare gli spazi e camminare in alcuni tratti sui tavolati in quanto c’era in corso dei lavori di restauro alla pavimentazione. Mi affiancai a lui, lo guardai attentamente. Si infilo’ gli occhiali e iniziò a parlare del monumento, ogni tanto consultava alcuni appunti ma dava anche una sbirciatina a me. Marcello aveva una buona oratoria, precisa e il suo racconto era efficace: “Il mausoleo di Adriano risale presumibilmente al 123 dopo Cristo come tempio funebre per lui e sua moglie Vibia Sabina. Qui furono sepolti Antonino Pio e sua Moglie Faustina Maggiore i loro figli Lucio, Elio e Cesare. Poi Marco Aurelio e Commodo, Settimio Severo e la moglie Giulia Domna e figli;  gli  imperatori Geta e Caracalla. Le stanze che vedrete, alcune di esse sono state affrescate, su volere dei papi che dal medioevo ne fecero una vera e propria fortezza inespugnabile. Alessandro VI chiamò il Pinturicchio; Giulio II Giuliano da Sangallo, Paolo III Perin del Vaga”. Proseguendo con la visita passiamo poi alle logge e Marcello ci illustrò sia la prima e che seconda, per poi giungere all’appartamenti privati pontifici: “I dipinti in queste stanze sono legati ad artisti della scuola del Raffaello capeggiati da Perin del Vaga.  Qui, alla sala Paolina, potete ammirare negli affreschi il cinquecento romano con decorazioni che vanno dal 1545 al 1547. Opere di Perin del Vaga e dei suoi collaboratori come Pellegrino Tibaldi, Domenico Righetti detto lo Zaga, Marco Pino, Girolamo Siciolante, Livio Agresti, Giacomo Bertucci ossia Giacomone da Faenza, storie di Alessandro Magno e le storie di San Paolo. Si passa alla sala di Perseo, di Amore e Psiche camera privata del pontefice, il bagnetto di Clemente VII con affreschi e decorazioni di Giovanni da Udine. Singolare questa stanzetta, a forma rettangolare, usato come stanza da bagno. Era fornito di un impianto di riscaldamento tipo terme romane collegato ad un forno che si affaccia sul cortile di Leone X. La costruzione si può fare risalire al tempo di Giulio II 1503/1513 ma fu Clemente VII a commissionare a Giovanni da Udine le decorazioni. Infine si giunge alla sala della biblioteca del 1544 e 1545 con dipinti e opere di Luzio Luzi da Todi o più comunemente detto Luzio Romano”.
Entrai subito in confidenza con la guida Marcello, che appena finito di spiegare al gruppo, gli chiesi se potevo andare a vedere il panorama di Roma dal loggiato. Mi rispose che non si poteva perché c’ erano dei lavori in corso, ma fece una eccezione e mi indico’ una piccola stradella interna, comunque dovevo fare attenzione nel camminare  tra impalcature e palanche di legno. Passato l’ appartamento farnesiano, prosegui  per la loggia di Giulio II fino al giretto scoperto. Passato la caffetteria del museo il giretto termina alla loggia di Paolo III collocata in asse con l’altra. Intanto iniziava a piovere e l’orario di chiusura si avvicinava. La piccola folla che all’ inizio attendeva all’ ingresso era smaltita. Mi appoggiai al muretto della loggia e difronte a me si aprì un panorama immenso su Pons Aelius. Fui rapito da quella bellezza, mentre scendeva la sera, i campioni cominciavano ad accendersi nascosti tra i rami ancora fogliati degli alti platani che si specchiavano piano piano uno dopo l’ altro sulle acque del Tevere. La città si apriva di fronte a me e il tramonto, dopo la pioggia, tingeva il cielo di caldi colori. Il leggero ponentino muoveva le nubi rimaste, facendo apparire le prime stelle. Non mi sarei mai aspettato di provare quelle sensazioni così forti, anche con un po’ di brividi, a quell’altezza, ma soprattutto l’emozione di assistere quella scena di quella parte della città in quella posizione, in quel monumento considerato uno dei pochi al mondo per la sua storia. “Vorresti accompagnarmi? devo fare il giro per controllare se qualcuno si è perso dentro – così Marcello di scatto, tutto affannato – qui spesso accade che i turisti si confondono e sbagliano il percorso di uscita”. Accettai e lo seguii,  ma il percorso non era quello stabilito, ma altro, e mi portò  fino a raggiungere l’estremità della Mole Antonelliana dove è collocato l’ angelo già illuminato: “Siamo finiti all’ estremità del Castello, non te lo aspettavi vero? Per te è  una eccezione, perché qui è interdetto alle visite in quanto è un cantiere perché stanno facendo i lavori di restauro. Guarda che spettacolo, da qui vedi tutta Roma i palazzi apostolici è il panorama più stupendo che ci sia, con questo cielo poi di tutte le tonalità non vorresti andare via mai“. Mi prese il braccio e mi portò quasi con forza appresso a lui e mi indicava i monumenti principali già tutti illuminati. Erano quasi le 17,30 dovevo incontrarmi con Claudio e non avrei fatto a tempo, ero troppo distante per rientrare nell’orario dell’ appuntamento. “Starei qui tutta la notte, se avessi la possibilità – gli dissi – credimi lo farei, perché questo luogo è magico e misterioso, trasuda storia e percepisco attorno a me la presenza di tutti quei personaggi che dall’ inizio hanno qui vissuto, compresi gli imperatori, i papi, i guerrieri, principi e soldati”.
Marcello rimase in silenzio, ero in ansia perché avevo l’ impressione che di li a poco tutto quell’ incanto sarebbe svanito all’ improvviso. Marcello si stava avvicinando troppo a me. Quel ragazzo stava mettendomi soggezione. Non capivo cosa stava pensando. Stavamo tutti e due in silenzio, ammaliati da quello spettacolo, ma Claudio mi stava aspettando giù in basso, non ricordavo più dove. Alzo di nuovo lo sguardo e Marcello aveva preso una piccola asta di legno tra i materiali dell’ edilizia, stava  dritto in piedi vicino alla base della statua e imitava il gesto dell’angelo con la spada sguainata. Scoppiai in una grossa risata, ma lui mi continuava a guardare, serio, con gli occhi puntati addosso. Non sapevo dove voltarmi. Pensavo, cosa voleva da me questo? perché mi guardava così? avevo anche un po’ di timore. Forse ha scoperto che sono un carabiniere quando ho mostrato il tesserino all’ ingresso. Potrebbe essere un terrorista. Ero proprio terrorizzato, anche perché non c’ era più nessuno dentro a castello, solo i vigilantes all’ingresso, nella zona museale.
Marcello scende dalla statua, fa un salto e lo trovo davanti a me:” Hai paura di cosa, forza parla. Non sono un mostro. Ho visto il tuo interesse e mi sono spinto oltre, dandoti la possibilità di scoprire ciò che a molti è celato di questo monumento. Poi, vuoi mettere lo spettacolo che ti sto offrendo da quassù? Sei un bel tipo lo sai? Hai un fisico da dio. Ti diletti in qualche sport o vai in palestra”. Non risposi, rimasi indifferente a quelle sue curiose domande personali. Ma forse avevo ben capito dove Marcello voleva arrivare. Mi affaccio e scorgo che all’ angolo di Ponte Sant’ Angelo, Claudio era li, ad attendermi. Dissi a Marcello che dovevo scendere, si era fatto tardi e mi stavano aspettando. Chiesi di accompagnarmi all’ ingresso, ma vedevo che non mi dava ascolto. Mi alzai di scatto, e lo presi per un braccio e gli urlai che doveva accompagnarmi all’ ingresso, era tutto buio, avevo timore di perdermi
:” non fare lo scemo,  te lo chiedo per favore, accompagnarmi all’ ingresso voglio uscire da qui, altrimenti potrei fare un gran casino”.
Così varcai il portone di Castel Sant’Angelo incazzatissimo, per fortuna che ancora c’era gente, anche se tutto il percorso interno evidenziava la sistemazione in chiusura.
“Ma dove ti eri infilato cazzo, è più di mezz’ora che aspetto. Credevo che te ne fossi dimenticato del nostro appuntamento. Bene io ho una mezza idea, dovrei andare a Valmontone a circa 35 km da qui che te ne pare? Ti va? Devo passare a trovare una mia zia che tanto tempo che non vedo”.
Accettai volentieri la sua idea, perché con Claudio era sempre una sorpresa, ogni cosa che organizzava. Prendiamo la Casilina superato il traffico, dopo un’ oretta giungiamo a Valmontone. Ormai era quasi notte, ricominciava a piovere, in alto tra i vapori si intravedeva il bellissimo  palazzo  Doria Panphilij illuminato. Scendiamo tra le strette viuzze per poi raggiungere la casa della zia.
Un palazzetto che si affacciava su una  piazzetta adorna di vasi di fiori e piante di alloro.  “Sono contenta che sei venuto a trovarmi – così la zia di Claudio – la scorsa settimana è deceduto Bruno il tuo padrino di battesimo. Era ormai nell’ età e provato dai malanni. Prima di morire mi ha lasciato questa chiave e lo scritto, in quanto, il suo desiderio era che la sua casa doveva essere tua, visto che non aveva più  nessun parente”. Era una donna molto delicata la zia di Claudio, la classica figura materna attempata con i capelli bianchi raccolti in un ciuffo. Altezza media, un po’ paffutella, ma dall’ espressione dolce. Parlava a bassa voce, come se non volesse disturbare. Non è stata mai sposata. La Signora consegno’ la chiave in un modo regale al nipote, quella lunga chiave di ferro pesante, con un occhiello tutto in ferro battuto. Claudio prese la chiave con se, la guardo’, poi se la strinse al petto, come se fosse un cimelio. In quel momento si sentiva già la responsabilità di un adulto, aveva una sua casa, finalmente era indipendente da tutto e da tutti. Sotto la pioggia scrosciante, Claudio non parlò mai fino a quando non entrammo nella grande casa del defunto Bruno, in cima all’ abitato. Buio pesto al suo interno. Il salone era immenso, quasi spettrale,  in fondo un grande camino, con all’ angolo divani, poltrone in legno, tappeti, suppellettili. Sopra al camino, appeso alla parete della cappa l’orologio, alcuni quadri, due spade incrociate e un fucile con baionetta innescata della prima guerra.
La visibilità era data solo dalla luce pubblica che filtrava tra i tendaggi delle finestre, perché, l’impianto era stato dismesso: “E’ bellissimo qui, guarda, ci sono anche le teste maculate di un cinghiale e di un cervo. Sei stato fortunato amico mio di aver ereditato questo bene, ora di tua proprietà”. La casa era grandissima, ma non ci avventurammo a scoprire oltre.  Fuori pioveva a dirotto, tuonava,  i lampi squarciavano la stanza da farmi sobbalzare ogni volta, lasciandomi senza senza fiato.
“Hai freddo? Ora accendo il fuoco nel camino, ci sono ancora i legni li da una parte. Non mi sarei mai aspettato di ereditare questa casa. Ricordo che da piccolo sono venuto qui solo un paio di volte in quanto, tutto questo, mi metteva timore e ansia. Non riuscivo a capire il perché. Ma ora sono felice. L’ unico rammarico è quello di aver trascurato lo zio Bruno quando era in vita, dovevo stargli più vicino”.
Claudio inizia ad accende il fuoco, piano piano le fiamme prendono via e il grande salone iniziava a illuminarsi e mostrare tutti i suoi cimeli. Avvicino la poltrona al camino, eravamo zuppi di acqua,  dai piedi alla testa. Le fiamme aumentavano sempre di più  e i ciocchi di legno iniziavano ad ardere costantemente emanando e diffondendo  un confortevole calore su noi e sull’ ambiente. “Dai togliamoci questi vestiti bagnati e mettiamoli ad asciugare vicino al camino sopra le seggiole”. Claudio rimase seminudo, con il solo slip. Si asciugò con un brandello del tendaggio, poi sempre in silenzio, vicino al camino, sopra al tavolinetto poso’ un involucro con cartine, tabacco, erba marijuana,  inizio’ a fare una sigaretta e poi un’ altra, alla fine mi offri’ anche a me di fumare, che accettai, si! accettai volentieri.  Poi  aprì una porta, scese alcune scale, dopo un po’ ritornò con due vecchie bottiglie di vino  impolverate; ad una tolse il tappo, bevve e me la passò anche a me. Un vino stagionato, squisito, chissà da quanti anni era lì. Mi tolse ancora una volta la bottiglia dalle mani e se la mise in bocca sorseggiando ingordamente senza respirare, poi riprese la sigaretta, e continuo a fumare: “Voglio ubriacarmi. Ci dobbiamo ubriacare ti va? A me si. Te devi rientrare subito? Mi avevi detto che eri libero per la notte. Stai tranquillo che all’ alba sarai a Roma pronto per il servizio”.
Mi sdraiai sul tappeto rannicchiato vicino al gradone in pietra, già caldo del camino, stavo benissimo trasgredito al massimo.
Attorno c’era un silenzio tombale, i tuoni e i lampi si erano placati, ma ancora la pioggia cadeva, e noi già eravamo abbondantemente alticci.
All’ improvviso Claudio si alza dalla poltrona, inizia a mimare e improvvisare un piccolo balletto accompagnato da una musica immaginaria che udiva solo lui nelle sue orecchie: “Potrei narrare storie, per non farti addormentare e tenerti sveglio, ma non so se te mi seguirai oppure ti addormenterai. Senti che calore che emana il camino? Dentro me ci sono scintille come quelle che salgono tra le fiamme, ascolta, senti questo scoppiettio? È uguale a ciò che provo io quando sto insieme a persone come te, un calore dentro che vorrebbe  esplodere in un sol colpo, ma stenta sempre a farlo. È come la concezione di Catullo sull’ amore. Infatti per me, come per lui l’ amore è una forza slegata da ogni forma di ragionamento logico, capace di istigare sentimenti come la gelosia e azioni come il tradimento. L’ amore non è inteso un sentimento ma qualcosa il più fisicamente possibile in lui è frequente l’ uso di parole appartenenti al linguaggio erotico. Per esempio nella Poesia dei baci, Catullo si è superato – si avvicinava sempre di più a me infilandomi ciò che rimaneva della sigaretta in bocca e poi continua con Catullo –  tu dammi mille baci, poi cento, poi ancora mille, poi altri cento, poi ancora mille, poi cento,  infine, quando ci saremo dati migliaia di baci mescoliamoli bene, affinché l’ invidioso che ci guarda non possa contare”. Quel suo modo di discorrere, con quella voce calda e sensuale, stava creando in me  una sorta di perplessità  sul concetto di amicizia, ero nel dubbio, se fosse qualcosa di più. Si! Claudio con i suoi miti classici, stava andando ben oltre: “Le poesie del tuo poeta preferito, ogni volta che le reciti mi fanno accapponare la pelle. E basta per favore! sembra che lo fai apposta”.
Il camino stava producendo abbondanti carboni ardenti, il tepore era immenso. Claudio si avvicina sempre di più alla fiamma si pone di fronte alla bocca del camino,  in controluce notai che ancora era nudo. Allunga la mano verso le fiamme a mo’ di sfida, giocando e rischiando con esse, voleva solo accarezzare, toccare, palpare ma non ci riuscì’, le fiamme erano più forti di lui, ritirandosi di scatto verso di sé. Si volta, allunga di nuovo la mano verso me, mi invita a seguirlo in quel vortice di calore e fiamme, io non volevo, stavo troppo bene sdraiato a terra, ma acconsentii … mi avvicinai al calore del fuoco che ardeva ancora più di prima e solo allora fui accontentato di bere dal fondo di quella sua bottiglia quel poco di vino rimasto.
Nell’immagine di copertina dipinto di Lawrence Alma-Tadema: “Catullo legge le poesie a casa di Lesbia”

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