Racconto breve di Carlo Favetti: “Con Jean Fautrier in quell’autunno romano del 1980”

Nuovo racconto breve di Carlo Favetti che proponiamo ai lettori di vivoumbria.it in questa domenica di ottobre, mese richiamato dall’autore in questa narrazione “romana”.
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Con Jean Fautrier in quell’autunno romano del 1980
di Carlo Favetti
Venerdì ultimo di Ottobre, dopo aver preparato il borsone, in quanto l’ indomani mattina sarei tornato dai miei al paese per il weekend, appena pranzo mi recai velocemente a prendere la metro, direzione Spagna, destinazione la mostra delle opere di Jean Fautrier. Infatti non volevo perdermi quella occasione dal 25 ottobre 1980 fino alla metà di novembre, all’Attico Esse Arte in via del Babuino. Quelle opere dell’ artista francese, pittore e scultore, uno dei massimi che identificò l’informale all’astrattismo che studiai al Leoncillo di Spoleto. L’artista nato nel 1889 e morto nel 1964, fu il padre del Tachisme insieme a Jean Dubuffet. Vidi in quella occasione, oltre a quelle esposte, anche altre opere che gli diedero la celebrità grazie al fornitissimo catalogo che acquistai e che ancora conservo. Conobbi quindi opere come Tete d’ Otage, Head of a Hostage del 1934; Deponille 1945; Hostage Black Ground 1947; Oradour sur Glane 1945; It’s How You Feel 1958; Composition 1956 (nella foto di copertina).
La mostra era stata inaugurata la mattina e nel pomeriggio ancora c’ era molta gente in fila per accedere alle sale espositive. Servizio d’ordine chiedeva il biglietto d’ ingresso, io mostrai il tesserino ed ebbi subito libero accesso. Come detto conoscevo alcune delle opere in mostra, in quanto Fautrier è stato un artista che ho studiato quando frequentai l’istituto d’arte a Spoleto e poi l’astrattismo, come il cubismo, mi ha sempre affascinato. Domenico invece, così era scritto sul cartellino che aveva appeso al collo, era il responsabile di turno della mostra, giovane, serio, che accompagnava nelle varie sale di esposizione e ci illustrava le varie opere sia pittoriche che scultoree.
Domenico, giacca, pantaloni e cravatta blue, camicia rosa, era preparatissimo in materia. Le sue spiegazioni mi entusiasmavamo, così come quando ascoltavo le conferenze di Carandente su Calder a Spoleto. Ascoltavo attentamente e seguivo come un cagnolino quel giovane che avrà avuto all’incirca la mia età. Dopo quasi un’ ora di attenzioni, esco a fumare una sigaretta.  Intanto, mentre cadeva la tiepida  sera dal sapore autunnale,  iniziava anche a scemare l’affluenza dei visitatori, alle 18 la mostra chiudeva i battenti e quindi, mi accosto al tavolo dove erano esposte in bella vista alcune pubblicazioni, sia quelle che riguardavano la mostra, sia la biografia e catalogo delle opere dell’artista Fautrier in generale. “Vuole acquistare il catalogo sulla mostra oppure acquistare il volume sulle opere in generale e la biografia dell’ artista? Il primo costa diecimila lire, il secondo trenta mila lire, vedo se possiamo fare un po’ di sconto – così Domenico  con modo garbato a mo’ di buon venditore – certamente in omaggio per gli acquirenti una xilografia a scelta”. Pensai un attimo e poi risposi che ero intenzionato ad acquistare il catalogo ma sarei passato lunedì in mattinata. Per il catalogo occorreva prenotare e compilare una scheda descrittiva mettendo le generalità dell’ acquirente, indirizzo ed eventuale numero telefonico. Lasciai soltanto le mie generalità, per motivi di privacy, ne recapito telefonico e ne indirizzo.
“Va bene signor Carlo – con aria molto gentile – conserverò il suo catalogo fino  a lunedì mattina”. Rimasi ancora un po’ all’interno della mostra fino alla chiusura. Da via del Babuino, scendo a via del Corso per poi giungere a  piazza del Popolo. Mi fermo al solito bar Rosati, ormai era un punto di riferimento per me in quella zona della città. Al cameriere ordino un aperitivo alcolico. “Le dispiace se mi seggo con lei? Posso offrirle l’ aperitivo? Mi farebbe molto piacere. Vedi le coincidenze?”. Accettai Domenico al mio tavolo e dissi di non darmi del lei ma di chiamarmi per nome.
“Ho visto che ha apprezzato molto la mostra al punto da aver prenotato l’ acquisto del catalogo. Io sto facendo un periodo di preparazione agli esami di ammissione all’ università  vorrei laurearmi in storia dell’ arte e questo artista, così come tutto il mondo dell’ astratto, cubismo, futurismo e le varie scuole mi ha sempre affascinato. Te invece? Sei di passaggio qui alla capitale o ci vivi?”. Non sapevo cosa rispondere, tutta quella spontaneità di Domenico mi stava incuriosendo, ma non rivelai il miei interessi che avevo in città. “Diciamo che ormai sono di passaggio, tra qualche giorno termino un lavoro che mi ha tenuto impegnato per un periodo e ritorno alla mia Regione Umbria”.
Domenico era un tipo interessante, serio dalla faccia pulita, occhiali da vista, aria da intellettuale, ma aveva l’espressione tipica dello studente universitario, una specie di Sergio.  “Mi farebbe molto piacere prima che lasci Roma di uscire ancora altre volte, difficilmente si incontrano persone che amano la cultura, soprattutto l’arte di questi tempi. Magari lunedì, quando vieni a ritirare il catalogo possiamo andare a mangiarci una pizza, bere una birretta, decidiamo”.
Domenico mi stava proponendo di uscire, ancora una altra volta  con lui, ma io, senza pensarci due volte, proposi subito di andare a mangiare qualcosa, visto che era quasi l’ ora di cena e non avevo proprio nessuna intenzione di rientrare in sede. Aria tiepida autunnale, la città si stava adagiando tra le braccia della sera. L’ aperitivo stava già facendo il suo effetto. Stavo bene. “Accetto l’ invito – Domenico entusiasta – però lasciami consigliare dove andare, io proporrei il ristorante da Fortunato al Pantheon, uno dei migliori di Roma e, poi, vuoi mettere? si mangia di fronte al panorama di uno dei monumenti più belli al mondo”. La scelta di Domenico per cenare li era stata ottima. Lui era un conoscitore provetto di quei  luoghi d’ arte che si coniugano bene con la gastronomia, ma soprattutto luoghi che creano una certa complicità.  In tutto quel periodo non avevo mai frequentato quel ristorante, eppure spesso ero passato per il Pantheon, e di luoghi suggestivi ne avevo conosciuti diversi in giro per la capitale. Ordinammo coda alla vaccinara, abbacchio e un assaggio di coratella. C’ era molte gente quella sera, il ristorante era strapieno soprattutto di turisti ma anche di studenti alcuni dei quali salutarono Domenico.
Per rompere il ghiaccio, tra un sorso di vino rosso della cantina di Castel Gandolfo, in attesa delle pietanze, curiosissimo proseguì a chiedere notizie più approfondite sulla figura di Fautrier e poi, mi piaceva sentirlo parlare, aveva un bel tono di voce.
“Però potevi risparmiarmi un altra allocuzione – si  sfila gli occhiali – vedo che non ti è bastata la spiegazione di oggi. Ma posso farti contento dicendo che con un esordio figurativo, Fautrier mette in atto una revisione regressione del linguaggio artistico fin da allora praticato nell’ arte, con il rappresentare forme stilizzate, ossia semplificate, soprattutto quelle umane,  ridotte allo stremo, ridotte all’ essenziale,  che partono dal punto focale del dipinto attorno al quale lui riesce a costruire molteplici varianti – mi guardava con modo appassionato, mi stava travolgendo con la sua padronanza oratoria – poiché spesso si tende identificare l’informale con l’ astrattismo,  l’ artista Fautrier resta comunque  un figurativo che utilizza i suoi mezzi espressivi con meritata accuratezza, con tecnica lontana da ogni improvvisazione”. Rimasi basito, l’improvviso silenzio fu interrotto dal cameriere che portò i vassoi delle pietanze  e li ripose al centro della tavola. “Certamente la tua preparazione su questo maestro dell’astrattismo è così esaustiva che meriteresti la laurea già ora a occhi chiusi – io sono più portato invece nell’ approfondire la scuola romana con tutti i suoi esponenti. Il mio preside Aurelio De Felice  dell’ Istituto d’ arte che ho frequentato a Terni ma anche l’ istituto Leoncillo di Spoleto, sono stati degli esponenti di questa scuola. Le opere di De Felice,  per lo più sculture, sono in molti musei europei e oltre oceano”.
Domenico mi guarda mentre sorseggia il calice di vino rosso:  “Sì, conosco la scuola romana e i suoi esponenti. Ragazzo con il Gabbiano di Fazzini, Leoncillo, ma anche Dottori,  Balla, De Chirico, Sironi, Casorati, Fumi, Martini, Cambellotti, Vespignani. Insomma artisti eccellenti che hanno rivoluzionato il mondo dell’ arte soprattutto tra le due guerre. Leoncillo mi affascina, nelle quattro stagioni condivide con la pittura dell’ epoca l’ emotività, la poetica e il colore”. Domenico era preparatissimo anche in quell’ argomento, mi affascinava troppo. Il cameriere, al termine della cena  ci porta la genziana.
Beviamo tutto di un fiato. “Capisco che sei appassionato d’arte – mi fa lui –  ma non capisco come mai tra noi si è instaurato subito questa complicità”. Non risposi. Avevo la testa in confusione, tra quei piatti succulenti,  il vinello e poi quell’ immagine del Pantheon sempre di fronte, che ad ogni istante rapisce lo sguardo, donando una strana sensazione di immenso, infinito. Avevamo terminato di cenare, tutti e due rimaniamo fissi a guardare il colonnato dell’edificio che cambiava aspetto con i riflessi dei lampioni. Poi il fregio sull’ architrave, per quanto ero avvinazzato non riuscivo a distinguere le lettere: MARCUS AGRIPPA, LUCII FILIUS CONSUL TERTIUM FECIT
“Ti traduco la scritta simultaneamente lo costrui Marco Agrippa, figlio di Lucio console per la terza volta; ma ritorniamo a noi,  non mi hai detto cosa fai qui a Roma, se per lavoro, studi anche te, oppure semplice turista. Non sei stato chiaro con me, sei andato sul vago. Non so chi sei, e non ti giustifica il fatto che sei appassionato di arte – guarda l’ orologio -è ora di andare credo, sono le 23, domani ho ancora la mostra e prevedo che essendo festivo ci sarà molta affluenza. Te? Che programmi hai nel weekend?”.
Era un interrogativo che nascondeva molte cose. Infatti, Domenico voleva conoscere di più di me. Non sapeva come fare per scoprire. Ci alziamo da tavola, pagai il conto io contro le proteste di Domenico. Eravamo avvinazzati. Imboccammo via della Palombella, all’ improvviso lui si ferma di fronte ad un grande portone di un palazzo rinascimentale. “Beh, e io ti saluto sono arrivato a destinazione, abito qui in un appartamentino preso in affitto dai preti”. Rimasi sbalordito dalla grandiosità di quel palazzo, il portale tutto in pietra, sui piedritti erano in rilievo foglie e racemi, sull’ architrave al centro uno stemma ecclesiastico. “Ti piace? Be è poco più di tre mesi che vivo qui, da quando sono entrato all’ università.  L’affitto lo pagano i miei zii che fanno parte di una congregazione religiosa. Ma se non ti dà fastidio e non hai impegni puoi salire da me, non fare complimenti, vedrai con i tuoi occhi quando è  bello l’ interno del palazzo, ha un atrio con portico, una scala stupenda, dove vivo io ci sono alcuni dipinti sul muro e il soffitto è a cassettoni. Per uno che ama l’ arte è veramente una figata”. Quella sua descrizione accattivante dell’ immobile mi stava incuriosendo, oltretutto, dentro me stava suscitando  una sorta di eccitazione. Acconsentii al suo invito, una volta dentro non volevo più uscire. E insieme a lui, feci molto tardi.
Redazione Vivo Umbria: