PERUGIA – Torna Encuentro, il Festival delle letterature in lingua spagnola, dal 3 al 5 giugno prossimi, approdando nelle acque calme del Lago Trasimeno, a Castiglione del Lago, con un’anteprima a Perugia, alla Sala dei Notari, proprio questa sera, giovedì 2 giugno, alle 21: una serata dedicata al tema “Raccontare la guerra”, con Marco Tarquinio, Paco Taibo e Arianna Ciccone, Patricion Pron e la poetessa curda Bejan Matur per raccontare la guerra.
Raccontare la guerra in un giorno fondante per il nostro Paese acquisisce un valore ancora più pregnante. Lo abbiamo chiesto al direttore Marco Tarquinio.
“Viviamo un tempo strano – afferma il direttore – nel quale ci troviamo a essere, di fatto, parte cobelligerante e, al tempo stesso, cerchiamo di dimostrare che così non è.
E’ una strana festa, ci sono i segni della contraddizione tipici del nostro tempo. E’ un Paese che, per quanto attiene al lavoro, si avvolge nel precariato, e per quanto riguarda la guerra, nell’ambiguità di una cobelligeranza, neanche dichiarata”.
In che modo si può raccontare la guerra?
“Nel racconto della guerra, quello vero, non sono le parole che accompagnano gli atti atroci che vengono commessi, ma sono gli atti atroci. Noi, invece, ci stiamo concentrando troppo sulle parole. Sappiamo solo che le parole che sono state dette o non sono state dette, non hanno costruito le condizioni politiche-diplomatiche perché non deflagrasse il conflitto armato. Una guerra che deve finire e che è il massacro nella vita, dei corpi delle persone che sono dentro la tenaglia della guerra. L’abbiamo letto, cantato, ripetuto non so quante volte, almeno quelli della mia generazione, attraversando la seconda metà del Novecento, quello del lunghissimo dopoguerra che ci ha illusi che almeno in questo pezzo di mondo ci fosse solo la pace. Questa volta non ci possono essere dubbi sul fatto che la guerra è il massacro della vita, della giustizia e dicono della verità, anche se su questo punto potremmo discutere a lungo, perché dentro gli atti di violenza cui assistiamo, c’è tutta la verità della guerra che è solo atrocità, nessuna bellezza, non è eroismo, ma è ammazzamento”.
Cosa può fare l’Italia, cosa può fare il resto d’Europa per fermare questa follia?
“Far cessare immediatamente l’uso delle armi e su questa base costruire il negoziato necessario.
Invece, la logica che continuiamo a ripetere è che per arrivare al negoziato bisogna accatastare morti sopra e sotto il tavolo della trattativa e a partire da questi costruire la pace che sarà comunque ingiusta e che spesso diventa solo una parentesi tra due conflitti. Lo abbiamo visto nel ‘900, nella lunga guerra civile che ha segnato la storia d’Europa e del mondo fra il 1914 e il 1945 e sappiamo quali mostri ci abbia portato in dote. Regimi totalitari che hanno costruito l’incubo nero che ancora ci perseguita. In questa guerra, siamo di fronte alla stessa condizione, con in più, il rischio per il tasso di odio che è stato inoculato nelle vene del continente e dei popoli coinvolti di fronte a una prospettiva tendenzialmente endemica, anche per il numero di armi che sono state accumulate in quello scenario e nella vita di quelle persone. Questa guerra è una prosecuzione aperta di un conflitto che durerà oltre 3mila giorni.
Quel 20 febbraio 2014, quando le ansie di libertà hanno portato a un’azione che ha sovvertito l’ordine costituito in Ucraina con un movimento dal basso che reclamava democrazia e libertà, si è trasformato in una tragedia che non abbiamo voluto vedere per 8 anni, chiamandola guerra a bassa intensità, come facciamo quando vogliamo mettere al margine del nostro sguardo le atrocità che sosteniamo, anche con le nostre armi, facendo affari”.
Che valore ha oggi l’incontro fra culture e popolazioni diverse?
“E’ l’unica strada possibile, che porta davvero al domani. Sembra di fare poesia quando lo si dice, poi si indica la soluzione al problema più semplice del mondo che abbiamo già sotto i nostri occhi, se riconoscessimo quello che di straordinario è accaduto dentro la storia, seppure macchiata e segnata da infiniti conflitti: solo l’incontro delle culture, degli interessi, delle passioni, della ricerca della bellezza, dell’altezza della spiritualità e delle bassezze di cui gli uomini sono capaci componendole in armonia, conducono a costruire quell’alfabeto comune dell’umanità che alla fine ci consente di vivere insieme, non gli uni contro gli altri. A me impressiona molto quello che sta accadendo nel Mediterraneo: sappiamo quanta parte della cultura latino-americana sia legata alla radice europea e come in maniera assolutamente originale abbia saputo interpretarla attraverso i lasciti dell’altra cultura. Se pensiamo a quell’oceano e al nostro mare, sappiamo che è sempre stato molte cose insieme: è stato strada di comunicazione, tavola liscia, sulla quale correvano le cose più preziose che l’umanità sa fare e campo di battaglia, tutto insieme. il dramma del nostro tempo è la pretesa di ridurlo a una sola dimensione, di farne soltanto o un campo di battaglia o un muro d’acqua che separa le civiltà e questa è la sfida che abbiamo davanti. Qui non si tratta di avere nostalgia del passato, ma di fare qualcosa che sia migliore del passato, depurandolo dalla follia della guerra e dalla sopraffazione, per lasciare intatto quello che è la comunicazione del bello, del buono e del vero come direbbe qualche letterato. Quando ci dicono che le guerre sono la storia del mondo io dico no, le guerre sono quelle che continuano a insanguinare la storia del mondo. Non c’è niente che le guerre abbiano costruito, soprattutto dalla metà del Novecento in poi, dal 1945 in poi, dopo Hiroshima e Nagasaki. Ogni guerra da quel momento in avanti è finita con più divisioni e sofferenza e non con una libertà decente. La sofferenza è distruzione delle differenze dentro le società. Questa è la cosa più impressionante, soprattutto l’emarginazione di quelli che sono di meno e l’omologazione anche dentro gli stessi Stati”.
Naighi