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Quella volta che Eric Clapton (oggi compie 75 anni) affollò Villa Fidelia

PERUGIA – No, non è nostalgia. Piuttosto è la consapevolezza che momenti simili difficilmente saranno ripetibili in un futuro prossimo. O forse anche lontano. Per il momento viviamo il tempo sospeso, irreale, dell’era Coronavirus, costretti a ragionare tra gli opposti di crisi irreversibili e sussidi per tutti, tra democrazia e asfissia di misure restrittive per il bene di tutti. Tra paure e limitazioni di spazio e tempo. Per questo forse è bene ricordare. Quando il mondo e la musica era “altra” dalle adunate social, quando il live era l’apice della partecipazione emotiva, quando le chitarre e i sax, i pianoforti e i bassi scuotevano le nostre anime e le cullavano in sogni e desideri che qualche volta si avveravano sotto il cielo stellato. Slowhand, manolenta, dio in terra della chitarra “che porta gli occhiali e parla di cocaina”, compie oggi 75 anni. Nelle alterne fortune della sua vita artistica è e rimane tra coloro che hanno ridefinito i paradigmi del blues e del rock con una cifra stilistica tutta propria, imitata per anni da generazioni di chitarristi. Slow hand perché la sua mano sulla sei corde, sia che essa fosse la sua inseparabile Gibson Les Paul o una acustica, scivola via lenta e fluida – in fin dei conti un paradosso per lui bianco inglese – così come le acque del Mississippi si insinuano nel Delta prima di sfociare nell’Oceano. O forse no. Non è paradossale, in fondo, che un bianco britannico sia tra i maggiori innovatori e re/inventori di un genere come il blues, dominio degli afroamericani, soprattutto nel Sud degli Stati Uniti. Non è un paradosso perché la musica, quella musica, si è diffusa nel mondo forse più velocemente del Covid-19, in un preciso momento storico, quando sulle sue “premesse” nacque agli inizi degli anni Cinquanta e si sviluppò nei Sessanta e Settanta, il rock. Chi aveva le antenne drizzate e spiccata sensibilità musicale, seppe riconoscere da dove si era partiti e ne reinterpretò il lento fluire del corso seguito. Slowhand lo fece sicuramente meglio di altri e quando nel 1997, 23 anni fa, venne a Umbria Jazz non si riconobbe tra i tanti suoi colleghi che riempivano di folle gli stadi. Lui e i suoi Legends – preferirono Villa Fidelia a Spello, un posto incantevole ricolmo di storia e del fascino tutto italiano di uno splendido giardino. Che per l’occasione fu messo a dura prova. Circa diecimila persone affollarono il luogo ameno di echi e strutture seicentesche, proprietà della Provincia. Una follia. Che non ebbe alternative. I Legends erano veramente delle Leggende della musica: con gli allora cinquantenni Eric Clapton, David Sanborn, Joe Sample e Steve Gadd, c’era anche l’eclettico Marcus Miller, già prediletto di Miles Davis. Una miscela esplosiva che da sola condensava il meglio del rock dei tempi. Una serata indimenticabile che ripagò il pubblico dei ritardi e delle approssimazioni organizzative in un luogo che fu individuato in extremis per cause di forza maggiore. Ecco cosa scrisse Giacomo Pellicciotti critico musicale di La Repubblica per l’occasione: “I cinque fuoriclasse hanno finito per tranquillizzare i diecimila spettatori molto nervosi per la lunga attesa sul prato, dove erano letteralmente ammassati. Gli assoli si sono incrociati con i duetti e gli scambi di virtuosismi. Musica elettrica e acustica, Eric Clapton si esibisce anche alla chitarra spagnola. Tra i brani che hanno proposto con crescente intensità, Eric Clapton ha anche cantato Going down, Third degree di Eddy Boyd, Put it where e un conclusivo Everyday I have the blues. Ma prima c’ è stato l’incanto dell’ellingtoniano In a sentimental mood, che ha introdotto l’immancabile classico di Clapton Layla con un gustoso prologo di Marcus Miller al clarinetto basso. Spettacolo da maestri certo, ma con sprazzi di autentica magia bluesy. Un trionfo meritato, non c’ è dubbio”. Ma non fu quella l’unica data che vide Slowhand a Umbria Jazz. Eric Clapton infatti tornò undici anni più tardi, nel 2006, questa volta all’arena Santa Giuliana con una band ricca di giovani e soprattutto di chitarristi di diverse generazioni. Ancora una volta nel segno di Layla. Ma questa è già tutta un’altra storia.

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