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Quarant'anni fa l'assassinio di Vittorio Bachelet: il ricordo del giornalista Giuseppe Castellini

Ho lavorato con Giuseppe Castellini  a Gruppo Corriere per anni, poi lui è diventato direttore del Giornale dell’Umbria e adesso continua a fare giornalismo di qualità. Studioso di economia che ha insegnato prima di dedicarsi totalmente alla carta stampata, è pervenuto anche alla redazione di Vivo Umbria questo suo intervento che ricorda una data tristissima e drammatica per il Paese: l’omicidio di Vittorio Bachelet il 12 febbraio di quarant’anni fa.

di Giuseppe Castellini

“Vorrei portare la mia testimonianza sull’omicidio del professor Vittorio Bachelet (avvenuto nella tarda mattinata del 12 febbraio 1980 ad opera di brigatisti rossi) perché quel giorno io ero lì, sentii gli spari e poco dopo vidi il corpo esanime del professore sul pianerottolo alla fine della prima rampa di scale che portavano ai dipartimenti della facoltà di Scienze politiche. E voglio a farlo a ridosso della ricorrenza del suo omicidio.
Frequentavo il primo anno della facoltà di Scienze politiche all’università “La Sapienza”, facevo il pendolare tra Tarquinia (dove abitavo) e Roma e quella mattina ricordo che ero uscito da una lezione e con un’amica di Tarquinia, Maria Federici, che frequentava anche lei il primo anno di Scienze politiche e con la quale ero reduce dai 5 anni di liceo, eravamo scesi al pianoterra – dove c’erano e ci sono ancora molte delle aule per le lezioni delle materie degli anni successivi al primo – per andare a prenderci qualcosa al distributore di bevande calde posizionate all’ingresso della facoltà di Statistica, comunicante con Scienze politiche e a venti-trenta metri di distanza da dove eravamo. 
Ricordo che io presi una cioccolata cada e, mentre tornavamo sui nostri passi, sentii almeno due tonfi sordi, come di spari soffocati (da dove uccisero il professor Bachelet eravamo a quindici, massimo venti metri in linea d’aria, ma i mezzo c’erano dei muri). Immediatamente si riversò dalle aule del pianoterra una marea di studenti e sentii anche gridare “è una bomba” (erano ancora gli anni di piombo, sebbene non più così terribili come quelli della fine degli anni Settanta). Detto per inciso, ripensando a ciò che avvenne ho sempre creduto che quegli urli sulla bomba fossero un modo per creare caos e facilitare la fuga degli assassini, che evidentemente avevano dei complici posizionati nelle aule a piano terra della facoltà.
Istintivamente Maria ed io, insieme a tanti altri, scappammo dalla parte opposta da dove si erano uditi quei colpi sordi. Così corremmo verso Scienze statistiche, dove qualche attimo prima eravamo stati al distributore di bevande calde. Il bicchiere di plastica con la cioccolata correndo mi cadde e tutto il liquido finì in terra. Fatti di corsa quei venti-trenta metri ci fermammo. Io mi ripresi e dissi a Maria: “Ma se era una bomba era già esplosa. Vado a vedere”. Tornai indietro a passo svelto e notai che c’erano dei ragazzi e delle ragazze che guardavano in terra la larga chiazza della mia collocata finita in terra pensando che fosse sangue. Dissi loro concitato che non era sangue, ma cioccolata che mi era caduta scappando, e proseguii. Sentii dire “hanno ammazzato uno”. Chiesi dove, ma la confusione era tanta e nessuno sembrava ascoltarmi. Finché uno non mi disse: “Sulle scale, al Dipartimento di Economia”. Per arrivare alle scale si poteva passare sia dall’interno della facoltà, sia uscendo dall’ingresso di Scienze politiche girando subito a destra dove c’era un grande portone che portava ai Dipartimenti. Provai a passare dall’interno, ma c’era già parecchia gente e trovavo difficoltà a farmi largo, così tornai indietro, presi il portone d’uscita della facoltà e provai a passare dal portone esterno per i Dipartimenti. C’era un po’ meno gente, che comunque faceva un piccolo muro immobile. Lo raggiunsi, mi feci largo, mi sporsi, riuscii a vedere il corpo di un uomo in terra, circondato dal sangue. Non sapevo chi fosse, perché il professor Bachelet insegnava agli anni successivi al primo e non lo conoscevo, benché il suo nome mi fosse noto perché era il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura (in pratica il presidente di fatto, perché il presidente del Csm è il Capo dello Stato, che però partecipa alle riunioni soltanto eccezionalmente). Ricordo che vidi il professor Peparoni, che conoscevo perché ci faceva le lezioni di economia politica quando mancava il titolare della cattedra e curava le esercitazioni, in lacrime. Risaliva verso il Dipartimento di economia, al primo piano (al secondo c’era il Dipartimenti Studi giuridici e al terzo quello di Studi storici), da cui evidentemente era sceso poco prima per vedere cosa fosse successo.
Tornai indietro da Maria, le dissi quello che avevo visto. A quel punto, scattò una fuga generale per uscire dalla facoltà prima che, ragionevolmente, fossero bloccate le uscite della Sapienza. Io restai e appresi chi era la vittima. Pensai che lì, in quelle stesse aule, aveva insegnato Aldo Moro (che era appunto docente a Scienze politiche). Arrivarono le forze dell’ordine, bloccarono la zona dell’omicidio. E via via arrivarono tutte le autorità, compreso il Presidente Sandro Pertini. Restai fino alle 17 e, quando mi decisi ad andare via, le uscite dell’Università erano bloccate e si doveva lasciare un documento. Cosa che ovviamente feci, ritirando il documento dopo un paio di giorno presso non ricordo quale Commissariato di polizia.
Un ricordo, nulla di più. Che non aggiunge e non toglie nulla a quanto avvenne. Ma che fa parte indelebile della mia vita e che desidero condividere con voi. Ricordandola la figura del professor Bachelet, che poi ho approfondito e che ho scoperto essere una testa finissima, un uomo buono, un grande educatore e un servitore della nostra Repubblica. E un uomo di grande fede, come suo figlio, che ai funerali del padre prese la parola dal pulpito e perdonò gli assassini. Riposa in pace, professore. E sono certo che quel Cristo che lei tanto amava lo avrà accolto tra le sue braccia”.
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Foto di copertina Azione Cattolica
 

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