PERUGIA – Al PostModernissimo giovedì 21 aprile le immagini del film “Il figlio dello sceicco” saranno accompagnate dalle musiche originali realizzate dalla celebre compositrice Rossella Spinosa, con inizio alle ore 21. Le musiche originali sono state presentate nell’ambito del Gran Festival del Cinema Muto di Milano nel 2015, con grande successo di critica e pubblico. Il commento sonoro dal vivo al PostMod vedrà al flauto Giusi Malito, al violino Tania Camargo Guarnieri e all’organo la stessa Rossella Spinosa.
In vista dell’evento abbiamo intervistato proprio Rossella Spinosa, che si è esibita in alcune delle più importanti sale italiane ed estere, come Carnegie Hall di New York, Sala Bartòk Hindemith Foundation, Cohen Studio Theather dell’Università di Cincinnati, Italian Bunka Kaikan di Tokyo, Accademia Liszt di Budpest.
Ha collaborato con compositori prestigiosi tra i quali Paolo Castaldi, Luis De Pablo, Ivan Fedele, Giacomo Manzoni, Bernhard Lang, Luis Bacalov ed eseguito diverse opere nuove a lei stessa dedicate, in Europa, Canada, Stati Uniti, Russia, Sud America, Corea e Giappone. La Spinosa scrive opere da camera, per orchestra, per la lirica ed il teatro, oltre ad aver sonorizzato ad oggi 126 pellicole di Cinema Muto, per orchestra sinfonica, per ensemble e per pianoforte solo. La sua più recente produzione discografica, ovvero il primo cd monografico con sue musiche edito da Stradivarius, dal titolo “Rossella Spinosa: Orchestral and chamber works, vol. 1”, continua a riscuotere unanimi consensi di critica e Il Manifesto l’ha inserito tra le migliori 10 produzioni di musica nuova del Decennio 2011-2020, unico nome del nostro paese in una lista di caratura internazionale.
Questa la nostra intervista.
Rossella, qual è stato il tuo rapporto con la musica in questo periodo di pandemia piuttosto atipico?
“Il periodo è stato davvero difficile, come per tutti i musicisti. I primi sei mesi di pandemia hanno davvero inciso su di me, abituata a girare il mondo ma rinchiusa in casa. Nonostante il tempo a disposizione, ero come bloccata anche dal punto di vista creativo. Non riuscivo a scrivere. Mi sembrava di vivere un incubo da film apocalittico. Poi ne sono lentamente uscita, scrivendo Sette Miniature, che nasce dalla consapevolezza che bisogna ricominciare a vivere a piccoli passi. Da un punto di vista simbolico, le prime quattro miniature rappresentano il momento in cui vivevamo la piena pandemia, le ultime tre un progressivo uscirne. Suonare, ora, regala tutta un’altra consapevolezza”.
Il tuo ruolo è, per così dire di raccordo, tra musica, teatro e cinema. Come hai sviluppato questa passione per ambiti così simili ed allo stesso tempo distanti?
“Io arrivo da un percorso di musica assoluta, diplomata al Conservatorio di Milano. Dopo il diploma in composizione mi somo voluta mettere alla prova componendo pezzi anche tonali, pantonali o modali: c’era ancora un forte pregiudizio nei confronti della musica legata alle immagini, a differenza di adesso. Ora viene vista come musica alla pari, e non di Serie B, finalmente. Da quel momento ho seguito questa strada partendo da un corso a Siena, dove mi sono trovata catapultata in una nuova realtà. La musica applicata a mio avviso non deve essere musica da accompagnamento, sia per il teatro che per il cinema; c’è una partecipazione di più arti allo stesso livello. Devi arrivare a commentare un’immagine, non solo a sottolinearla, altrimenti ne perdi la potenza”.
Per quanto concerne “Il figlio dello sceicco”, come nasce e come si sviluppa il processo creativo di una compositrice per scrivere una partitura così importante? Sono 70 minuti di musica…
“Sai, in realtà ho fatto decisamente musica più lunga ed impegnativa a paragone con questi 70 minuti. Per me è la normalità. Il fatto è che devi scrivere una musica senza soluzione di continuità, non hai momenti fissi come per le colonne sonore. La grande impresa è proprio questa, specie perché è tutto scritto e non c’è improvvisazione. Il figlio dello sceicco è una composizione degli anni 2015/2016, e non è la prima esperienza con i film di Rodolfo Valentino, anzi. Il film è molto bello, ha un senso di orientale che è determinante. Ci sono lunghe sequenze col deserto molto affascinanti. La partitura tende ad essere filologica, ho cercato di costruire il tutto sul riafforarsi di temi prestabiliti, come quello della danza o del cattivo. La difficoltà è rendere discorsiva la partitura ma inserendo elementi ricorrenti che aiutino il pubblico nell’identificazione di scene o personaggi. Il tutto è davvero molto godibile perché c’è sinergia tra musica ed immagine”.
Particolarità dell’appuntamento di giovedì è che lo strumento utilizzato per la composizione è il Roland Classic C-30, ovvero organo e clavicembalo: uno strumento di ultima generazione. Puoi dirci di più?
“Uno strumento che mi piace particolarmente: regala un sapore di antico, anche grazie al suo stile, ma allo stesso è comodissimo, specie per la musica nuova. Per una compositrice che scrive per suscitare emozione è funzionale. Inoltre è compatto, quindi nei cinema, luoghi in cui c’è solitamente poco spazio, è molto meno invasivo rispetto ad esempio ad un pianoforte. Ha la caratteristica di poter creare una situazione nuova ma antica, perché a tutti gli effetti è un organo, strumento che si collega a musica solenne, di un certo tipo. Parliamo di un’esperienza quasi mistica”.