TREVI – Associata ormai alla gita fuori porta e alla scampagnata della domenica, forse non tutti sanno che l’usanza del picnic ha alle sue spalle una storia lunga che risale al 1600, quando la nobiltà era solita inframmezzare le giornate di battute di caccia o di lunghi viaggi a cavallo con pasti veloci in mezzo alla natura. Queste piccole trasgressioni ai lunghi e rigidi banchetti formali divennero via via sempre più in voga tanto che la stessa regina Maria Antonietta amava concederseli tra i prati di Versailles.
La stessa parola picnic deriva proprio dal francese pique-nique, ossia il verbo piquer che significa prendere, stuzzicare, rubacchiare e il suffisso nique, cosa di poco valore, con il significato quindi di spizzicare un pasto frugale con qualcosa rubato velocemente dalla cucina.
Momento dalla ritualità condivisa, nei secoli assume una connotazione delicata e romantica tanto da ispirare numerosi artisti: solo per citarne alcuni, i celeberrimi Le Déjeuner sur l’herbe, Colazione sull’Erba di Éduard Manet, quadro del 1863 ispirato al cinquecentesco Concerto Pastorale di Tiziano, e il Déjeuner sur l’herbe di Claude Monet del 1866 fino a Picasso che ne propone una interpretazione ispirata all’opera di Manet in un dipinto del 1960 dal titolo proprio Colazione sull’Erba.
Da evento appannaggio della nobiltà si trasforma ed arriva fino a noi portandosi dietro il suo carico di significati e meritandosi addirittura una giornata mondiale che cade il 18 maggio.
Probabilmente non a caso, proprio a ridosso di questa data, precisamente il 14 e il 15 maggio, si è svolta a Trevi la tredicesima edizione di Pic&Nic a Trevi, arte musica e merende tra gli ulivi della fascia olivata, tornata dopo due anni di fermo. Manifestazione che promuove l’oleoturismo, le tradizioni umbre e l’artigianato, in collaborazione con Antifestival, festival di musica indipendente.
L’atmosfera è rilassata, le tovaglie sono stese a terra, si mangia e si brinda; gruppi di artisti si alternano sul bel piazzale di fronte al belvedere; alcuni bambini giocano con le bolle di sapone, un gruppo di amici festeggia un compleanno, una coppia si abbraccia.
I volti sorridono e i sorrisi si vedono.
Che valore può avere tutto questo? Che valore può avere un pranzo al sacco consumato in compagnia in un caldo fine settimana di metà maggio? Enorme, se si hanno alle spalle due anni di pandemia e tanti problemi non ancora risolti.
Due anni in cui è vero che ci siamo tutti abituati a stare per conto nostro, a uscire di meno, a dire che con tutto quello che è successo, in realtà il contatto umano non ci manca poi tanto.
Due anni di distanziamento, quarantene, sorrisi intuiti dagli occhi.
Sappiamo ogni cosa e nessuno vuole far finta di tornare alla normalità ma giornate di aggregazione come queste dicono che, a dispetto di tutto, il sole torna a splendere su uomini e donne che sono ancora, e ancor di più, degli animali sociali. Mentre sotto lo sguardo benevolo degli olivi di Villa Fabri, la trama delle tovaglie colorate stese a terra compone parole come vicinanza, comunione, gioia.
La stessa che vuole portare Umberto Rosichetti, in arte Doisberto, artista di strada presente durante l’evento, che da più di dieci anni regala in giro per il mondo sorrisi ed emozioni a chi ha voglia di fermarsi ad ascoltarlo e che conclude la sua esibizione con questa riflessione: “dieci anni fa ho iniziato a pensare che il mondo fosse un po’ malato e nel 2020 ne ho avuto un po’ la prova. Allora ho pensato, cosa posso fare io per curare questo mondo? E ho capito che ovviamente io non posso curarlo ma posso curare me stesso che sono un pezzettino di mondo. Da allora ho deciso di fare sempre quello che voglio e ascoltare ogni secondo della mia vita, il mio cuore”.
Per avvicinarsi, ritrovarsi e, forse, capirsi un po’ di più.