Mescolata tra i casermoni industriali di Sant’Andrea delle Fratte, immediata periferia in espansione industriale di Perugia, c’è una struttura esternamente non molto dissimile dalle altre. Basta entrare, però, per capire di essere in uno spazio speciale: dentro, un enorme cavallo di Troia, frasi di Kerouac scritte sul muro, un piccolo robot, cubi neri ammassati e, soprattutto, la sala prove con il palco di legno consumato da tanti anni di lavoro. È la sede di Fontemaggiore, associazione che affonda le sue radici nel lontano 1948, e che ha sviluppato la sua attività nel teatro ragazzi sapendo diversificarsi con laboratori e produzioni parallele. Qui, generazioni di giovani e meno giovani – compreso il sottoscritto – si sono avvicinate al teatro per la prima volta. Sono tornato qui, dopo molti anni, per incontrare Beatrice Ripoli subentrata a Stefano Cipiciani come direttrice del Centro di produzione teatrale”.
Attrice, pedagoga, regista, artigiana nella produzione di maschere e, ora, direttrice di Fontemaggiore. C’è uno di questi mestieri teatrali che senti di più oppure uno che li sintetizzi tutti?
“Dopo aver girato diverse compagnie, sono arrivata a Fontemaggiore e l’ho scelta come casa. Quando entri nella tua abitazione ci sono tante cose che devi fare: cucini, fai i letti o dipingi. È la stessa cosa qui. In questi anni abbiamo acquisito tante competenze diverse ed è venuto naturale occupare tante funzioni. Avendo un nido mio avevo la sicurezza di potermi sperimentare in ruoli che altrimenti non avrei ricoperto. Abbiamo iniziato dalla formazione con laboratori nelle scuole e nelle carceri con un’attività ricca e diversificata. La regia allora è stata un passaggio automatico per l’allestimento di spettacoli. La mia manualità, poi, è venuta fuori nei corsi di teatro dove c’è la necessità di costruire oggetti o creare maschere. Anche la direzione artistica è venuta in modo naturale. Stefano Cipiciani ed io lavoravamo insieme già da tanti anni con ruoli e aree diverse che si compenetravano”.
Sei subentrata da poco a Stefano Cipiciani, un passaggio di testimone o un’eredità?
“Direi un passaggio di testimone. Credo di aver messo anche io del mio in questi anni e ho notato che per tutti sarei dovuta subentrare io una volta che Stefano avesse lasciato. In questo senso la scelta è stata molto spontanea. Con Stefano abbiamo sempre collaborato in modo molto sereno e speriamo di continuare a farlo anche se adesso è in pensione. Lui non vorrebbe saperne più niente, ma secondo me rischia di annoiarsi”.
L’attività di Fontemaggiore è principalmente nel teatro ragazzi. Quale differenza c’è, secondo te, tra lo spettatore bambino e lo spettatore adulto?
“Il pubblico è pubblico, secondo me non c’è una differenza. La platea di bambini è un po’ un banco di prova. Se uno di loro è affascinato da ciò che vede ti dà un riscontro enorme, ma ti accorgi anche se stai sbagliando. Il teatro ragazzi è una grandissima palestra per qualsiasi artista. Per me è il teatro. Spesso pensiamo che sia un ambiente di nicchia, invece la vera ricerca è nata proprio qua. È un genere che deve rimanere sempre aggiornato, utilizzare linguaggi nuovi e ha la responsabilità enorme di formare le nuove coscienze. Se lo si porta avanti con questa consapevolezza allora è il vero teatro perché racchiude l’arte e il suo senso profondo di crescita. Naturalmente non voglio minimizzare la prosa o le altre forme d’arte, tutte necessarie e bellissime, ma è importante comprendere il reale valore di un genere spesso collocato in ‘serie B’”.
Il 3 settembre riprende Mutazioni, i laboratori di Fontemaggiore per tutte le età. Perché la formazione teatrale è un momento così importante per la crescita di un giovane?
“Il teatro ti mette a nudo. È un arte ricca: ci sono corpo, voce, rapporto con lo spazio e gli altri. Il lavoro che fai in questo ambito è esteso, serve molto a lavorare in gruppo e a trovarvi la propria identità. Quindi, uno strumento che offre grandissime possibilità per creare l’individuo, ma anche per formarlo in una dimensione relazionale”.
Come funziona il lavoro della formazione?
“Valentina Renzulli (insegnante dei laboratori assieme a Beatrice Ripoli ndr) ed io decidiamo il nostro lavoro sempre in base alle persone che abbiamo davanti. I primi mesi di lavoro servono agli allievi per imparare delle tecniche se sono neofiti, o a rimettersi in moto, mentre noi annusiamo il gruppo e cominciamo a progettare un percorso possibile. Poi, tutte le lezioni si preparano, sempre, c’è tanto studio dietro. A volte, però, mi concedo la possibilità di arrivare senza sapere che fare. È bellissimo. Perché è un modo più istintivo e animale di porsi e creare un ascolto reciproco con gli allievi. Sicuramente volare libero, senza paracadute, è più difficile, ma è stupendo se si crea una connessione. Queste serate sono sempre le più ricche, perché anche noi insegnanti ci mettiamo in gioco. Dobbiamo provare a capire tutti i partecipanti e guidarli assecondando le forze che si mettono in moto durante la serata. Noi, da anni, abbiamo anche una classe di ragazzi down. Quando riesci a relazionarti con loro in brevissimo tempo è una meraviglia, puoi creare delle improvvisazioni pazzesche. Allora dici: ‘Questo è il teatro!’. Mi viene la pelle d’oca quando ci penso”.
Che valutazione dai delle dinamiche di formazione in Umbria dal punto di vista teatrale?
“Credo che ci sia una buona offerta, almeno su Perugia. Pur essendo in pochi riusciamo a coprire tutto, fornendo una valida possibilità di scelta. Penso che si dia la opportuna importanza alla formazione nel territorio”.
Da neo-direttrice quale regole chiederesti alla Regione Umbria per Fontemaggiore?
“Avere un’attenzione particolare per Fontemaggiore. Non che non ce l’abbia, ma noi abbiamo avuto il problema della Legge 17/2004 (‘Norme in materia di spettacolo’ ndr) che ci equipara, ingiustamente, a realtà molto piccole. Invece siamo una vera e propria azienda, con tante persone che lavorano per noi. Infatti, tra i soggetti che afferiscono a quella norma regionale, siamo gli unici in Umbria ad essere riconosciuti in modo importante dal ministero della Cultura. Quindi sarebbe bello avere il giusto posizionamento e approvazione anche dalla Regione. Fontemaggiore è una ricchezza per gli umbri, i contributi che prendiamo dallo Stato li riversiamo direttamente nel territorio. Per questo dico che non dobbiamo sparire, perché altrimenti la perdita sarebbe grande per tutti”.
Quale rapporto, invece, con il Teatro Stabile dell’Umbria?
“Siamo diversi e facciamo un lavoro complementare, occupandoci noi di ragazzi e loro di prosa, non c’è nessun tipo di ‘conflitto’. E’ fondamentale che queste due realtà convivano per offrire un prodotto completo e diversificato agli spettatori. Naturalmente la storia di Fontemaggiore la conosciamo tutti, esisteva ancor prima dello Stabile e i suoi fondatori sono passati tutti da qua. Questo, credo, dovrebbe essere un motivo di orgoglio non solo per noi ma per tutta la Regione”.
Lo spettacolo che hai più nel cuore come attrice?
“Penso a Regine fatto tanti anni fa assieme a Valentina. Mi ricorda Walter Corelli, nostro amico scomparso, che ci diede una mano procurandoci il testo”.
E da regista?
“Senza dubbio Sogno. Forse anche perché ci sono quelle maschere fatte da me, sono dei pezzi di cuore che vedo in scena e mi sembra come se stessi anche io sul palco”.
Veniamo ai nuovi progetti. Vuoi parlarci di Fiabe?
“L’idea di fare uno spettacolo sui teatri di Spello e Trevi, entrambi gestiti da Fontemaggiore, la avevamo da tanti anni e per scrivere il testo ci siamo rivolti a Samuele Chiovoloni. La produzione era precedente al periodo della pandemia e, per certi aspetti, ha anticipato alcune cose del momento che stiamo vivendo. Lo spettacolo, infatti, è ambientato in un futuro distopico dove il teatro è diventato un luogo chiuso, sconosciuto, e viene recuperato per fare altre attività. Nella finzione scenica arriva nella sala un imprenditore tedesco che deve comprare l’immobile per realizzarne una fabbrica di plastica. Lo spettacolo, quindi, riflette sul valore dell’arte teatrale e racconta cenni storici e curiosità su questi due strutture storiche. L’impianto drammaturgico è lo stesso per entrambi, ma il contenuto cambia se assistiamo alla messa in scena al Teatro Subasio di Spello o al Teatro Clitunno di Trevi”.
Una sorta di site-specific?
“Sì, esatto. Un bell’esperimento che presto potrebbe diventare anche più imponente. Fontemaggiore, infatti, ha vinto un bando regionale i cui fondi vanno investiti su diversi comuni. Il progetto, quindi, si sta ampliando e aggiunge ai due teatri di Fiabe anche quelli di Bevagna, Panicale e Città della Pieve”.
Cosa ci dici di Stravagante che si terrà questo settembre tra Spello e il Subasio?
“Un progetto bellissimo che parte da Villa Pamphilj a Roma, passa per Spello e arriva ad Arcevia nelle Marche. L’iniziativa unisce teatro, arte e musica, tenuti insieme dal tema dell’ecologia e del turismo sostenibile. I tre luoghi sono tutti percorsi da una carovana di ciclisti artisti che percorre questo itinerario e ad ogni tappa si fanno alcuni giorni di Festival con diversi eventi. Per due giorni, a metà settembre, saremo al parco di Monte Subasio, in varie location, per performance live e degustazioni. Una vera e propria festa”.
E allora, buon lavoro, Fontemaggiore.