Le aziende culturali e la crisi provocata dal Covid in numeri: il 70% stima perdite del 40% del proprio bilancio; per il 13% perdite superiori al 60%; solo il 22% immagina un futuro ritorno alla normalità, mentre il 50% prospetta una riduzione e ridefinizione delle proprie attività. Dati rilevati sul campo e contenuti nel nuovo Rapporto Annuale Federculture che ospita un racconto collettivo della crisi, ma fa anche un’analisi degli ultimi venti anni di politiche e trend della cultura in Italia. Sui quali ci soffermiamo perché evidenziano come il virus anti-cultura aveva colpito prima del Coronavirus per quanto riguarda le risorse pubbliche da parte di Enti locali e Regioni, meno 1 miliardo di euro in venti anni. Prescindiamo, qui, dal discorso sulla opportunità o meno delle “sussistenze” pubbliche per tenere in piedi progetti e aziende che potrebbero, o dovrebbero, camminare da sole. Anche perché, in ogni caso, la spesa pubblica ci pone in fondo alle classifiche europee dove la media Ue di finanziamenti per il comparto è del 2,5%, mentre in Italia dell’1,6%.Ci interessa in questa fase fare il punto per individuare lo stato delle cose e verificare, da qui a breve, cosa avverrà in futuro viste le mutate situazioni provocate dall’Uragano Covid che necessitano, ora, di interventi immediati e di progettualità viste le risorse che stanno arrivando.
Come eravamo prima del Covid: il “disimpegno” economico di Regioni, Province e Comuni
Il Rapporto annuale dedicato agli ultimi venti anni evidenzia una significativa riduzione delle risorse pubbliche per il settore culturale, principalmente da parte delle amministrazioni territoriali – Regioni, Province e Comuni – mentre tiene la spesa statale.
Se nel 2000, infatti, complessivamente la spesa pubblica statale e locale per la cultura era pari a 6,7 miliardi di euro, nel 2018 (anno di confronto per disponibilità di dati) era scesa a 5,7 miliardi, un miliardo in meno; perso principalmente per il calo delle risorse di Comuni (-750 milioni, -27%), Regioni (-300 milioni, -23%), e
Province (-220 milioni, -82%).
Nel periodo, dopo una diminuzione nel primo decennio, risale invece lo stanziamento del MiBACT, grazie soprattutto ad un +48% dal 2010 al 2018. Una bassa spesa pubblica che ci pone in fondo alle classifiche europee dove la media Ue dell’incidenza della spesa in cultura sulla spesa pubblica totale è del 2,5%, mentre noi siamo fermi all’1,6%.
A questo quadro sul fronte delle risorse corrisponde una linea di tendenza della domanda non positiva.
Ne è un esempio il cinema che fino al 2010 era in crescita del 12,1%, ma nel periodo seguente perde il 6,1% di fruitori; o il teatro che tra 2010 e 2019 ha visto un calo dell’8,8%, e negli anni precedenti era cresciuto del 27,3%. Andamento simile anche per i fruitori di concerti di musica classica e di quella leggera che negli ultimi dieci anni considerati (2010-2019) sono diminuiti rispettivamente del 4,9% e del 4,7%, mentre crescevano del
22,5% e del 19,6% nel decennio precedente.
Crescono i visitatori dei musei, invece, del 21,5% in venti anni e del 7% dal 2010, così come quelli che frequentano siti archeologici e monumenti segnano un +36,8% tra 2001-e 2019, +19,7% negli ultimi dieci anni. Un trend che può essere spiegato con l’intensa attività normativa e riformatrice che ha riguardato, in particolare negli anni più recenti, proprio il settore museale e del patrimonio, determinando cambiamenti e innovazioni che hanno dato impulso a questo ambito.
Questo lo stato delle cose pre Covid. Non confortante. Ora è drammatico. Di questo ci occuperemo prosimamente.