GUALDO TADINO – Un pianoforte, un violoncello. Un letto dentro una macchina, un tavolino per mangiare. Qualche vestito e poche altre cose. La libertà. Fuori, l’immensità della natura.
Note che fluiscono come vento tra le foglie, musiche che rispecchiano il ciclo delle stagioni e raccontano storie di uomini e alberi, di connessioni e cura.
Durante la chiacchierata con Omar Conti, musicista e compositore, è proprio “cura” la parola che ritorna più spesso. Sottolineata e accarezzata, è una cura globale che parte da se stessi e dal proprio mondo interiore, arriva agli altri e abbraccia la vastità della natura in un continuo e fluido scambio.
Conosciuto come il Pianista sul Maggiolone, Omar è una persona che, con cura, si è messo in ascolto dei propri sogni e ne ha fatto realtà.
Dopo aver compreso che la vita che conduceva non rispecchiava il progetto più grande della sua anima, Omar rimette a nuovo Lino, un Maggiolone Volkswagen rosso fuoco del ‘73: sposta, ricostruisce, incastra e ricava dalla piccola macchina una casa su ruote dove dormire e mangiare. Costruisce anche un impianto elettrico su misura che gli consente di attaccare casse, amplificatori e tutto l’occorrente per portare la sua musica in giro per le montagne.
Sì perché all’interno di Lino trova spazio anche il pianoforte e poi il violoncello.
Da lì una nuova vita si apre, attraverso la musica Omar trova il suo modo unico di connettersi con il mondo e condividere il suo amore per la natura con gli altri.
Un amore che lo porterà il 9 settembre in Umbria in un altro suggestivo scenario naturale, a Gualdo Tadino, dove Omar si esibirà presso La Terrazza di San Guido, ai piedi della Valsorda a partire dalle 18.30.
Omar, domanda di rito, come è iniziato il progetto del Pianista sul Maggiolone?
Principalmente tutto è partito da una crisi e già qui mi piace sottolineare quanto sia importante saper cogliere le crisi e non esserne spaventati. Tante volte ci ritroviamo in percorsi che non ci appartengono e la mia crisi mi ha portato a riconoscere che il percorso che stavo portando avanti non era davvero farina del mio sacco. Mi sono quindi permesso di prendere un anno sabbatico dall’università che stavo frequentando, un percorso di studi in progettazione automobilistica, con l’intento di riprendere le mie passioni in mano, prima fra tutte la musica, che ho sempre portato avanti da autodidatta.
Durante quest’anno ho iniziato a dare attenzione al mio percorso individuale dando tanta cura all’aspetto interiore e spirituale dentro di me, cominciando a intraprendere un percorso di teatro applicato alla mindfulness.
Da lì ho cominciato effettivamente a riconoscere tutti quelli che erano i limiti della mia mente imposti da altri. Mi sono reso conto che tutti i giudizi, tutte le paure, tutte le ansie, non erano davvero le mie ed è qui che si è creato un passaggio di riscoperta nei confronti di me stesso dove riemergeva la mia natura, la natura del bambino che era stato sempre soffocato.
Qui arriva anche il maggiolone, come regalo da parte di mia nonna e da lì a poco si concretizza un po’ tutto.
Avevo lavorato bene l’orto dentro di me a livello interiore e spirituale e quando è arrivato il maggiolino tempo due, tre mesi e sono stato illuminato dal sogno di voler fare questa cosa: attrezzare la macchina per viverci, suonarci e cominciare a far vivere questo progetto di musica libera in montagna.
Hai sempre avuto una connessione speciale con la montagna o è una cosa che si è sviluppata nel tempo?
Diciamo che sono stato guidato bene perché i miei genitori erano camperisti, poi da ragazzo e anche da più grande, mentre gli altri andavano per locali io prendevo e me ne andavo in montagna per i fatti miei.
In seguito ho compreso quanto le montagne rispondano al desiderio dell’uomo di toccare il cielo. Quando uno va in montagna è finalmente in cammino fuori e dentro sé, in un luogo che permette di toccare te stesso in maniera molto diretta. Stessa cosa anche con gli alberi che sono dei grandi maestri in questo.
All’interno del tuo maggiolino camperizzato ci sono le cose essenziali per vivere, un letto, il tavolo, gli strumenti… Quali sono le cose che non si vedono, le emozioni che si porta dentro e sprigiona ogni volta che lo apri?
Ora che l’ho compreso anche nelle sue linee sottili, il mio progetto non è solo musica ma anche e soprattutto condividere il messaggio di quanto è importante vivere liberi in questo mondo. Con liberi non intendo che tutti debbano iniziare a fare questo tipo di vita o diventare eremiti in montagna, ma qualcosa che si guadagna da dentro, attraverso la consapevolezza. Il mio è un concerto molto esperenziale, porto storie, aneddoti, esperienze, anche dati di fatto per spiegare a chi ascolta come entrare in quello spazio dentro se stessi.
Il bello di fare musica in questi luoghi è che il lavoro non lo metto in moto solo io ma anche la natura e le persone stesse. Si crea proprio un ricambio energetico in una bolla meravigliosamente perfetta perché io con la mia musica riesco a far captare alle persone la bellezza della natura, magari con un vento che comincia a soffiare perfettamente a tempo con gli alberi e che porta a riconoscere che gli alberi sono vivi, che esistono.
Al tempo stesso la bellezza degli alberi riporta alla bellezza dei miei generi musicali che fanno toccare le emozioni, creando dei ponti emozionali sempre molto, molto forti.
Non nego che ci sono concerti dove praticamente piangono quasi tutti ed io sono sempre molto contento quando si aprono degli spazi emotivi di questo genere. Quando si tocca il pianto in un tipo di musicoterapia che è passiva, dove il pubblico è fermo, è qualcosa di molto forte perché vedi le persone entrare in un viaggio molto profondo dentro loro stesse.
L’arte del pianto è qualcosa che deriva da un lavoro di liberazione importante ed è bello vedere i partecipanti riceverlo con quel tipo di apertura. Chiaro è che questo non sempre accade, ognuno ha le sue corazze: noi esseri umani ci siamo formati attraverso delle strutture mentali e caratteriali che purtroppo tante volte ci limitano. Se ci permettiamo di superarle, piangendo ad esempio, possiamo risolvere traumi e dolori e cominciare ad avere davvero cura di noi stessi. Se invece continuiamo sempre ad alimentare la nostra corazza rischiamo di perderci.
I tuoi concerti comprendono vari tipi di musica, inclusa la tua. Ti lasci ispirare dai luoghi in cui ti trovi?
In ogni concerto io improvviso sempre.
Ho un repertorio di brani e ogni volta ne aggiungo di nuovi, poi ci sono degli spazi improvvisativi e degli spazi dove porto delle musiche mie scritte: ogni volta non so mai quello che suonerò perché mi lascio ispirare dal luogo ma soprattutto dal pubblico. Riesco a captare le musiche che potrebbero essere funzionali oppure no per certe corazze e cerco attraverso la musica di creare delle ancore emotive varie in base alla situazione e al contesto.
Quando non sono luoghi in natura scelgo contesti molto spirituali come conventi o chiese e se mi ritrovo a suonare in una bellissima piazza sotto una chiesa oppure sotto un albero di tre secoli allora le mie musiche sono molto diverse.
Il nostro è un giornale che parla dell’Umbria, c’è un luogo della nostra regione a cui sei particolarmente legato?
Quando ho cominciato il progetto del Pianista sul Maggiolone nel 2019, che ancora facevo solo come artista di strada, andavo in giro liberamente seguendo i cartelli ed è stato incredibile di come io abbia attivato principalmente il progetto nelle montagne marchigiane, San Vicino, Furlo, i Sibillini fino ad arrivare poi all’Umbria.
Avevo questo gran desiderio di cominciare a visitare i luoghi terremotati nel 2016, quindi sono stato a Norcia, a Castelluccio, a Campi, fino a quando ho creato delle connessioni con le persone ed i luoghi così importanti che mi hanno portato poi a ritornare in Umbria ogni anno. In particolar modo vado molto spesso a Campi, dove c’è una situazione relazionale tra gli abitanti che a me ha toccato davvero tanto. Lì ho avuto una sorta di connessione, una cura nei confronti delle persone che hanno vissuto questo dramma, molto intensa. Dramma che secondo me ancora si respira, nel bene e nel male. Da un lato con le macerie e le strade ancora chiuse dal 2016 si ha questa impressione di mondo allo sbaraglio, dall’altro il dolore ha creato un vero spazio di gioia, piacere e cura e l’unione nata grazie al dolore che ognuno ha trasformato a suo modo, è davvero fenomenale. Il mio progetto è nato grazie a un dolore, a tanti dolori, e la stessa cosa vale per il dolore che queste persone hanno toccato nella loro vita.
Quindi non a caso sono arrivato in questi luoghi e non a caso continuo a tornare e ritornare qui.
Oltre al concerto a Gualdo Tadino, Omar sta organizzando proprio a Campi un evento per il primo fine settimana di ottobre, un weekend esperenziale con più attività a livello di cura spirituale, corporea e musicale presso l’agriturismo La Fonte Antica.
Per maggiori informazioni: https://www.facebook.com/ilpianistasulmaggiolone – https://www.instagram.com/il_pianista_sul_maggiolone/