PERUGIA – Oggi è giorno di acquisti. Per lo più compulsivi. Prezzi stracciati e occasioni d’oro nel giorno del Black Friday, offrono l’opportunità di anticipare la corsa alle strenne natalizie che altrimenti verrebbero relegate al last minute dei giorni immediatamente precedenti al Natale e a costi decisamente più alti. Nessuno ha più tempo da perdere e prezzi stracciati nel momento dell’anno che tradizionalmente è riservato a voler dimostrare gratitudine e affetto agli altri, attraverso il gesto simbolico di un dono, rende questa giornata un momento particolare dell’anno. Ma il Black Friday è un fenomeno interessante anche per tanti altri motivi. Primo tra tutti, la storia delle sue origini, che in tempi di fake e bufale viene “manipolata” a seconda delle convenienze e delle convinzioni sinanche ideologiche. Circola, ad esempio, un post su Facebook che vorrebbe individuare la nascita del Black Friday quando negli Stati Uniti nell’era della più cupa segregazione razziale “i neri – secondo il post-fake – venivano esposti in luoghi pubblici per essere venduti a prezzi molto bassi. I compratori arrivarono in gran numero per comprare quanti più schiavi possibile a lavorare nelle loro piantagioni e anche come domestici nelle loro case”. In realtà, l’origine del nome non ha nulla a che vedere con la vendita degli schiavi in America. Il termine, spiega il sito di fact-checking statunitense Snopes, è comparso circa un secolo dopo l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti. L’uso più antico di questa espressione risale al 1951 e si riferiva all’usanza dei lavoratori di darsi malati il giorno dopo il Ringraziamento per ottenere così quattro giorni consecutivi di riposo. All’epoca infatti quel giorno non era considerato come un giorno di riposo retribuito. Inoltre, nel 1961 il termine veniva comunemente usato in senso ironico dalla polizia di Philadelphia per descrivere il caos causato da pedoni e veicoli diretti verso i negozi del centro città nei due giorni successivi al Ringraziamento. Ma ci sono tante altre motivazioni che legano questa usanza, entrata di fatto nel nostro costume, anche a vasti movimenti di opinione che si oppongono al consumismo sfrenato e si riallacciano direttamente all’idea della “decrescita felice”, vale a dire il principio secondo il quale le risorse del pianeta non sono illimitate e come tali vanno calibrate innescando i nuovi paradigmi dell’economia circolare: il riciclo, la drastica riduzione di tutti i prodotti destinati alla confezione e all’imballaggio, il ricorso all’acquisto di prodotti “hand made” e artigianali, l’obiettivo di valorizzare il commercio etico, equo e solidale. Un’idea circolare dell’economia che trova molte adesioni da parte di giovani e giovanissimi che si ispirano a un movimento nato in Francia tre anni fa e che in Italia sta acquisendo una propria fisionomia. Alla frenesia da acquisto del Black Friday, si contrappone quindi una articolata controproposta: rivendere o riciclare oggetti e vestiti che non si usano più; riflettere se si ha davvero bisogno di un oggetto prima di comprarlo e optare per acquisti ragionevoli e a prezzi giusti. Si è formato nel corso di questi anni un ricco substrato di aziende soprattutto tessili che utilizzano criteri eco-sostenibili e in antitesi alle fibre chimiche a cui fanno riferimento la gran parte delle multinazionali del mondo del fashion. A Perugia ad esempio è fiorita tutta una serie di iniziative in questo senso: oltre alle aziende Marisé Perusia di Magione e Monimbò che commercializzano prodotti in fibre naturali ed equo e solidali, in via della Viola c’è il Gas, Gruppo di acquisto solidale con prodotti biologici e a km0. Acquisti consapevoli, dunque, ma anche rivendere e riparare. Sì, riparare. Potrebbe sembrare quasi una parolaccia nella nostra epoca dove tutto diventa rifiuto di cui liberarsi. Ma la decrescita felice include anche l’idea del riparare mutuata dal Giappone, nell’era globalizzata e della ricerca di una nuova identità plurale. Si chiama Kintsugi la tecnica che insegna ad adornare d’oro e argento le ferite inferte ad un oggetto, non per disfarsene, ma per renderlo ancora più prezioso e decisivo per la nostra esistenza. Una pratica che include molti elementi di psicologia se raffrontata alle vicende dolorose, le fratture, che ognuno di noi prova nel corso dell’esistenza. Quelle fratture – insegna il Kintsugi – sono preziose per la nostra crescita e la nostra consapevolezza e pertanto vanno valorizzate al fine di riconoscerle come un dono che ci è stato fornito.