BETTONA – Un artista rinascimentale siciliano che trovo’ fortuna in Umbria (Spoletino e Valnerina) e (Lazio e Sabina). Un curriculum di riguardo e capolavori di grande espressività artistica ” un raffaellista purissimo”. Giacomo Santoro nasce a Giuliana in provincia di Palermo nel 1490 e non farà più ritorno; morirà a Rieti nel 1544. Nel 1519 e a Roma con il Peruzzi. Del 1524 esegue la pala di altare a Casperia di Rieti; nel 1530 dipinge la cappella Eroli alla cattedrale di Spoleto; 1536 affreschi a San Giovanni Battista di Vallo di Nera; 1538 pala di altare presso San Mamiliano di Ferentillo; 1541 pala di Norcia; affresco Madonna di Loreto a Spoleto; 1542 pala di altare a San Brizio di Spoleto; 1543 affreschi a Santa Maria di Matterella; 1544 Pala di Leonessa.
Questa volta parliamo della controversa pala di Bettona.
Furono i coniugi Angelini a commissionare a Jacopo Siculo la bella pala rinascimentale di altare raffigurante la Madonna col Bambino in gloria e sei figure di Santi. Nella predella i ritratti dei coniugi Angelini Rota. Una tempera su tavola che misura 40×290 cm, un tempo per la chiesa di San Francesco, oggi alla pinacoteca comunale. L’ attestazione all’autore dell’ opera ha oscillato da sempre tra Dono Doni e il Siculo; sfatato però negli anni 1892 con il Bianconi che l’attribuisce a Jacopo Siculo. Ma andiamo con ordine. Nel 1872 il Guardabassi, che la noto’ nell’altare maggiore della chiesa di Sant’Antonio attribuendole a Dono Doni, descrive il dipinto: la Madonna seduta sulle nuvole col Bambino fra vari angioletti, sotto a sinistra San Crispolto, San Francesco, San Girolamo; a destra un Santo eremita, Sant’Antonio da Padova e San Ludovico. Nella predella i ritratti dei committenti citati nella scritta con la data M.D.XLVI. Come il Guardabassi, altri critici qualificati attribuiscono il dipinto al Doni come Venturi nel 1932; Santi 1967; Bertarelli 1923; T.C.I. 1978.
Come abbiamo citato, fu il Bianconi nel 1892 ad attribuire al Siculo la Pala di Bettona, mentre il Cavalcaselle e Morelli 1896 hanno creduto che fosse della scuola del Raffaello dandone la possibile attribuzione a Jacopo Siculo. Finche’ con Elvio Lunghi nel 1981 cade definitivamente il Doni. Lunghi scrive: il dipinto presenta forti legami con la produzione di Jacopo Siculo, ma essendo questi morto a Rieti nel 1544 ne è da escludere l’intervento diretto a favore di uno stretto collaboratore, che utilizza modelli e spunti compositivi ampiamente collaudati dal maestro (Lunghi 1983).
Il restauro invece ha dimostrato come la predella con la data 1547 (unico elemento sostativo al riconoscimento della autografia del Siculo) si e’ rivelata successiva e non programmata insieme alla tavola, quando si sovrappone ad essa, nascondendone alcuni particolari, e in parte lo stemma. Quindi e’ da ritenere che soltanto la predella sia stata eseguita dalla bottega come conferma la tecnica diversa “tempera anziche’ olio” (Rybko 1996).
Se il dipinto della pala e’ ormai di Giacomo Santoro da Giuliana detto Jacopo Siculo, Antonino Giuseppe Marchese (studioso del pittore siciliano) nel suo catalogo edito da Ila palma, sulla fattura della predella, attribuisce l’intervento a Adriano Brunotti spoletino che fu amico e seguace del Siculo (come disposizioni testamentarie del maestro).
L’ impianto del dipinto si richiama alla Pala di Norcia, pero con un minore gruppo di Santi, e San Crispolto patrono di Bettona. Qui, il dipinto si colloca a ridosso della Incoronazione di Norcia, quindi dopo il 1541. Il maestro siciliano ha lasciato qui l’ultimo dei volti della Madonna, iconograficamente e stilisticamente affine a quello della Vergine della pala di San Mamiliano del 1538, dalla quale prende anche la posa del Bambino; i colori rosso della tunica e il verde del manto. Anche il paesaggio dello sfondo si può far risalire in linea con quello della pala di Norcia di ispirazione peruginesca.
Secondo Marchese, la pala non risulta, ancora oggi, né datata né autografata, ma conserva, oltre alla evidente sigla stilistica quasi certamente anche l’ autoritratto del maestro. Il volto dipinto frontalmente in basso e al centro, proprio accanto alle ginocchia di San Girolamo nel leone.
L’ uso di autoritratti era diffuso nel rinascimento, molti artisti inserirono spesso il proprio autoritratto tra i personaggi sacri di pale di altare. Quindi secondo Antonino Giuseppe Marchese il volto del leone ai piedi di San Girolamo e’ il volto dell’ ultimo Jacopo Siculo.