SAN GEMINI – Venerdì 4 ottobre alle 21 nella chiesa di San Francesco a San Gemini, in occasione del Terni Film Festival, sarà proiettato il documentario Mother Fortress di Maria Luisa Forenza, incentrato sulla figura di Madre Agnes e la comunità internazionale di monache e monaci Carmelitani che hanno scelto di dedicare la loro vita ai rifugiati siriani e alla popolazione bisognosa di aiuti umanitari, nonostante le difficoltà e i pericoli in agguato: proprio il 4 ottobre di quattro anni fa, infatti, avvenne l’attacco al suo Monastero.
“Abbiamo scelto di aumentare gli appuntamenti di Popoli e Religioni – spiegano le associazioni promotrici del Terni Film Festival – per allargare la rete di realtà che promuovono e sostengono la kermesse. Viviamo un momento di grande entusiasmo e crediamo sia particolarmente importante condividerlo con quante più persone e soggetti possibile: il documentario di Maria Luisa Forenza che abbiamo selezionato per il festival ne rappresenta una bella e profonda testimonianza”.
Mother Fortress è il risultato di un’esperienza vissuta in prima linea dall’autrice e regista, tesa a testimoniare non gli aspetti più drammatici del conflitto, quanto gli effetti da esso provocati all’interno di una comunità in cui le differenze religiose lasciano il posto all’aiuto umanitario mosso da uno spirito di condivisione e sorriso anche in situazioni estreme.
Dopo una carriera sviluppata attraverso documentari di stampo sociale e storico, girati in Italia e all’estero, Maria Luisa Forenza ha scelto di seguire una forma narrativa realistico-simbolica nella costruzione di un’opera che, tra testimonianze ed immagini sul campo, lascia spazio a riflessioni sul senso dell’esistenza.
“Ero in Australia per un documentario quando vidi le prime immagini delle proteste della cosiddetta “Primavera araba”, nel 2011. È iniziato tutto in quel periodo, per curiosità intellettuale e interesse per la cronaca, ma non mi sono voluta avventurare nella ricostruzione e analisi della situazione storico-politica mediorientale: mi interessava piuttosto raccontare la resistenza umana alla guerra, la vitalità del popolo siriano, e l’identità Cristiana, che lì si è trovata a dare sostegno alla popolazione nell’ambito di una forte situazione di rischio. Sentivo che il film doveva raccontare qualcosa che proiettasse gli esseri umani nel futuro.”
E’ stato nel corso di alcune conferenze negli Stati Uniti nel 2013 che la regista ha avuto modo di ascoltare, conoscere e iniziare a filmare Madre Agnes, badessa del Monastero di Qarah, a nord di Damasco, che veniva a raccontare ciò che stava accadendo in Siria, e in particolare nei territori di Aleppo e Deir Ez-Zor, insidiati dal pericolo di Al Qaeda e ISIS. Nel 2014 Forenza decide di raggiungerla per conoscere la sua comunità monastica internazionale (proveniente da Antico e Nuovo Continente) e vi ritorna altre volte fra il 2015 e il 2017, seguendo un convoglio umanitario che si inoltra fino all’Eufrate per portare assistenza ai siriani sfollati e colpiti dal terrorismo.
Il documentario, definito dalla critica “un’operazione dallo spessore antonioniano,” “una riflessione sul male e sul bene intesi in senso metafisico”, “un road movie nella luce mediterranea”, denota un’estrema attenzione all’immagine, nella ricerca di un’iconografia pittorica mistica e della sacralità in un’atmosfera infernale, oltre ad una personale concezione del tempo, su cui si sofferma l’autrice: “C’è un tempo cronologico fatto di momenti che si susseguono. E c’è l’hic et nunc, che è il momento della dilatazione dell’io, che accade nella mistica come nell’arte. È un “esserci”, il momento di massima penetrazione e percezione di te stesso e del mondo che ti circonda. In chiave cristiana è il Kairos, il momento in cui sei talmente dentro le cose… le cogli, ti cogli con una tale consapevolezza, che diventa un momento di rivelazione, quasi di eternità.” Testimone di un attacco dell’ISIS a Qarah e al Monastero nel 2015, Forenza racconta: “Ho filmato quello che c’era realmente ovvero il silenzio, eravamo rimasti tutti muti. Ho filmato l’accaduto: la drammaticità del silenzio. Ognuno in quel momento si è assunto la responsabilità della propria esistenza, una dilatazione che ho cercato di cogliere con lo spazio vuoto e con il suono”.
E particolare attenzione è data, infatti, al suono e agli effetti sonori registrati sul campo all’interno del monastero e all’esterno con i canti del muezzin utilizzati come colonna musicale del film: “I canti cristiani in arabo e francese (le principali lingue siriane, utilizzate anche nel monastero assieme a spagnolo, portoghese, inglese, latino) erano una soundtrack che scandiva la quotidiana ciclicità di meditazioni, preghiere, liturgie di monaci e monache. I giorni e le notti del monastero erano scandite da preghiere cristiane e musulmane, come un canto e controcanto che ho cercato di documentare in tutto il film.”
Attraverso il racconto, attraverso la parola-immagine, si struttura l’esistenza: MOTHER FORTRESS è un fulgido esempio di come un film sulla condizione umana presente possa diventare documento storico di esemplare umanità nella speranza di costruire un diverso futuro.