PERUGIA – Con la performance “Vecchi si nasce e io modestamente…” prosegue il cammino fabulatorio in solitaria di Maria Anna Stella che ha preso avvio con “Terrae Motus/Motus Animae”. Lo spettacolo andrà in scena il 12 novembre alle ore 21 al C.U.T. di Perugia. Sarà poi replicato il 20 novembre al Teatro Secci di Terni assieme a “Giocasta, Edipo, Elettra. L’altra faccia dell’amore” di e con Virginia Palumbo, spettacolo che ha debuttato il 5 novembre sempre al C.U.T.
Roberto Ruggieri cura la consulenza drammaturgica e la regia di entrambe le performance e ora ci guida nella lettura di “Vecchi si nasce e e io modestamente…”.
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“Vecchi si nasce e e io modestamente…”, dentro la performance
di Roberto Ruggieri
La concezione drammaturgica meta-teatrale che pone alla sorgente dell’opera il teatro stesso, il ‘teatro nel teatro’, non si può certo considerare una novità assoluta concepita dalla pratica contemporanea per rivolgersi direttamente agli spettatori. La storia del teatro ne è costellata, fin dall’antichità.
In questo caso tuttavia non si tratta di una modalità narrativa volta a svelare l’artificio illusorio dell’evento teatrale, ma dell’indagine in progress da parte della performer in merito alla condizione della vecchiaia interiore senza disgiungerla dalla problematicità della gestazione della stessa performance, esposta attraverso un flusso di coscienza in tempo reale, davanti a testimoni, più che a spettatori. In quanto creatrice dell’opera, Stella è in grado di concepirla e scriverla ogni volta realmente, straniandosi sulla scena ed esponendosi crono-psico-nauticamente al rischio di misurarsi con il momento presente, elaborandolo a vista, all’impromptu.
Stella si interroga ironicamente in merito alla sua pseudo-carriera professionale di attrice, ghiotta occasione per lei di esercitare proficuamente una satira pungente nei confronti delle contraddizioni, delle storture e della distratta autoreferenzialità del routinario dominante sistema produttivo teatrale umbro e italiano, impregnato di falsi sorrisi e di ipocrite ritualità, restio com’è ad accogliere visioni e poetiche indipendenti, rinunciando così alla ghiotta possibilità di rigenerarsi raccontando semplicemente la verità, inseguito com’è da inderogabili esigenze produttive proprie delle artificiose esigenze commerciali date dalla insana e imperante stagionalità teatrale.
Al tempo stesso Stella coglie l’opportunità di ripercorrere in cerca di verità i momenti salienti della propria vita, a partire da quando fu concepita e messa al mondo, già vecchia, satura di pensieri e di inquietanti presagi concernenti il futuro.
La performance si trasforma così in una riflessione sulla vecchiaia interiore, e quindi sulla morte, sul caso che traccia e costella la nostra precaria esistenza, riunendone i frammenti, sulla sua apparente insensatezza e sulla misteriosa, serendipica ed entelechiale tessitura che sembra occultamente contraddistinguerne il teleologico processo.
Martellata incessantemente e senza soluzione di continuità da domande sul senso della vita alle quali si sottopone in modo ironico da sola, da interrogativi impossibili che è andata ponendo in anni di ricerche sul territorio agli abitanti, ossessionata dalla vita che le sfugge continuamente di mano, si inserisce nella cornice visionaria di un teatro estremo, inteso come ‘atto di confessione spirituale’, sulla scia della concezione poetica e drammaturgica da me elaborata.
Maria Anna Stella, in un concentrato sinfonico di registri del pensiero e del sentire umano, grazie al suo peculiare modo di scrivere sulla scena, alla forza delle sue parole e dei suoi furiosi e teneri pensieri, ai suoi occhi sbigottiti di poeta, ci fa toccare schegge del suo isolato dolore, e così facendo del nostro: dopo aver tentato di rispondere a questa sequela di domande, nonostante tutto e tutti, pervicacemente in cerca di verità, avverte la sua mente illuminarsi, raccontando quello che vede ‘ora e qui’ mentre le esplode dentro, cogliendo il pensiero che lo spettacolo di cui era in cerca è proprio quello che ha per oggetto e per soggetto se stessa, grazie alla sua confessione che si è andata estrinsecando attraverso l’incontenibile e incandescente flusso verbale, à bout de souffle.