L’Umbria e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: intervento di Michele Fioroni

Ospitiamo l’intervento dell’assessore regionale allo Sviluppo economico, innovazione, digitale e semplificazione Michele Fioroni che ci ha concesso  Agenzia Umbria Ricerche. Il tema è quello del  Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza regionale con una premessa essenziale: parlare di PNRR dell’Umbria è sbagliato in quanto questo va posizionato all’interno della strategia di crescita dell’intero Paese.

**********

Rilanciare le catene del valore, produrre innovazione, investire nella ricerca: le sfide che attendono l’Umbria

di Michele Fioroni

Non bisogna incorrere nell’equivoco di considerare il PNRR dell’Umbria alla stregua di un normale documento di pianificazione economica finanziaria regionale.
La sfida lanciata dal Next Generation UE è quella di definire con chiarezza il ruolo che la nostra regione vuole ritagliarsi all’interno di una più ampia strategia di crescita del sistema nazionale.
Come ben evidenziato nella premessa del documento, ogni paese europeo è chiamato a predisporre i propri progetti per promuovere la crescita, cercando di condividere politiche di sviluppo e coordinando le attività dei vari sottosistemi territoriali.
Parlare di PNRR dell’Umbria è già di per sé sbagliato. Sarebbe semmai opportuno parlare del posizionamento che la nostra regione intende costruirsi all’interno della strategia di crescita del paese che, soprattutto per le aree più svantaggiate come la nostra, passa necessariamente attraverso modelli di specializzazione in grado di assegnarle un ruolo ben determinato.
Non possiamo infatti ignorare che la nostra regione abbia avuto negli ultimi dieci anni un andamento del PIL peggiore del dato aggregato delle regioni del sud Italia per le quali, negli ultimi decenni, la politica economica ha costruito percorsi di crescita tematici accompagnandoli con ingenti risorse a sostegno.
Quale ruolo quindi per l’Umbria che di fatto è oggi equiparabile, per parametri economici, ad una regione del sud Italia senza averne gli strumenti di agevolazione?
Per rispondere a questa domanda, bisogna partire da quello che rappresenta il principale fattore di debolezza della nostra economia regionale: un posizionamento debole lungo le catene del valore internazionali da cui derivano, tra gli altri, i gap d’innovazione e produttività. In pratica, filiere troppo brevi, di cui solo una piccola parte del valore passa per la nostra regione.
Ne scaturisce un sistema economico fragile, maggiormente esposto alle folate congiunturali come ahimè evidenziato dall’emergenza sanitaria derivante dalla pandemia di Covid-19, più soggetto a subire gli shock nei mercati di approvvigionamento ancora molto delocalizzati e più oggetto di effetti di sostituzione in quelli di sbocco.
Proprio per questo risulta necessario riposizionare l’intero sistema economico umbro lungo la catena del valore, valorizzando quanto già esistente, rafforzandone i fattori di competitività, ma costruendo al contempo filiere più integrate attraverso specializzazioni verticali in settori evoluti. In altre parole, creare nuova economia valorizzando quella già in essere.
In quest’ottica, è fondamentale sfuggire dalla tentazione di ricondurre tutti i mali di questa regione al, seppur significativo, gap di produttività. Le politiche precedenti sono state effettivamente troppo timide su questo versante, limitando il percorso di modernizzazione ad un solo pezzo dell’economia locale e non lanciando la sfida della transizione digitale e 4.0 all’intero tessuto economico. Su questo versante, la risposta non può che risiedere in un piano straordinario in grado di rilanciare la “ricerca & sviluppo” e gli investimenti innovativi, stanziando dotazioni finanziarie senza precedenti e predisponendo strumenti diversificati a seconda della dimensione delle imprese.
Ma quello che serve all’Umbria, in un progetto di rilancio e resilienza che sia degno di essere considerato tale, è prima di tutto una nuova economia.
Un progetto sistemico capace di unire, collegare, allargare e cercare denominatori comuni anche tra settori economici differenti, che presti attenzione a costruire un approccio integrato, e che preveda molteplici punti di contatto tra le diverse progettualità. È questo lo spirito ispiratore della proposta che la Regione Umbria ha presentato al presidente Mario Draghi e al suo governo.
Il punto di partenza è stato l’analisi attenta delle debolezze del nostro territorio e di come esse possano essere superate puntando, in maniera rinnovata e innovativa, sulle sue potenzialità. Con la sola eccezione della siderurgia infatti e nonostante le tante eccellenze, l’Umbria ha una dimensione che rende difficile l’attuazione di progetti con una scalabilità industriale appropriata. È proprio per questo che, nel disegnare le linee di sviluppo futuro della nostra regione, abbiamo cercato di ritagliarle un ruolo all’interno delle traiettorie di crescita del governo, che ne valorizzasse tipicità, dimensione e le caratteristiche del tessuto economico.
In quest’ottica vanno lette le singole progettualità del documento. Il progetto Suistanable Valley, alla base del piano di rilancio del polo chimico di Terni, prevede infatti la creazione di uno dei primi poli industriali decarbonizzati e la specializzazione sulla bioeconomia circolare, grazie all’integrazione della filiera dei biomateriali con quelle del comparto agricolo.
La volontà è quella di trasformare l’Umbria in una terra di specializzazione sui materiali di nuova generazione. In tale direttrice si inserisce così anche la creazione di un distretto dei nanomateriali realizzato nell’area di crisi “ex-Merloni”, fortemente integrato con il network che sorgerà nel ternano, e che consenta diverse applicazioni trasversali a tutto il sistema industriale, favorendo innovazioni di processo e prodotto strettamente correlate alle dinamiche della produttività.
Nuove filiere in settori tradizionali ma anche in ambito digitale, con un approccio sempre teso a creare ecosistemi di eccellenza, a servizio delle imprese esistenti e di nuova imprenditorialità. È questo il caso del progetto AGAIN, che prevede la costituzione, attorno al primo polo fieristico digitale del Centro Italia, di un distretto sulla grafica avanzata composto di un incubatore e di una Academy formativa e che trova nel progetto di mappatura 3D del territorio e del patrimonio artistico culturale della regione uno straordinario volano di sviluppo.
Il rafforzamento delle filiere passa anche attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali avanzate applicate alla finanza. In quest’ottica, il progetto Umbria Fintech Exchange creerà infatti un sistema di compensazione multilaterale di crediti e debiti, favorendo meccanismi di finanziamento all’interno delle stesse filiere, aumentando così la liquidità a disposizione delle PMI. Una proposta fortemente integrata con quelle relative alla creazione di fondi rotativi, mirati a fornire l’energia finanziara necessaria a progetti di crescita e aggregazione.
L’Umbria si propone quindi sul panorama nazionale come un territorio fertile per sperimentazioni innovative, soprattutto quelle per promuovere nuovi modelli di riqualificazione di siti industriali dismessi basati su attività di specializzazione economica, con al centro sostenibilità e innovazione. E se l’integrazione delle filiere agricole con quelle della chimica verde, piuttosto che il distretto dei nanomateriali, sono progettualità che cercano di trovare un modello risolutivo per le aree di crisi complessa, il polo regionale dell’Idrogeno, può rappresentare uno schema di sperimentazione per la riqualificazione di siti industriali dismessi o, nel caso specifico, di vecchie centrali a carbone.
Una proposta ambiziosa che già avevamo anticipato e che ritroviamo nel piano nazionale recentemente approvato, che sull’idrogeno prevede uno schema progettuale praticamente identico a quello proposto nel nostro PRIMA, in cui il rilancio di un sito dismesso passa attraverso la produzione di idrogeno verde e la sua immissione nella rete gas.
Non ultimo, per ordine d’importanza, il tema del trasferimento tecnologico, con la costituzione di una società regionale ad hoc, la Start&Go, che permetta di rafforzare la filiera della finanza di rischio a servizio dei processi di generazione, radicamento e valorizzazione dell’innovazione. La società si doterà infatti di strumenti differenti e innovativi, che garantiscano continuità di sostegno lungo l’intero percorso di maturazione dell’invenzione, dal finanziamento dei proof-of-concept, fino a investimenti nel capitale sociale delle start-up più mature e all’attivazione di meccanismi di corporate venture capital.
Il tutto con un ruolo trasversale dell’Università, che ha contribuito alla stesura facendosi anche promotrice di diversi progetti ambiziosi come quello relativo alla creazione di un Centro Umbro di Ricerca e Innovazione, che prevede la creazione di una vera e propria cittadella della scienza nel settore delle “scienze omiche” e della medicina 4P (personalizzata, predittiva, preventiva e partecipativa), allineandosi perfettamente con le strategie delineate per l’European Digital Innovation Hub.
Non c’è ecosistema dell’innovazione che funzioni infatti senza il sistema della ricerca e in quest’ottica il nostro ateneo avrà un ruolo fondamentale, non solo per il suo contributo fattivo nella definizione di numerosi progetti, ma anche come dorsale di quelle infrastrutture di ricerca duali che permetteranno ai differenti distretti creati di divenire punti di eccellenza a livello nazionale e promuovere meccanismi di trasferimento tecnologico avanzato, favorendo efficacemente l’innovazione e il collegamento tra ricerca e mondo delle imprese.
Una progettualità che punta in alto, con la consapevolezza che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non possa essere la somma di tanti progetti regionali, ma che le regioni debbano essere capaci di ritagliarsi un proprio spazio all’interno di una più strutturata strategia nazionale ed europea.

Redazione Vivo Umbria: