PERUGIA – Sono migliaia le storie che i fitti boschi e gli stretti vicoli delle nostre città medievali raccontano: tra queste ci sono anche quelle riguardanti la stregoneria, presente in Umbria da tempo immemore. Tra le più antiche c’è il culto della dea Nemesi o Norzia, dea etrusca della fortuna e del fato venerata a Norcia sin dall’epoca del bronzo tardo, una potente divinità femminile legata alle religioni matriarcali e ai culti della fertilità. Norzia è una dea lunare, come Grande Madre guarisce e distrugge, regna in cielo, in terra e nel sotterraneo mondo degli inferi, è la dea degli oracoli e delle divinazioni.
Uno dei suoi attributi è un chiodo da conficcare nella parete del tempio ad ogni nuovo anno: in questo modo è della dea e delle sue sacerdotesse il compito di tenere il conto del tempo, ritualizzandolo.
La dea Norzia è una dea lunare, riprodotta attraverso statuette di pietra nera e argento e, come tutte le antiche dee il suo culto viene spazzato via dall’allora nascente Cristianesimo: è intorno al IV secolo che il suo tempio diventa cristiano e lei si trasforma in Santa Maria Argentea.
Echi della grande madre però sopravvivono serpeggiando tra le gole pietrose degli Appennini dove ritroviamo un’altra famosa strega che l’Umbria condivide con le confinanti Marche: la Sibilla Appenninica o Sibilla Picena. Maga, incantatrice e regina di un mondo magico che si snoda sotto i monti che da lei prendono il nome, la sua storia viene raccontata per la prima volta nel 1430 da Andrea da Barberino, con il romanzo “Guerrin Meschino” per poi essere ripreso pochi anni dopo dal provenzale Antoine de La Sale con l’opera “Il Paradiso della Regina Sibilla”, dove viene raccontato il suo rocambolesco e fantastico viaggio all’interno della montagna.
Boschi, pozzi, grotte nascoste, soglie oscure tra il nostro e un altro mondo, come da tradizione anche la Sibilla vive in un luogo marginale e isolato, all’interno della grotta che si trova sulla cima del monte circondata dalle fate sue ancelle, bellissime ragazze dai piedi caprini il cui rumore sui ciottoli ricorda il calpestio degli zoccoli degli animali. Queste creature amano danzare nei boschi durante le notti di plenilunio ma devono rientrare nella grotta alle prime luci dell’alba. Si narra che rientrando di fretta una mattina furono proprio loro a creare la formazione della Strada delle Fate, una faglia che attraversa orizzontalmente la costa del monte Vettore e a dare luogo ai terremoti che interessano la zona.
Territorio della Sibilla è anche il misterioso lago di Pilato, descritto spesso in epoca medievale come luogo di ritrovo di demoni e negromanti nonché porta di ingresso dell’Ade.
Ed è proprio al lago di Pilato come crocevia di pratiche diaboliche che si fa accenno nei Sermones Dominicales di Giacomo della Marca, uno dei predicatori più attivi ed influenti dell’epoca. Tra la fine del 300 e gli inizi del 400 si assiste infatti ad un esacerbamento delle repressioni contro le cosiddette streghe, donne reali, accusate e condannate al rogo, lunghi anni di sangue e ingiustizie che hanno segnato anche la nostra regione.
Nel 1455 sappiamo essere stata arsa viva Filippa di Città della Pieve il cui capo d’accusa principale, oltre a malefici di vario genere, era la volontà di imparare l’arte della stregoneria. Filippa si sarebbe infatti recata per anni da Claruzia, una donna esperta in quest’arte al fine di imparare incantesimi e pozioni: la trasmissione del sapere tra donne diventa quindi tema cruciale per gli inquisitori.
Mentre nell’archivio storico comunale di Todi sono conservati gli atti di uno dei processi per stregoneria più famosi: quello contro Mariuccia di Francesco da Ripabianca, condannata il 20 marzo 1428 dal tribunale laico presieduto dal capitano di giustizia Lorenzo de Surdis ad essere bruciata viva sulla pubblica piazza.
Non sappiamo bene chi sia questa donna, negli atti, come nella quasi totalità dei processi di questo tipo, la versione delle accusate non è contemplata, quello che ci rimane è la descrizione e la visione degli accusatori che si limita ad un elenco di crimini fino ad una confessione estorta, come anche in questo caso, con la tortura.
Leggiamo negli atti che da Mariuccia si recavano molte persone, donne in prevalenza, donne tradite che volevano riconquistare l’amore, donne abusate o picchiate, donne sfinite da gravidanze.
Lei consigliava polvere di unghie di mula bruciata e triturata come contraccettivo o l’acqua del proprio pediluvio data da bere ai propri mariti dopo aver cucinato loro una rondine condita con lo zucchero per interrompere tradimenti e percosse. Era in grado di liberare dai malefici con feticci fatti di capelli, cera e stracci, conosceva litanie segrete che liberavano dalle fatture e dalla malasorte, realizzava pozioni composte da più di 30 tipi diversi di erbe per guarire le infermità.
Scrive Filippo Orsini nei Quaderni dell’istituto Einaudi Ciuffelli di Todi “contro i mariti aggressivi e violenti prescrive alle mogli di dar da mangiare un uovo con erba di coda cavallina pronunciando queste parole ” Io te do a bevere questo al nome de fantasma et delli spiriti incantati, et che non possa dormire né posare”. Le accuse più gravi sono legate al suo legame col diavolo che va di pari passo con l’abitudine di uccidere i neonati per succhiarne il sangue e, trasformata così in gatta, compiere in volo il viaggio fino al noce di Benevento, luogo rinomato di sabba e ritrovi satanici. La formula, riportata per intero negli atti del processo sarebbe stata proprio: “unguento, unguento, mandami a la noce de Benevento supra acqua et supra ad vento et supra omne malatempo”.
Oggi è chiaro ed evidente come ciò sia impossibile e sappiamo che i presunti voli delle streghe altro non erano che il raggiungimento di stati alterati di coscienza attraverso l’utilizzo di piante psicotrope come lo stramonio, il giusquiamo o la mandragora per favorire i viaggi psichici fuori dal corpo.
Come è chiaro anche che Mariuccia sia un’esperta erborista, legata alla terra e ai suoi riti di ciclicità, una donna sola il cui sapere disturba di sicuro il patriarcale mondo in cui vive.
Ed è proprio questo in realtà che più sconcerta della strega, la sua conoscenza, il suo essere in contatto con energie sconosciute che svela ma nasconde allo stesso tempo. Il mondo visionario della strega, del quale lei è l’unica depositaria desta allarme e preoccupazione. Dispensatrice di illusioni e segreti tanto affascinanti quanto terrificanti, figura ripugnante ma allo stesso tempo necessaria, la strega a livello simbolico spezza l’ordine costituito, mette in discussione, genera trasformazioni necessarie ma che spesso non vengono accettate perché troppo difficili da attuare.
Una trasformazione che si protrae nel tempo, un legame che non si spezza negli anni ed arriva in positivo fino ai giorni nostri: nel 2014 all’interno dell’istituto agrario di Todi A. Ciuffelli, vediamo nascere l’orto della strega Mariuccia, orto botanico e laboratorio didattico per bambini e ragazzi nato dalla volontà sempre più pressante ed attuale di sottolineare l’importanza del rapporto tra uomo e natura. Come afferma il dirigente scolastico Marcello Ritaldi ” In questo scenario, l’istituto agrario più antico d’Italia ha realizzato un orto didattico di piante officinali… E questo forse, attraverso il riconoscimento dell’utilità delle erbe, è anche un tardivo segno di riconciliazione tra sapere al femminile e sapere universale, tra sapere scientifico e sapere umanistico” di cui, aggiungiamo, il pianeta ha oggi più che mai disperatamente bisogno.
Fonti:
– L’orto della strega Matteuccia nell’abbazia di Montecristo. Il giardino delle erbe aromatiche ed officinali dell’istituto agrario di Todi. Collana Quaderni dell’istituto Einaudi Ciuffelli di Todi. Gennaio 2019
– Non lasciar vivere la malefica. Le streghe nei trattati e nei processi del secolo XIV e XVII di Chiara Corsi e Matteo Duni
– La stregoneria a Perugia di Ugolino Nicolini