PERUGIA – Nel corso della seconda guerra mondiale l’esercito tedesco, a differenza di altre forze armate, non impedì ai propri soldati di scattare fotografie durante il servizio militare. Al contrario, questa attività fotografica venne quasi istituzionalizzata e incoraggiata. I soldati di alcuni reparti ricevettero addirittura l’incarico di realizzare veri e propri reportage delle campagne militari, che poi venivano distribuiti o venduti tra i soldati…
A differenza dei reportage prodotti dai fotografi di guerra, ordinati dagli alti comandi militari del III Reich come forma di propaganda e prova della nazificazione dell’Europa, queste immagini non devono necessariamente dare rappresentazione positiva e “vincente” della guerra, ma spesso si soffermano sugli aspetti più negativi, brutali e impresentabili del conflitto. Da qui l’idea di raccogliere queste foto, grazie alla documentazione degli album dei soldati tedeschi che Marco Trinei ha condotto con spirito documentaristico, in una mostra che si svolge a Perugia, alla Domus Pauperum in corso Garibaldi 84: Antropologia del Male. Le vittime del nazismo negli album dei soldati tedeschi, inaugurata il 27 gennaio e aperta fino al 16 febbraio.
La mostra raccoglie circa novanta riproduzioni di fotografie scattate da militari tedeschi tra il 1939 e il 1942 nei paesi occupati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Insieme a Trinei, hanno collaborato alla realizzazione della mostra altre tre curatrici: Martina Barro (vicepresidente dell’Associazione Vivi il Borgo), Marta Petrelli (grafica) e Cristiana Palma (studiosa di storia della fotografia). Una mostra che documenta quella che per molti è stato un periodo “inenarrabile” nella storia dell’umanità, per gli orrori compiuti da essere umani su altri esseri umani. Grazie a Vivi il Borgo, dunque la mostra assume un ruolo straordinario di fonte di documentazione storica e socio-antropologica in grado di evocare gli avvenimenti del periodo più buio della storia europea.
Ne parliamo con Martina Barro che ha prodotto un contributo determinante per la realizzazione della mostra che – ricordiamo – è alla sua seconda edizione dopo quella del 2023 nello stesso luogo della Domus Pauperum.
“Tutto nasce – esordisce Martina Barro – dal lavoro di certosino collezionista di Marco Trinei che nel corso degli anni ha accumulato queste determinanti testimonianze fotografiche dei soldati tedeschi. C’era una consuetudine, che era abbastanza rara al tempo, da parte della Germania: i soldati dell’esercito tedesco, a differenza di altri eserciti, che ci andavano più cauti, erano stimolati a scattare le fotografie durante il servizio militare”.
– Barro, in realtà la peculiarità di questa mostra è proprio la non ufficialità degli scatti dei soldati tedeschi. Foto che sono sfuggite alle censure degli alti comandi e che ritraggono brutalità e orrori senza filtri.
E’ proprio così. Il mainstream storico ci ha abituato a immagini come quelle degli americani e di tutti quanti, quando c’erano i liberatori, in particolare quelle relative ad Auschwitz, campi di concentramento e così via, nel momento della liberazione. Questa mostra invece è una cosa unica, perché in qualche maniera le fotografie sono fatte dagli oppressori, dai tedeschi che fotografavano oppure altri studiosi che hanno analizzato di come fosse possibile che una popolazione interna abbia collaborato a questo annientamento totale non solo degli ebrei, ma dei nemici in particolare.
– La famosa “soluzione finale”.
Sì certo, ma come è possibile che tutta la popolazione interna, anche civili e così via, fondamentalmente hanno reso possibile quello stato di cose? Per noi è importante sottolineare questo aspetto della deumanizzazione che l’ideologia, la propaganda tedesca operava. In questa maniera l’ideologia permetteva anche la naturalità di venire determinati dei soldati tedeschi. I professori di Norimberga evidenziarono come le risposte ottenute durante il processo sul perché dei crimini erano “perché me l’hanno ordinato”. Il risultato di una società molto gerarchizzata che riduceva un essere umano a un ingranaggio di un meccanismo perverso. Abbiamo riproposto questa mostra ora, l’abbiamo anche realizzata nel 2023, ma ci sembrava importante con quello che sta succedendo. Un periodo, questo, in cui si rendono trasparenti i nemici, che non hanno più un corpo. Per cui non ci si pone problemi a uccidere qualcuno, perché diventa una cosa da cancellare, sostanzialmente.
– Questo impegno civile dell’Associazione Vivi il Borgo è tra le finalità stesse dell’Associazione, mi sbaglio?
Sia alla rigenerazione dei nostri quartieri, però abbiamo finalità anche di tipo etico.
– Certo, che si traduce finora in una serie di mostre…
Sì, questa è una delle nostre caratteristiche.
– E per i progetti futuri?
Insieme alle altre associazioni del centro storico, lavoriamo a istanze precise che sono relative sostanzialmente alla vivibilità e alla rigenerazione dei nostri quartieri, sempre più svuotati, perché è sempre più difficile vivere nel centro storico, non ci sono negozi di prossimità, tanto per fare un esempio, ci sono macchine parcheggiate dovunque. Pensiamo al problema dei rifiuti che è diventato un’emergenza, perché in qualche maniera se per esempio nel nostro quartiere che c’è una popolazione studentesca e transitoria, da parte dei proprietari delle case non c’è l’esigenza del rispetto della raccolta differenziata dei rifiuti da far rispettare ai propri inquilini.
Gli orari
Fino al 16 febbraio dalle 10.30 alle 13 e dalle 17.30 alle 20.