TERNI – Lorenzo Pizzuti, cosmologo e ternano doc, è stato nominato per la seconda volta nella giuria dei FameLab, che si svolgerà quest’anno a Torino l’11 maggio. È così difficile stare dietro Lorenzo che ci siamo dovuti sedere un attimo e fargli qualche domanda per capire il suo percorso, da FameLab, al suo lavoro come ricercatore postdoc presso l’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta, fino ai suoi Science Concert con cui riesce a rendere divertente persino la scienza.
Nel 2016 sei stato il vincitore di FameLab e ora ti ritrovi dall’altra parte ad essere tra i giurati dell’edizione di quest’anno. Spiegaci meglio cosa è FameLab?
FameLab è un talent show per giovani ricercatori e ricercatrici, laureandi e neo laureati che si sono avvicinati al mondo della scienza e che però in più hanno la passione nel raccontarla mettendosi su un palco. Il format è internazionale, nasce a Cheltenham in Inghilterra: l’idea è quella di salire su un palco e raccontare in tre minuti un argomento in maniera teatralmente divertente e corretta. Non si possono utilizzare slide o proiezioni di alcun tipo, al massimo degli oggetti funzionali per ricreare questa ‘scenetta’ teatrale. L’intenzione di FameLab è quella di svincolarsi dal mondo accademico, dalla classica idea di conferenza scientifica.
Cosa ti ha portato lì all’inizio
Mi sono buttato per gioco perché mi piace raccontare la scienza anche se non avevo nessun tipo di esperienza teatrale. Avevo solo degli argomenti affascinanti che a me personalmente facevano impazzire e che avrei voluto provare a spiegare alle persone. Alla mia prima edizione a Trieste sono arrivato secondo, dopodiché con la ragazza vincitrice del primo premio e gli altri vincitori delle selezioni locali siamo andati a Perugia a fare la masterclass preparatoria alla finale nazionale. Difatti l’associazione che gestisce FameLab, Psiquadro, che ha sede a Perugia, è un gruppo di ragazzi molto in gamba che si sono presi in carico di gestire la masterclass, per me il premio più importante del concorso. Perché il bagaglio più grande che mi porto dietro da FameLab è proprio la comunità di persone che ho potuto conoscere in quell’occasione.
Nel 2016 la tua vittoria: ci racconti come l’hai vissuta?
Poi ho avuto la fortuna di vincere la selezione nazionale a maggio 2016 per poi partecipare a quella internazionale e passare la semifinale dove sono arrivato tra i primi dodici che hanno partecipato alla finalissima internazionale. Lì la cosa che mi ha colpito molto è che nonostante le diverse culture, anche molto lontane tra loro, eravamo tutti accumunati dalla stessa passione e senza alcun tipo di barriere. In teoria la scienza dovrebbe fare proprio questo, unire. Spesso non accade ma l’obiettivo più bello della scienza penso sia quello di raccogliere una comunità e costruire qualcosa. Ed io in questo contesto l’ho trovato: ognuno era interessato all’argomento dell’altro, una cosa che a me ha lasciato davvero un segno positivo.
Hai mantenuto contatti con loro?
Certamente, con molti di loro tra cui i due ragazzi con cui sono riuscito a riportare l’edizione di quest’anno a Torino dove sono giurato (per la seconda volta dopo il 2019 a Perugia); si tratta di Claudio Forte professore universitario presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino e la professoressa Silvia De Francia, di Medicina di Genere alla Facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino, molto attiva nel campo della divulgazione. Insieme a loro abbiamo coinvolto un po’ di enti del territorio locale sia del Piemonte che della Valle d’Aosta, tra cui l’osservatorio in cui lavoro attualmente.
Noi ci conosciamo da un po’ Lorenzo, abbiamo avuto la fortuna di frequentare entrambi il liceo scientifico Donatelli, però sinceramente dalla fine del liceo hai raggiunto dei traguardi che faccio fatica a credere che siano passati appena una decina d’anni. Più che dirmi il segreto del tuo successo, quanto è stato l’impegno che ci hai messo?
Diciamo che mi sento ancora all’inizio di un percorso, sono ancora un ricercatore post-doc, quindi non sono nemmeno staff, non ho il mio tempo indeterminato, dove nel mondo della ricerca è molto difficile.
Il tuo obiettivo?
Mi piacerebbe diventare professore universitario. Quando facevo il liceo è un po’ nata la mia passione per la scienza, la fisica in particolare (anche se non è che andassi proprio bene in fisica ai tempi…); era diventata per me un chiodo fisso, un qualcosa che volevo fare. Però per rispondere alla tua domanda, se c’è una cosa che ti piace fare, l’impegno diventa secondario. Riguardando indietro sicuramente aver conseguito insieme il diploma in pianoforte e la laurea in fisica è stata tosta, qualcosa sacrifichi, in primis il tempo libero. Ma forse per me è più difficile stare fermo. Non a caso all’università studiavo anche al mare, c’era chi faceva la settimana enigmistica sotto l’ombrellone e chi come me studiava meccanica quantistica. Per me l’impegno era lo stesso. Mi ero messo nell’ottica che non lo stavo facendo per l’esame ma lo stavo facendo per la passione che avevo.
Studio, passione, talento ci sono. Cosa manca?
Dico che ci vuole anche fortuna, perché nessuno prevede gli effetti delle scelte che uno deve prendere nella vita, se è giusto o sbagliato. Però posso dire che non ho mai mollato, anche quando ho avuto sfortuna. L’importante è non mollare ed essere convinto delle proprie scelte.
Ora ti lancio una sfida: descrivi ai nostri lettori il tuo lavoro giornaliero ma, finché si può, con parole semplici.
Il mio lavoro al momento è ibrido perché mi occupo sia di ricerca scientifica che di didattica e divulgazione. Ad esempio, durante il periodo scolastico, tutte le mattine, dal lunedì al venerdì, un mio collega ed io ci rechiamo in tutte quelle scuole (dalla prima elementare fino al quinto liceo) che hanno aderito ad un progetto del Piemonte e della Valle d’Aosta finanziato dalla Fondazione CRT, Cassa di Risparmio di Torino, tramite il progetto “Diderot” per tenere conferenze e lezioni sulle stelle.
E poi cos’altro fai?
Un’altra parte di attività didattica è dedicata ad un livello più alto, ad esempio aiutare proprio gli studenti con la tesi di laurea o ancora gli spettacoli e le conferenze tutto a tema scienza, astronomia. Il mio campo rimane quello, raccontare il cielo. Non solo nel suo aspetto più scientifico, ma anche in quello più umano. Mi piace molto parlare dei suoi legami con la cultura, ad esempio con la mitologia. Difatti sono le stesse stelle che vedevano e che raccontavano i nostri antenati. Perché la scienza non è soltanto un aspetto crudo del laboratorio, dell’osservatorio, ma è qualcosa di più.
Sicuramente c’è poi la ricerca: su quale fronte cosa in particolare?
Mi occupo della cosmologia che è quella parte della scienza che studia la struttura e l’evoluzione dell’universo, in particolare studio gli ammassi di galassie, queste enormi strutture nell’universo dove una galassia è solo un puntino. Dal modo in cui si muovono queste galassie possiamo ricostruire come funziona la gravità e questo ci aiuterebbe a spiegare perché l’universo sta accelerando, cioè si sta espandendo in maniera sempre più veloce. Al momento sembra esserci una forza che si oppone alla gravità e domina l’espansione accelerata; una possibilità per capire la sua origine è immaginare che la gravità possa comportarsi diversamente da come ci appare. Questa diversità allora potrebbe lasciare effetti che possiamo notare in questi enormi ammassi di galassie. La cosa affascinante è che noi utilizziamo l’universo, un oggetto talmente grande da risultare a noi inimmaginabile, come un laboratorio. Da ultimo al momento mi sto concentrando anche su un altro campo, quello delle onde gravitazionali che sono delle pieghe nella struttura dell’universo. Mentre le onde sonore, le onde di luce sono onde che viaggiano nell’universo, le onde gravitazionali sono onde dell’universo, della sua strutta di base. Queste sono delle fonti di informazione incredibili, perché ci consentono di vedere dove la luce non ce lo permette.
Dalla tua biografia emerge anche un forte impegno nella divulgazione scientifica: quanto ritieni sia importante oltre che “fare” scienza, anche parlarne al pubblico più vasto?
Ecco, stimolare la curiosità penso sia la cosa più importate. Perché la scienza guarda avanti, soprattutto la ricerca di base sembra apparentemente un qualcosa fuori dal campo di praticità.
Ovvero?
Cosa ci faccio col conoscere l’universo? A che serve studiare oggetti lontani? La risposta è che noi osserviamo l’universo perché le ricadute che hanno le scoperte di oggi non costituiscono effetti a breve termine. Potranno passare dieci, cento, mille anni ma sono fondamentali. Ma se non c’è qualcuno che guarda in avanti allora non possiamo andare avanti. Noi abbiamo appena grattato la superficie di un oceano molto vasto e profondo che sono i misteri contenuti dell’universo di cui conosciamo solo il 4%. C’è tanto da scoprire e ancora tanto da comprendere e c’è bisogno che qualcuno lo faccia.
E soprattutto occorre che le conoscenze vengano opportunamente divulgate, non ti pare?
L’obiettivo della divulgazione non è solo quello di dare le informazioni ma quello di stimolare la voglia di cercare le informazioni. Fare ricerca significa stimolare la capacità critica di distinguere le informazioni, trovare quella che sia scientificamente valida, rigorosa. È un argomento che mi sta molto a cuore, soprattutto adesso che siamo circondati da fake news e complotti. Mai come ora tutti pensano di dire la loro, anche tramite un semplice post, con la stessa validità di una persona che su quell’argomento ha dedicato 50 anni di studi della sua vita.
In effetti siamo talmente bombardati dalle informazioni che ci si orienta male in alcuni casi…
Il problema esiste ed è proprio quello dell’enorme quantità di informazioni che ci arrivano. Non abbiamo più un metodo che ci permette di distinguerle. Tra la valanga di informazioni con cui siamo inondati ogni giorno non è semplice saper individuare quella corretta. Va molto di moda parlare dei famosi complotti lunari, cioè del fatto che non siamo mai stati sulla Luna e tante persone sono convinte che l’allunaggio, vero o falso, sia stato uno solo. In realtà no, sulla Luna ci sono state sette missioni, sei sono atterrate, una ci ha girato intorno, la famosa Apollo 13, però molte persone ignorano questi dettagli. Torniamo al concetto del divulgatore che dovrebbe prendere per mano la persona che non conosce la materia e portarla nel suo campo, perché se si parte dal presupposto sbagliato che gli altri sono stupidi, come spesso accade purtroppo, non si arriva a niente, automaticamente il divario aumenta. Non da meno la divulgazione è necessaria anche per il suo effetto economico, perché le persone sono quelle poi che possono decidere se destinare i soldi alla ricerca.
Non nascondo che uno dei problemi è il cd. mainstream: ci sono tanti divulgatori che hanno successo non tanto per la loro bravura, ma perché sono famosi, per il numero di like sui social magari. Dal punto di vista televisivo, della resa web purtroppo adesso conta molto più il peso del like, più che il peso dell’informazione che dai. Penso ci dovrebbe essere maggiore attenzione su tutto questo ed evitare di creare un divario eccessivo tra la scienza, nella sua parte divulgativa e il puro spettacolo.
Oltre che alla scienza, hai anche una grandissima passione per la musica, come si conciliano le due? Pensi ci sia qualcosa che le leghi? O meglio hai fatto qualche scoperta scientifica in merito?
In realtà c’è tutta una branca della musica, conosciuta come acustica in cui il suono, o meglio le onde sonore, vengono studiate. Io mi concentro sulle onde gravitazionali, ma non nascondo che alcuni strumenti di analisi sono un po’ gli stessi e ci aiutano anche a capire meglio come funziona il suono. Adesso c’è tutta una branca della musica che studia l’impatto della suono sia sul nostro orecchio sia su come lo ha avuto nella storia.
Mettere insieme le passioni, scienza e musica, crea un connubio incredibile che è quello che cerchiamo di realizzare nei nostri aventi con gli Science Concert.
Volevo proprio arrivare lì: parlaci degli Science Concert, del progetto e se avete delle future date in programma.
Science Concert è nato durante i miei due mesi di dottorato ad Heidelberg in Germania come ‘visiting reasearcher’, in particolare dopo aver scoperto che tra le varie persone del gruppo di ricerca ce n’erano alcune con una grande passione per la musica, una ragazza a cui piaceva cantare, un ragazzo pluristrumentista…ecc. Poi il pianoforte a coda presente nell’aula magna dell’Università ha dato l’ispirazione definitiva: “perché non faccio un concerto di astrofisici, un Astro Concert?” L’idea poi si è evoluta, ho pensato perché non alternare ai brani musicali degli sketch comici magari raccontando scienza? Ho chiamato i miei colleghi dell’associazione di cui faccio parte cioè il gruppo di animazione scientifica ‘Science Industries’ anche loro molto vicini al mondo della divulgazione scientifica e insieme al loro supporto mi sono inventato questo format. Ho coinvolto ricercatori – musicisti (a quanto pare non è un caso che scienza e musica vadano spesso in coppia) e da lì abbiamo iniziato a suonare e divertirci. Ad esempio adoriamo lo sketch sui terrapiattisti, ci divertiamo moltissimo nel farlo.
Ora qual è il tuo prossimo obiettivo?
L’insegnante universitario, perché mi sembra il connubio migliore tra tutte le mie passioni. Si tratta comunque di divulgazione scientifica, o meglio di didattica, ma fatta ad un livello più alto rispetto a quella (comunque importantissima che faccio tutti i giorni). Perché facendo lezione, inventando nuovi metodi d’insegnamento e spiegando argomenti così difficili e complessi, c’è anche un vantaggio personale: quello di migliorarsi. C’è l’aspetto didattico, cioè trasmettere alle nuove generazioni informazioni estremamente belle e poi c’è l’aspetto di ricerca. L’ambiente universitario dovrebbe essere un ambiente sereno e culturalmente elevato. Nella pratica purtroppo questo non spesso accade, perché ci sono poi una serie di questioni che vanno al di là della voglia di fare scienza illuminata e lì purtroppo ci sono ancora degli aspetti su cui intervenire, come ad esempio i favoritismi. Comprendo il perché del fatto che nella scienza la meritocrazia è difficile da applicare perché il livello è sempre talmente alto che è difficile decidere per un professore individuare la persona giusta con cui lavorare. In ogni caso per quanto sarà difficile darò comunque il massimo perché con una passione così grande per me l’impegno viene in secondo piano.
In attesa che Lorenzo torni in Umbria per ascoltarlo nella sua veste di divulgatore o chissà di musicista con gli Science Concert, chi vuole può gradare possiamo il video della sua esibizione vincente ai FameLab del 2016 che avete trovate in questo articolo.