PERUGIA – L’Umbria è una terra di molte eccellenze: culturali, ambientali, gastronomiche, storiche e molto altro ma a prima vista non rinomata come terra di innovazione tecnologica. Eppure anche qui, esiste una piccola realtà, nata all’interno dell’Università di Perugia e unica a livello regionale, che ha fatto dell’innovazione la sua bandiera. Si tratta della 3DiFic, una società di ingegneria con sede a Perugia specializzata nell’utilizzo della stampa 3d e della progettazione digitale con finalità cliniche.
Con il progetto DICOM2Hololens che fornisce al chirurgo tutte le applicazioni del 3D medicale hanno vinto proprio in questi giorni a Verona il Premio Innovabiomed, come realtà esempio di convergenza fra salute, scienza e industria di forte impatto sociale ed elevata caratterizzazione tecnologica.
Anche per questi motivi e per studiare insieme nuovi progetti innovativi per la regione Umbria, si è recentemente svolto un incontro tra la società e la presidente della regione Donatella Tesei, Luca Coletto e Michele Fioroni, rispettivamente assessori alla sanità e allo sviluppo economico, innovazione, digitale e semplificazione, il presidente e la direttrice del Tucep Gianluca Rossi e Maria Brizi.
Ne abbiamo parlato con Alessandro Ricci, fondatore e amministratore, orgoglioso di poter dire che questa piccola ma innovativa realtà, che fonde le competenze mediche con quelle dell’ingegneria, abbia trovato terreno fertile proprio in un suolo non propriamente adatto come l’Umbria.
Il vostro è un lavoro sicuramente complesso e articolato, in che cosa consiste esattamente?
Alla base del nostro lavoro c’è la volontà di fornire ai clinici la più accurata pianificazione chirurgica possibile in quanto la scienza medica si sta sempre più posizionando sul modello della medicina personalizzata e la chirurgia non fa eccezione. Grazie alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia, con l’utilizzo della stampa 3d riusciamo, attraverso dati di origine clinica bidimensionali, come ad esempio una tac, a riconvertire queste informazioni per ricreare delle immagini che sono invece tridimensionali e che a loro volta possono essere trasformate in oggetti solidi 3d.
Quali sono i vantaggi di questa tecnica?
Questa tecnologia permette di creare dispositivi medici su misura, disegnati intorno all’anatomia del paziente. Il dottore in questo modo ha in mano un oggetto che è identico a quello che andrà a operare nella realtà, ha la possibilità di eseguire simulazioni di intervento su modelli realistici e accurati e se deve fare un trattamento può calcolarne con esattezza le misure. Può quindi provare l’operazione esattamente come la troverà poi in sala operatoria.
Pianificando prima la strategia chirurgica, dal punto di vista del paziente, si riduce il tempo di esecuzione dell’intervento, con tutti i benefici connessi, clinici e organizzativi.
Dal punto di vista della formazione inoltre, è uno strumento potente per fare training senza ricorrere ad animali o a cadaver lab; in questo particolare momento è molto apprezzato.
Ci sono dei vantaggi anche dal punto di vista ambientale?
Assolutamente si, la stampa 3d è una modalità di produzione che si presta molto ad avere piccole realtà produttive disperse. Se io ho la produzione a livello il più locale possibile necessito dall’esterno solo del materiale, materiale che si può comunque utilizzare per numerose applicazioni, tagliando trasporti, imballaggi, costi e risorse con un beneficio molto alto anche in termini ecologici.
Svolgete anche attività di ricerca?
Abbiamo all’attivo più di dieci pubblicazioni accademiche nel campo della chirurgia generale e toracica, radiologia, brachiterapia, ginecologia e odontostomatologia.
Ad esempio per l’ospedale di Perugia, nell’ambito della radioterapia interventistica abbiamo realizzato una procedura avanzata per i tumori al seno con la professoressa Aristei.
In chirurgia toracica invece, abbiamo realizzato dei dispositivi medici utilizzando l’intero flusso digitale nella pianificazione di un’operazione per un paziente che verteva in una situazione particolarmente complessa. Ne è scaturito uno scientific report realizzato dal professor Puma e dalla sua equipe, che ha potuto dar vita a una nuova procedura grazie proprio alle tecnologie digitali messe a disposizione.