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L’idillio in frantumi: Stifone, un antico borgo umbro assediato dal frastuono e dai miasmi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la riflessione che ci viene da Tiziano Bielli, nostro lettore,  che torna sulla Questione Stifone di cui la nostra Sara Costanzi si è più volte occupata. In redazione ci è arrivata la “narrazione-riflessione” del dottor Bielli, che visti gli studi ci fornisce un contributo senza dubbio interessante. Nato ad Anagni, si è diplomato al Liceo artistico “Orneore Metelli” di Terni specializzandosi in Rilievo e catalogazione dei beni culturali, è stato infatti ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa  e si laurea in Storia dell’arte  all’Università di Pisa. Dopo un soggiorno di ricerca a Parigi all’École Normale Supérieure, ottiene anche il diploma di licenza in discipline storico-artistiche della Scuola Normale Superiore. Dall’ottobre 2020 lavora come dottorando all’Università di Lucerna dove svolge ricerche per un progetto relativo all’impegno sociale delle organizzazioni buddhiste italiane.

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L’idillio in frantumi: Stifone, un antico borgo umbro assediato dal frastuono e dai miasmi

di Tiziano Bielli

Una famiglia ha appena concluso la sua visita al borgo di Stifone, ormai divenuto una celebre meta turistica per visitatori umbri, italiani e internazionali, anche grazie all’instancabile passaparola sui social network. La madre e la figlia, una bambina di circa otto anni, camminano lungo la curva che costeggia il paese per tornare all’autovettura che hanno dovuto parcheggiare lontano dal borgo lungo la Strada Regionale 204 Ortana. Prestano molta attenzione a ogni minimo rumore per evitare di essere travolte dagli autocarri che corrono a grande velocità, nonostante il limite di cinquanta chilometri orari. Improvvisamente uno di questi giganti supera la curva e sfreccia loro accanto suonando ripetutamente il clacson, come a protestare per la loro indebita presenza sul ciglio della strada. La bambina è costretta a respirare i gas di scarico e incomincia a tossire, lamentandosi insistentemente con la voce strozzata. Questo è il ricordo che serberà della sua visita a Stifone.

Poco distante, un nutrito gruppo di escursionisti proveniente dal sentiero che congiunge il borgo alle splendide chiese medievali di San Martino e Santa Pudenziana raggiunge la strada dopo aver attraversato i boschi e si trova di fronte lo spettacolo di una vera e propria autostrada. I volti muti e attoniti non hanno bisogno di parole per esprimere il senso della loro ovvia domanda: “Ma dove siamo finiti?” L’anarchia regna sovrana sulla strada. Attraversare è quasi impossibile in assenza di strisce pedonali posizionate in corrispondenza del sentiero e proprio in prossimità del punto di arrivo il fascino della loro escursione è irrimediabilmente rovinato. Anche in questo caso, il ricordo che serberanno della loro visita a Stifone non sarà esattamente lusinghiero.

Ogni giorno, soprattutto in primavera e in estate, queste scene si moltiplicano. Il contrasto tra le bellezze del luogo e il traffico infernale è stridente. I turisti lo notano con disappunto. È dunque questo lo spettacolo che gli enti locali vogliono offrire al mondo?

Si fa un gran parlare di fondi, investimenti e naturalmente di turismo sostenibile, ma queste parole vuote vengono spazzate via dal rombo dei motociclisti che utilizzano la SR 204 Ortana come se fosse la pista del Moto GP, dal tanfo generato dai tubi di scappamento degli autotreni, dal fischio delle gomme sull’asfalto di aspiranti piloti di Formula Uno che superano ogni ragionevole limite di velocità.

Quale turismo sostenibile potrà mai essere attratto dal fragore e dai miasmi dei motori? Quali viaggiatori consapevoli potranno mai godere di queste gole infestate dagli spettri sempiterni delle macchine?

L’amministrazione locale dovrebbe prima di tutto porsi queste domande, poiché ben prima dei fondi occorre trovare un’idea chiara per declinare le parole “turismo” e “sviluppo”, al fine di immaginare il futuro di questi luoghi. L’inquinamento atmosferico e acustico incide sulla qualità della vita di abitanti e visitatori, pertanto questo tema non può più essere trascurato.

A tale proposito, occorre ricordare che secondo la Società Italiana di Medicina Ambientale (sima) l’Italia è il primo paese in Europa per morti attribuibili all’inquinamento atmosferico con circa 90 mila decessi prematuri ogni anno (Agenzia Giornalistica Italia – agi, 7 aprile 2022). Ci si chiede come sia possibile che le istituzioni lascino un’area vocata al turismo ambientale e culturale in balia delle emissioni nocive generate da mezzi di ogni genere. Inoltre, la European Environment Agency (eea) ha affermato chiaramente in un suo report (22/2019) che l’esposizione cronica al rumore ambientale ha un impatto significativo sul benessere fisico e mentale. Si stimano 12 mila morti premature e 48 mila nuovi casi di cardiopatia ischemica all’anno nel territorio europeo. Inoltre 22 milioni di persone soffrono di fastidio cronico elevato e 6,5 milioni di disturbi del sonno cronici elevati.

Difficilmente un luogo caratterizzato da tali problematiche potrà risultare attrattivo per un turismo realmente sostenibile o per coloro che sempre più spesso scelgono i piccoli borghi per vivere e lavorare in modalità agile.

I numeri relativi alla mortalità dovuta alla pandemia hanno giustamente suscitato un grande clamore. Eppure, stupisce osservare come, a ormai cinquant’anni dalla prima pubblicazione del celebre Rapporto sui limiti dello sviluppo (1972), la classe dirigente italiana ed europea non abbia ancora avuto la capacità di eliminare e sostituire completamente i mezzi di trasporto inquinanti e rumorosi che contribuiscono a generare numerosi problemi di ordine sanitario non solo nel piccolo borgo di Stifone ma anche in tutte le principali città italiane ed europee.

Nonostante la presenza di una via alternativa come la vicina E45, questa zona subisce una vera e propria invasione di mezzi di ogni genere. Concretamente si potrebbe iniziare con alcune precise scelte: favorire il più possibile il transito esclusivo di residenti e visitatori; impedire il passaggio ai mezzi pesanti di qualunque genere che dovrebbero utilizzare percorsi alternativi e più adatti; far rispettare i limiti di velocità con autovelox realmente funzionanti e dossi posizionati in prossimità del centro abitato; limitare gradualmente il passaggio di automezzi e motocicli rumorosi e inquinanti; realizzare passaggi pedonali a intervalli regolari in modo da facilitare l’attraversamento. Non si comprende la ragione per cui il traffico tipico di una vera e propria superstrada debba essere tollerato in una zona dall’evidente pregio naturalistico e storico.

L’isolamento pandemico pare già un lontano ricordo che sembra perdersi nei meandri della memoria, come se da un momento all’altro ciò che abbiamo vissuto potesse tramutarsi nel reperto consunto di un’epoca remota. Alcuni fra gli abitanti e i visitatori occasionali del borgo ricordano quell’isolamento con un misto di timore e nostalgia che potrebbe apparire inopportuno. Il silenzio è la chiave per comprendere questa nostalgia.

Durante la chiusura totale dei primi mesi di pandemia il frastuono che quotidianamente rimbomba propagandosi dalla sr 204 Ortana si era interrotto. Improvvisamente le Gole del Nera sembravano respirare di nuovo, finalmente libere dal fragore delle autovetture, dei mezzi pesanti, dei motocicli. L’unico suono che si poteva ancora ascoltare era quello delle campane che scandivano il tempo immobile, educate da secoli di paziente esperienza.

Eppure, ora che la pandemia sembra davvero essere giunta al suo termine, ecco che il suono delle campane è funestato nuovamente dal fragore.

Ammirando Stifone dall’alto dell’antica ferrovia che dominava il fiume Nera fiorisce il desiderio di abbandonarsi ai colori incantevoli del paesaggio per non curarsi del resto. Tuttavia questa fuga dalla realtà cela le insidie della negligenza. Chi davvero dichiara di amare questi luoghi non può evitare di osservare criticamente la realtà e combattere affinché l’idillio sia preservato intatto.

Benché quello di Stifone possa sembrare a prima vista un caso locale, a ben vedere esso è rappresentativo della situazione più generale. È infatti proprio nelle scelte locali – apparentemente di scarso rilievo – che si misura la capacità di un’intera comunità di convertirsi a un nuovo modello di sviluppo. Non è più tempo di attendere passivamente che il macrocosmo cambi senza adoperarsi strenuamente affinché il cambiamento nasca dal microcosmo e dal luogo in cui viviamo.

L’auspicio è dunque che il silenzio e la pace possano essere restituiti a questi luoghi, al fine di permettere a tutte e a tutti di fruire del territorio in modo più consapevole, senza ridurlo a vittima sacrificale sull’altare vorace dello sviluppo a tutti i costi.

 

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