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Le opere di Gino Covili tornano in Umbria dopo 30 anni, coinvolte le scuole

UMBERTIDE – “Ho voluto raccontare con tutta sincerità la mia vita, quella della mia terra e dei suoi antichi abitatori”. E sono proprio l’umanità popolare, i suoi protagonisti anonimi dall’espressione intensa, spesso scavata dalla fatica del vivere quotidiano a costituire l’impronta indelebile di Gino Covili, il “poeta resistente” come recita la sua biografia ufficiale.
Gino Covili con Vittorio Sgarbi

L’artista nato nell’Appennino modenese, a Pavullo nel Frignano nel 1918 dove è morto nel 2005, sarà protagonista della mostra che Umbertide gli dedicherà e che è destinata a diventare uno degli appuntamenti di maggiore richiamo per il 2020.
L’esposizione verrà inaugurata il 21 marzo del prossimo anno e durerà tre mesi.
I capolavori di uno degli artisti più rappresentativi del secondo Novecento, definito da molti il “Van Gogh italiano”, torna così in Umbria a distanza di 30 anni dalla personale che si tenne a Perugia, alla Rocca Paolina, e a 26 anni dall’anteprima nazionale di Assisi, quando al santuario di San Damiano venne presentato il ciclo “Francesco” che l’artista emiliano dedicò al Poverello.
Umbertide ospiterà 46 opere di Covili tra pitture e sculture, al Museo di Santa Croce e la Rocca-Centro per l’arte contemporanea. E così l’Umbria potrà tornare ad ammirare
i protagonisti che hanno riempito l’esistenza artistica del bidello del liceo di Pavullo nel Frignano, dove uomini e donne, animali e paesaggi sanno di vero, di reale, di concreto, di amaro e di sogno. Testimonianze di un mondo che ha una sua storia che merita di essere conosciuta, appresa.  Anche per questo è interessante il fatto che gli organizzatori abbiamo pensato di legare alla mostra di marzo un nutrito programma di iniziative collaterali che partono proprio dal mondo della scuola per coinvolgere poi l’associazionismo, il volontariato, il cittadino. Sarà una esposizione che coinvolgerà anche Assisi dove, in contemporanea con la mostra di Umbertide,  verrà esposto il ciclo dedicato a San Francesco al Museo della Porziuncola.
“Ci sono terre imbastite come scampoli di tessuto. Lanose, irsute, piegate, ondulate. Ci sono – ha scritto della poetica di Gino Covili  Matteo Meschiari, antropologo modenese – rocce che sembrano volti, animali, vertebre, muscoli. La luna di mezzanotte ci gira attorno, un’alba rosa, il crepuscolo ocra le bagna, rotolandoci sopra. Ci sono alberi. Alberi solitari. Alberi allineati. Alberi che piegano lo spazio e lo tendono tra i rami. Poi ci sono le fattorie, i borghi abbandonati, i cimiteri dismessi. E viottoli, stradelli, tratturi. A volte ci sono anche uomini, quasi sempre di spalle, che tornano a casa dal mercato, da luoghi uguali a quelli che incontreranno, uomini che si aggrappano a un bastone, a una cesta, a una corda stretta al collo di un animale. E tutto – conclude Meschiari – è presente allo stesso modo, sullo stesso piano dello sguardo e del senso: terre, rocce, alberi, case, animali, vestiti, persone”.
Storaro e Covili
In effetti quello di Umbertide è un omaggio a un uomo che suscita emozioni forti con i suoi dipinti, come nel caso di Vittorio Storaro, tre volte premiato con l’Oscar, che rimase folgorato dalla capacità espressiva di Covili al punto da dedicargli il film Le stagioni della vita e poi a indurre la pubblicazione del libro Storaro-Covili. Il segno di un destino che magistralmente fissa la comune visione dei due artisti riguardo l’utilizzo della luce, del colore, della valorizzazione dell’immagine.
Insomma, bentornato Covili.

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