UJ #02: il piano di Enrico Pieranunzi, il sax itinerante di Dario Cecchini e la tromba di Paolo Fresu

Nel presentare il concerto delle 12:00 di ieri, domenica 9 luglio con il pianista Enrico Pieranunzi, il giornalista Enzo Capua ha iniziato dicendo che la Sala Podiani rappresenta il luogo intimo della rassegna Umbria Jazz.

Il musicista romano ha incantato per il terzo sold-out consecutivo, d’altronde prevedibile visti i nomi sul campo e la coincidenza con il weekend.

Nel suo pianismo convivono jazz e la musica classica; può passare da uno stile all’altro con estrema disinvoltura e rappresenta una delle eccellenze del panorama europeo.

Nella sua vastissima discografia – che annovera oltre 80 pubblicazioni – si possono trovare collaborazioni con nomi quali Chet Baker, Paul Motian, Charlie Haden, Marc Johnson, Lee Konitz e Joey Baron, un progetto in duo con Bruno Canino; un folto spazio infine è dedicato ad opere su autori tra gli altri come come Scarlatti, Bach e Gershwin.

E’ l’unico pianista italiano che si è esibito e registrato lavori al Village Vanguard di New York; tra i numerosi riconoscimenti ottenuti il Django d’Or francese come miglio musicista europeo ed il premio Una vita per il jazz dalla rivista Musica Jazz.

Nella prima pausa tra i brani ha rivissuto l’emozione, proprio nel 1973, nel primo anno dell’evento, al concerto di una giovanissima Dee Dee Bridgewater ed ha specificato di aver preso appunti per la scaletta … ma dopo aver annuciato il brano appena terminato (Flower in stones), ci ha buttato uno sguardo e ha sentenziato: “… bene, credo che non farò nulla di tutto questo”, tra l’ilarità del pubblico.

Tra le varie esecuzioni proposte Come rose dai muri ed un ricordo dello scomparso pianista Luca Flores con il brano Molto ancora.

Spazio quindi a Yesterday di Jerome Kern ed Everything I know di Cole Porter; poi tra giochi di parole e battute con i presenti il concerto è andato verso la conclusione con il brano Les amants, contenuto nell’album Racconti mediterranei, registrato al Teatro comunale di Gubbio con Marc Johnson al contrabbasso ed clarinettista perugino Gabriele Mirabassi.

Nel pomeriggio, alle 16:15 è proprio il caso di dire che si è cambia musica.

Sul palco, anzi no … tra alcune delle stanze di Palazzo Baldeschi, concerto itinerante per sax baritono solo di Dario Cecchini.

Musicista noto quale leader dei Funk Off, la marching band che dal 2003 allieta il pubblico di Umbria Jazz sia con le passerelle quotidiane che con esibizioni sul palco ma anche componente del Triozone, con il batterista Bernardo Guerra ed il contrabbassista Guido Zorn, del quartetto Jazzasonic, con Claudio Filippini, Gabriele Evangelista e Stefano Tamborrino.

E dell’interessante progetto “Botte di cool” con Fabio Morgera, Guido Zorn ed Alessandro Fabbri.

Questo progetto è nato da un’idea di Pino Minafra per il Talos Festival 2017 e di in tanto il musicista toscano lo ripropone.

Nel mese di marzo è uscito l’album «Echoes» in cui Cecchini ha suonato undici brani, per la maggior parte composizioni originali e tre standard: Goodbye pork pie hat di Charles Mingus, You’ve changed di Carl Fisher e Wishing on a star di Billie Rae Calvin.

E a giudicare dalla numerosa presenza di pubblico, questa particolare esibizione è una scommessa vinta.

Alle 17:00 al Teatro Morlacchi Paolo Fresu ha presentato il suo album Ferlinghetti.

Introdotto ancora una volta da Enzo Capua, che ha ricordato d’aver conosciuto il poeta Lawrence Ferlinghetti, scomparso nel 2021, nel 1979 nella sua libreria City lights, il concerto del musicista sardo è stato davvero avvolgente e convincente, facendo dimenticare anche la temperatura non proprio mite all’interno del teatro.

Il disco è la colonna sonora del documentario The beat bomb del regista Ferdinando Vicentini Orgnani.

Nei circa 90 novanta minuti dell’esibizione l’aria s’è fatta leggera, avvolta dalle note di Fresu, di Dino Rubino al piano – e nel finale al flicorno – di Marco Bardoscia al contrabbasso e di Daniele Di Bonaventura al bandoneon.

S’è iniziato con I was an american boy, quindi l’inedito Ferlinghetti, The Macaronis scene di Daniele Di Bonaventura; e ancora Tyrannus nix, Eponymous epitaph e via via tutte le tracce dell’album.

Dopo l’ottimo tributo a Chet Baker con Tempo di chet (spettacolo teatrale ed album), Fresu, Rubino e Bardoscia, stavolta con l’aggiunta di Di Bonaventura confermano che il jazz in Italia gode di ottima salute.

Le foto sono di Federica Mastroforti

Alfredo Buonumori: Perugino, diploma di maturità classica, commerciante per una ventina d’anni, da sempre appassionato di musica (tutta quella bella), ma il cuore batte più forte per il progressive rock, il primo amore, e per il jazz. Dal 2019 fa attivamente parte di un’associazione culturale-musicale che si occupa della diffusione della musica progressive rock.