FERENTILLO– Ritorniamo a parlare della strada del Salto del Cieco, che abbiamo già visto nei precedenti itinerari dal punto di vista ambientale e come mezzo di comunicazione tra territori montani: Ferentillo, Leonessa, Polino, alto Lazio e Abruzzo. Questa volta entriamo nella storia, a ritroso, più di 500 anni, tramite interessanti documenti di archivio, che riporteremo in lingua originale( non vi meravigliate se leggerete parole in lingua volgare o latinizzate).
Per una accurata e fedele cronaca ci rifaremo agli atti del convegno (30/31 maggio 2008), prodotti da Maria Rosaria Bianchi dell’ Archivio di Stato di Spoleto.
Durante il periodo di governo di Alberico Cybo, la strada per il Salto del Cieco, era dotata di alcuni stabili dove si poteva alloggiare e curare coloro che solcavano la via. Se tali “ospizi” erano dapprima a scopo religioso, gestiti da ecclesiastici, piano piano nel ‘500, con l’intensificarsi dei traffici commerciali, vennero erette locande e osterie gestite da privati e l’osteria del Salto del Cieco e’ una di questa.
Edificata attorno al 1520. In un documento datato 13 luglio 1568 un certo Francesco di Antonio Colabradde di Leonessa ricorda: io che ho praticato assai spesso et quasi del continuo in quel di Ruiti et Petano, ho visto sempre lavorare, Cesare et sementar quelle terre, nettare i grani seminati, meterli et levarli et ho visto fondare et finire di fabbricare una osteria, in una strada pubblica, che non so se e’ in quel di Ruiti o Petano, ma in un de dui territori, da un Valentino del Precetto della Badia, quale osteria esso abito’ et exsercito’ molti anni et poi la vende alla corimunita’ itui della badia, la quale l’ha affittata di più a diverse persone”. Sulla rotta per Rieti nei pressi di questa osteria, a nord dell’ Abbazia di Ferentillo, era collocata la stazione delle gabelle. Le imposizioni delle gabelle, costituiva uno dei mezzi più garanti per le entrate alle casse del piccolo stato. In un documento (SAS, ASC, Spoleto, Miscellanea B) si legge: 2 Febbraio 1607 Giovanni Agostino Argenti e Medoro Tromba da Leonessa vengono processati da Bastiano di Pietro da Polino, gabelliere nella valle sopra l’ osteria del Salto del Cieco sopra le Sportelle con due muli carichi di diverse robbe per non aver voluto pagare la gabella et essendo incorsi in grande. Ma i gabellieri, non esitavano neanche per i pellegrini che si recavano in pellegrinaggio al Perdono di Assisi e all’ abbazia di San Pietro in Valle per ricevere l’ indulgenza. In un documento (SAS, ASC Spoleto, cause e vertenze, Rogoveto e Petano, 14, cc. 497v e segg), si ha il caso di donna Gentiletta (il documento e datato 7 agosto 1547): “mercordì passato, et tornando la quondam donna Gentiletta di Piersanto della terra di Leonessa dal perdono della Madonna gloriosa degli Angeli, arrivata che fu nel territorio di cotesta terra nel luogho detto la Lama, fu sopraggiunta da un improvviso e dubitano accidente del quale come a Dio piacque resto’ morta, e venendo Garofano suo fratello carnale per riportarla in Lionessa e dare al suo corpo conveniente sepoltura, al caricare che faceva de quel cadavero, li uscirono li nostri gabelliere et arrestandoli quel corpo gli dimandorno dieci scudi per gabella di esso come fusse stata qualche importante mercanzia di guadagno, e finalmente dopo molti strani ragionamenti pregiaria di pagarli venti carlini”. Insomma, una via di comunicazione e un posto di controllo nel territorio assai transitato per la presenza della Abbazia. E in special modo riportiamo un documento assai singolare e curioso che testimonia alcuni personaggi l’epoca in ambiente abbaziale. E in questo ambiente ecclesiale, la terra dello stato ferentillese nei documenti amministrativi compare con l’appellativo di Terre dell’Abbadia. La furbizia di Alberico Cybo e’ stata sempre quella di stare in buoni rapporti con l’Abate di San Pietro. Chi teneva insieme il territorio era l’Abbazia, non solo per quanto riguardava la pertinenza religiosa ma anche socio politica e amministrativa.
In un documento (SAS, ASC Spoleto, cause e vertenze, Rogoveto e Petano, 29, cc.128 e segg.) e’ riportato….io ho conosciuto tre abati il primo fu l’Abate Aloisio, et poteva avere di trentanni in circa, et si chiamava Aloisio Ancaiano, il quale aveva con lui un coquo chiamato (Gioacchino) che era un homo grande grosso et grasso et aveva la barba nigra et era buono in viso (…) un altro servitore che governava la cavalcatura (…) et teneva anco due frati l uno chiamato Giovan Maria che dicevano essere Lombardo (…) l’altro don Valentino Ancaiano (…) l’abate Aloisio era un huomo grande grasso e ben formato, di barba nigra ancora che fosse di carne bianca, il quale riscuoteva li affitti e l’entrate dell’Abbadia, dagli affittuari suoi che gli portavano sino a casa come erano obbligati. Il secondo abbate che ho conosciuto fu l’ abbate Benedetto Ancaiano, il quale ho conoscioto da che nacque fin che morto, et era un huomo grande, magro e asciutto barba nigra et comincio’ ad essere abbate che credo non passasse vinti anni er aveva per servitori un certo Checco (Chicco) che governava il cavallo che era da Tolentino et era un giovane alto che lo serviva per cameriero, aveva ancora un mulattiero che si domandava Mario, dell’ Aquila …aveva ancora dui frati, uno chiamato fra Lorenzo di lombardia et l’altro Giovan Lorenzo che credo fosse neapolitano (…) quali tutti dimostravano in casa di questo abbate (…). Detto abbate Benedetto, affittava l’entrata dell’abbadia a questo e a quello affittuario li quali portavano li grandi et li frutti sino a casa. Il terzo abbate che io ho conosciuto e’ l’Abbate Nicolo’ che hoggidì e’ l’abbate et lo cominciai a conoscere da che nacque et e’ oggidì homo piccolo rosso et di barba rossa et grassetto.,(…) il quale tiene doi servitori (…). Il documento e’ datato 24 dicembre 1589. Insomma cose inedite sulla storia di questo territorio che solo negli Archivi di Stato si posso rintracciare grazie agli studi e ricerche sia dei dipendenti che di appassionati di storia.