PERUGIA – La Rai era agli albori. I televisori nelle case degli italiani erano ancora un lusso per pochi, in molti condividevano la tv con i vicini e i parenti, erano i pochi fortunati che potevano permettersi di fruire delle rigorose immagini in bianco e nero che scaturivano come per magia dagli schermi. La Rai era nata nel 1954, quando l’economia cominciò a muovere i primi passi verso il boom che da lì a poco avrebbe prodotto i primi segni di un benessere diffuso. Le telecomunicazioni in un paese che cominciò l’opera di modernizzazione erano strategiche e non si tardò a capire che da un lato era necessaria una vasta operazione propedeutica per l’unità linguistica del paese, senza dimenticare però, dall’altro lato, la valorizzazione delle peculiarità dialettali dei vari territori. Fu quella l’alba della primissima stagione della Rai in Umbria. Era il 1959 quando la sede dell’ente radiotelevisivo approdò in via Baglioni nel cuore di Perugia e da lì cominciò la sua ultra settantennale avventura territoriale in Umbria tra alterne vicende e fortune.
In estrema sintesi è questo l’incipit del libro di Alvaro Fiorucci e Gino Goti “La Rai in Umbria (storia, personaggi, curiosità)” edito da Morlacchi Editore e presentato sabato scorso al Corciano Festival alla presenza di numerosi dei protagonisti della teleradiofonia umbra, moderatore Luca Ginetto, capo redattore della Tgr Umbria.
Per chi ambiva all’omogeneità linguistica, si pose sin da subito il problema della corretta dizione e – come racconta Gino Goti – si ricorse a piene mani all’apporto degli attori teatrali, tanto che in uno dei primi concorsi per assumere annunciatori su una ottantina di partecipanti, rimasero infine in sei, tutti che provenivano dalla Compagnia teatrale Fontemaggiore. Allo stesso tempo gli umbri dimostrarono di amare e di divertirsi al suono delle loro cadenze dialettali, al suono delle loro parole. E’ così che in radio, con “Qua e là per l’Umbria” le voci dei personaggi delle parodie dialettali diventano familiari. “E’ come se anche loro – scrive nel libro Gino Goti – fossero seduti allo stesso tavolo del tinello per il pollo arrosto, le patate e le pastarelle del giorno di festa. Tanto che, ad esempio, Violetta Chiarini, che nelle scenette di una tipica famiglia perugina interpretava la madre Catterina, ancora oggi riceve premi e ha avuto considerazioni da parte di Fellini che la esortava a mantenere integro nella sua schiettezza il suo personaggio, anche quando Violetta si trasferì a Roma per continuare a fare teatro.
Il libro è suddiviso in capitoli e assume anche un valore documentale che si avvale di un lungo carosello di nomi dei protagonisti dell’avventura umbra della Rai, testimoni delle alterne vicende dell’emittenza, compresi nomi illustri come Enzo Tortora, Maurizio Costanzo, Renzo Arbore che spesso in Umbria mossero i primi passi verso il successo. Erano i tempi del Nagra, mitico registratore che ai tempi rappresentava il top della tecnologia analogica e Gino Goti che non si contentava del suo ruolo ufficiale di annunciatore, cominciò a scorrazzare in giro per l’Italia e per l’Umbria per accumulare una lunga serie di testimonianze di spettacoli, eventi sportivi, fatti di cronaca, ma anche di quelli che sarebbero diventati documenti etnologici di narrazioni folkloriche sulle tradizioni e sulle usanze degli umbri. Con il suo Nagra, comprato usato e pagato la bellezza di un milione e seicentomila lire, quando non era ancora professionista iscritto all’Albo dei giornalisti, cominciò ad appassionarsi sempre più al folklore e anche agli effetti, in una ricerca a metà tra rumorismo ed etnologia. “Siccome racconta – la Rai a Perugia non aveva i programmi per fare queste cose, io andavo in giro con questo Nagra a raccogliere decine di nastri registrati sugli avvenimenti più vari, dai cori del Perugia in Seria A, ai Ceri di Gubbio, ma anche le testimonianze vive del folklore in una ricerca tra rumorismo ed etnologia, comunque materiale fortemente caratterizzato. Ricordo ancora – continua Goti – un “omino” in Valnerina nelle vicinanze di Spoleto che in inverno accumulava ghiaccio che poi conservava con la paglia e in estate rivendeva per rinfrescare le bibite. Beh, rimasi esterrefatto quando cominciò a declamare l’Orlando Furioso a memoria, ma nella metrica originale, non quella che si impara a scuola. Nella mia lunga esperienza in Rai, ho incontrato personaggi stupendi.
L’Umbria ai tempi era considerata l’auditorio di Roma e c’è da considerare che la Capitale era abitata da circa 150 mila umbri che aspettavano con impazienza le scenette. Poi le cose cambiarono drasticamente con la riforma e la ristrutturazione del canali e dei telegiornali. Lo spiega bene Alvaro Fiorucci in un passaggio del libro. “Il Primo Canale che all’inizio era l’unico si chiamava Canale Nazionale diventa Rete Uno, e poi Rai Uno. Il Secondo Canale che trasmette dal 4 novembre 1961 diventa Rai2 (…). La novità che più fa discutere però è l’arrivo della Terza Rete che per la prima volta si accende alle 18,30 del 15 dicembre 1979. Eppure, l’atmosfera che la circonda è quella della semiclandestinità (…). Lottizzazione si disse: Rete Uno e Tg1 come da tradizione consolidata alla DC, Rete 2 e Tg” al Psi, retaggio delle antiche alleanze di centrosinistra, Rete Tre (dal 1982 Rai3) e Tg3 al Pci per via della solidarietà nazionale e del compromesso storico che prima o poi… Alla sua maniera Bettino Craxi sarà come sempre tagliente ed efficace e gli viene attribuita questa frase: “Adesso il numero telefonico di via Mazzini è cambiato, il numero è 643111”. Ovvero: sei posti ai democristiani, quattro ai comunisti, tre ai socialisti, un posto ciascuno a repubblicani, liberali e socialdemocratici. E negli ambienti politici è ricorrente una battuta: assumono un democristiano, un socialista, un comunista e uno bravo”.
Dalle lottizzazioni ai giorni nostri e al passaggio alla digitalizzazione. Tutto cambia e la nuova stagione sta cambiando non solo i prodotti, ma l’intera struttura produttiva della Rai. Chiudiamo con le parole del direttore generale sede Rai Umbria Giovanni Parapini: “…Le sedi regionali – afferma – sono una delle migliori ragioni per le quali ha senso pagare il canone. Fanno servizio pubblico per la collettività, locale e nazionale, e danno alla Rai una specificità che le altre media company anche straniere che operano in Italia non hanno. Credo però che il ruolo di questi importanti presidi territoriali vada trasformato. E il primo passo dovrebbe essere l’ampliamento della mission aziendale (…). Ora serve a mio avviso avere la possibilità di realizzare dei contenuti, radiofonici, televisivi, on line, destinati a 360 gradi all’editore Rai. A tutti i canali di diffusione della Corporate. In parte, qui a Perugia, abbiamo cominciato con un lavoro di scouting per scoprire le nuove eccellenze in tutti i settori, dal turismo alle start up. Per poi raccontarle: a livello regionale se questa è la dimensione appropriata; a livello nazionale e internazionale se la rilevanza ha questa portata”.